A CURA DELLA REDAZIONE
Si tratta di una figura di cineasta abbastanza singolare, nel cinema italiano, legato in sostanza a una sola opera, Uomini sul fondo (1941). Di lui si conosce poco o nulla fino al 1940 (oltre a una sporadica e modesta attività di commediografo, tre opere dal 1932 al 1936, e di regista teatrale), quando lo si incontra capitano di corvetta e responsabile di un 'centro cinematografico' presso il ministero della Marina, il che significava allora, naturalmente, marina da guerra. In questa veste e nell'ambito di questo ufficio è autore nel 1940 deI breve documentario di informazione e propaganda, Mine in vista e, l'anno successivo, del Iungometraggio Uomini sul fondo, suo anche per soggetto e sceneggiatura.
Il film, che nasce col tono di un documentario per descrivere la vita che si svolge all'interno di un sottomarino in tempo di pace, acquista poi un filo narrativo esile ma abbastanza significativo. Il sottomarino viene casualmente in collisione con una nave, subisce un'avaria, imbarca acqua nelle camere-stagne e va a fondo. Rimane adagiato a una profondità di oltre 90 metri con alcuni apparati efficienti e altri in avaria, senza potersi muovere, fino a quando gli sforzi di tutti, e in particolare dei palombari e di un marinaio dell'equipaggio che si sacrifica per gli altri, permettono la risalita, mentre gli uomini sono ormai stremati.
Se va ribadito che Uomini sul fondo non è soltanto il film più importante della carriera di De Robertis, ma è tale che, se non esistesse, il nome di De Robertis non avrebbe nel cinema alcun significato, non è facile tuttavia distinguere quanta personalità ci sia nello stile e nei valori del film, un sapiente impasto di verità quotidiana e di reinvenzione narrativa, di interpretazioni 'prese dalla vita' e di risposta a ruoli prestabiliti, di dialoghi scarni e di funzionalità delle immagini, di fedeltà ai mezzi espressivi del 'muto' e di uso attento del 'sonoro'.
Alcuni critici hanno asserito trattarsi di un 'classico' (più o meno incompreso), di un capolavoro, di un film unico, addirittura un film 'neorealistico' ante litteram, cosicché l'iniziatore del neorealismo comunemente inteso non sarebbe Visconti o Blasetti o De Sica o Rossellini, ma De Robertis, appunto col suo film: anche se l'apporto di Rossellini potrebbe rientrare in gioco, con una combinazione di filmografie e di biografie, dal momento che nel film successivo, La nave bianca (1941), compare proprio, quale regista e co-sceneggiatore, il nome di Rossellini, mentre il 'comandante', oltre che co-autore della sceneggiatura, rimane 'supervisore'. Anche nella Nave bianca c'è una parte documentaristica e una di invenzione (il racconto è centrato su una nave-ospedale, in guerra), ma il film è modesto, così come Alfa-Tau! (1942) che tenta di vedere 'con verità' la vita degli uomini del mare, in tempo di guerra, e dei civili rimasti a terra, con ingenuità e rozzezza: malgrado gli attori non professionisti e il tono spoglio (che non esclude la retorica, la quale faceva capolino anche nel più sobrio Uomini sul fondo) nessuno comunque ha pensato e pensa di apparentare Alfa Tau! al neorealismo.
Negli anni successivi De Robertis (che aderisce alla cinematografia della RSI) non fa che rimanere su se stesso senza alcuna originalità e valore, o con temi marinari o militareschi o con film di facile melodramma. Realizza così, oltre ad alcuni documentari, Marinai senza stelle (1943), Uomini e cieli (1943), I figli della laguna (1944), La vita semplice (1945), Fantasmi del mare (1948), Il mulatto (1950), Gli amanti di Ravello (1951), Angelo tra la folla (1951 - supervisione), Carica eroica (1952), Mizar e I sette dell'Orsa Maggiore (entrambi del 1953), Uomini ombra (1954), Yalis, la vergine del Roncador (1955), La donna che venne dal mare (1957), Ragazzi della marina (1958): si possono forse rammentare un certo sentimentalismo antirazzista nel Mulatto, una qualche spettacolarità di Carica eroica, ma retorica e genericità vengono profuse ognora a dismisura.