ALESSANDRA LEVANTESI
Conferenza stampa del regista cinese Chen Kaige, Pardo d'Oro alla carriera del 54° Festival di Locarno. Premio che, dice giustamente la direttrice Irene Bignardi introducendo l'ospite, non ha bisogno di spiegazioni tale è la fama di questo grande maestro; e tali e tanti sono i legami di Locarno con il cinema orientale. Tra l'altro, proprio qui sul Lago Maggiore, Kaige ottenne nell'85 il Pardo d'Argento per il bel film d'esordio Terra Gialla. Lui allora non venne a ricevere il suo primo riconoscimento internazionale: come mai? La domanda vorrebbe essere insidiosa: si sa che all'inizio degli anni '80, negli studi decentrati di Xian, si affermò un gruppo di giovani cineasti, fra cui Kaige, molto poco amati dai burocrati di Pechino. Ma Chen glissa: “Su questo film si era aperto un dibattito. Alcuni lo consideravano bellissimo, altri non lo capivano. Il Pardo ha aiutato a pacificare gli animi. Io comunque non immaginavo che avrei vinto, per questo non c'ero. Anzi, credo che nessuno mi abbia avvertito”. Colpa del Festival? “No, forse l'atteggiamento non del tutto simpatizzante delle autorità ha creato qualche equivoco”. È probabile. Sul tema del regime e della censura in Cina (cadono nel vuoto domande tipo: “Qual’è la sua situazione in patria?, Quali opposizioni ha incontrato?”, non c’è verso che Kaige parli: vuole mantenere buoni rapporti con il proprio Paese, anche se da una decina d'anni lavora prevalentemente all'estero. Ha appena terminato di girare in Inghilterra Killing Me Softly interpretato da Joseph Fiennes, prodotto dalla Mgm e in uscita il prossimo gennaio. Per realizzare questa pellicola il regista ha vissuto un anno in Gran Bretagna: “Direi che si tratta di un thriller erotico. E ad attirarmi è stata proprio la tematica sessuale della sceneggiatura, mai potuta affrontare in Cina (gli sfugge). In realtà (subito rimedia) più che di erotismo si allude al rapporto umano fra uomo e donna. È un film diverso dai miei soliti e lo staff inglese mi ha insegnato molto, eppure sento che mi appartiene. Non è una pellicola americana, insomma”. Kaige è aperto alle influenze occidentali e del resto dichiara di essersi formato, come tanti registi suoi coetanei, vedendo i film italiani e francesi conservati negli archivi. Tuttavia non intende perdere il contatto con le sue radici: “è importante che mi ricordi da dove vengo: la mia ambizione è di portare la mia piccola pietra qualsiasi cosa io faccia”. In quest'ottica di protezione dell'identità culturale e artistica, Kaige auspica e al tempo stesso teme un rafforzamento dei legami economici tra Pechino e l'Occidente: figurarsi che può succedere se già il 60 per cento del mercato cinematografico cinese è invaso da prodotti hollywoodiani. Il problema dello strapotere yankee in fatto di cinema è presente ovunque. Prendiamo Il diario di Bridget Jones, opera prima dell'irlandese Sharon McGuire, in programma in piazza Grande dopo La vita appesa a un filo, scelto da Kaige per il suo festeggiamento. Ispirata al best seller di Helen Fielding, pubblicato inizialmente a puntate su un quotidiano inglese, la commedia ha conquistato le platee anglosassoni e tutto fa pensare che anche le single del resto del mondo si identificheranno in Bridget: una trentenne cicciottella che, in attesa di incontrare l'amore (e lo incontrerà), trascorre frustranti serate davanti alla tele mangiando, fumando e bevendo più di quanto dovrebbe. Tuttavia se i protagonisti sono gli inglesi Hugh Grant e Colin Firth (presente a Locarno con la McGuire) a incarnare l'inglesissima eroina è l'americana Renée Zellweger, ingrassata coraggiosamente per l'occasione di un bel po’ di chili. La regista sostiene di averla scelta lei, ma vorrà pur dire qualcosa che la produzione sia targata Hollywood.
Da La Stampa, 5 Agosto 2001