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Rassegna stampa di Andrzej Wajda

Andrzej Wajda. Data di nascita 6 marzo 1926 a Suwalki (Polonia) ed è morto il 9 ottobre 2016 all'età di 90 anni a Varsavia (Polonia).

TERRENCE RAFFERTY
The New York Times

SOMETHING ominous and indeterminate — smoke or mist — swirls behind the opening credits of “Katyn,” the most recent movie directed by the Polish filmmaker Andrzej Wajda, who turned 82 this year. The numinous stuff carries over, briefly, to the film’s first shot, where it disperses to reveal a crowd of anxious-looking people on a bridge, most of them milling aimlessly, not knowing which way to go.
It is, we’re told, Sept. 17, 1939: the German army approaches from one side of the bridge, the Russians advance from the other direction, and the refugees are caught in the middle with no good choices, nowhere to turn. The scene is in some way emblematic of this great, elusive, underappreciated artist’s long career. For better than 50 years Mr. Wajda has been trying to see clearly through the fog of war.
Starting Friday the Film Society of Lincoln Center is putting on a monthlong, nearly complete retrospective of Mr. Wajda’s work: all 33 of his theatrical features, as well as one short, one television movie and a couple of documentaries. And a week later Anthology Film Archives chimes in with a five-day series of half a dozen films made by Mr. Wajda for Polish Television Theater, none of which have been shown in the United States before.

FERNALDO DI GIAMMATTEO

Polacco nel profondo, polemico contro lo spirito polacco e la sua tendenza all'inutile martirio (il padre, ufficiale di cavalleria, muore in guerra), partigiano a 16 anni, allievo nella classe di pittura dell'Accademia di Belle Arti di Cracovia, diplomato alla scuola di cinema di Lodz, assistente dell'ottimo Aleksander Ford, assume i film come una catena di confessioni pubbliche sui dolori e gli errori dell'umanità nazionale, devastata dalla guerra e imprigionata nei suoi pregiudizi secolari. Generazione (1955), I dannati di Varsavia (1957) e Ceneri e diamanti (1958) denunciano non solo le immani brutalità dell'occupazione nazista ma anche le debolezze e il coraggio sprecato di coloro che, soffrendo atrocemente (la fuga nelle fogne in I dannati di Varsavia è esemplare), li hanno combattuti per costruire un futuro diverso. Affermatosi come il maggiore regista del dopoguerra, e il più importante regista polacco in assoluto, Wajda passa da un tema all'altro con disinvoltura (Ingenui perversi, 1960, è un'acre commedia degli equivoci che coinvolge due giovani finto spregiudicati), riprende il discorso della assurda vocazione al martirio con Paesaggio dopo la battaglia (1970), si accosta alla letteratura nazionale (e, di nuovo, indirettamente alla storia del suo paese) con alcune opere di squisita fattura e di finissima analisi psicologica (Il bosco di betulle, 1970; Le nozze, 1972; lo struggente Le signorine di Wilko,1979). Intanto, ritrova la vena polemica con la quale aveva esordito e rivolge stavolta la sua critica contro i soprusi dello stalinismo, realizzando due opere che ottengono grande favore sia in patria che all'estero (L'uomo di marmo, 1976, e L'uomo di ferro,1981, Palma d'oro a Cannes). Ed è con questi film che si conclude la sua carriera in Polonia, perché il colpo di stato (13 dicembre 1981) del generale Jaruzelski lo priva della presidenza dell'Associazione dei cineasti e gli impedisce di lavorare. Fuori, a parte un concitato Danton (1982) girato in Francia, ottiene risultati modesti. Solo nel 1990, con un film in bianco e nero che rievoca pacatamente gli orrori del lager di Treblinka (Dottor Korczak), ritrova un poco dell'antico vigore.

PRESSBOOK

Regista (anche teatrale) e sceneggiatore, Andrzej Wajda è uno dei principali esponenti del cinema polacco. Insignito nel 2000 dell’Oscar alla Carriera per “cinque decadi di straordinarie regie” (ma quattro suoi titoli sono stati anche candidati per il miglior film straniero: La terra della grande promessa, Le signorine di Wilko, L'uomo di ferro e Katyn), l’autore ha vinto nel 1981 la Palma d'oro al Festival di Cannes per L'uomo di ferro. Tra gli altri riconoscimenti vinti, segnaliamo l’Orso d’oro alla carriera e quello d’argento “per il suo contributo all’arte cinematografica”, il BAFTA e il César per Danton nel 1983.
Molti i suoi film entrati nell’immaginario collettivo di generazioni di spettatori, da Cenere e diamanti a I dannati di Varsavia. E molte le opere che hanno raccontato l'evoluzione politica e sociale del suo Paese, affrontando anche temi scomodi e argomenti difficili.

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