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Rassegna stampa di William Wyler

William Wyler è un attore francese, regista, produttore, è nato il 1 luglio 1902 a Mulhouse (Francia) ed è morto il 27 luglio 1981 all'età di 79 anni a Los Angeles, California (USA).

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Ha esordito nel 1925 con Crook Buster e ha diretto 68 film tra cui Gli eroi del deserto (1930), Strada sbarrata (1937), La figlio del vento (1938), Picco/e vo/pi (1941), La signora Miniver (1942), I migliori anni della nostra vita (1946), Ore disperate (1955), La legge del Signore (1956), Ben Hur (1959), Come rubare un milione di dollari e vivere felici (1966), Funny Girl (1968).

EMANUELA MARTINI
Film TV

Negli anni d’oro della sua carriera (i 30 e i 40 soprattutto, con una frangia interessante nei 50), lo avevano soprannominato “90take Willie” (“Willie 90 riprese”), per il numero di volte che faceva ripetere una scena prima di essere soddisfatto di ogni sfumatura dell’interpretazione e di ogni angolo dell’inquadratura. Perfezionista, pignolo, manierista incrollabile (ma mai manierato, come puntualizzò André Barth in un famoso saggio), William Wyler fu uno dei grandi della Hollywood classica, perso, negli anni della maturità, in una certa pomposità che ce lo ha fatto dimenticare troppo in fretta. Nato in Germania nel 1902, educato in Svizzera e poi studente di violino a Parigi, fu trascinato in America da Carl Laemmle, che era cugino di sua madre e capo della Universal. Fece la gavetta, pubblicitario, attrezzista, aiuto regista. Nel ‘25 fu assistente alla produzione per il Ben Hur di Fred Niblo (e ne avrebbe fatto il remake cinquant’anni dopo) .ed esordì nella regia con dei western da due rulli (più di 40 in un paio d’anni).

PIETRO BIANCHI

Nato a Mülhouse una cinquantina d’anni fa, educato in Svizzera, prima, con sua grande soddisfazione, dedicatosi alla vendita delle stoffe come commesso in un negozio della città natale, e quindi, per un fortuito incontro con il cineasta tedesco Carl Laemmle, avviato alla fortuna cinematografica hollywoodiana, William Wyler rivela una ispirazione intelligente e originale. Per molti anni lavorò a Hollywood in ruoli oscuri, fornendo brevi film western ai mercati più poveri dell’interno; ma la sua, rivelazione avviene con il film Infedeltà (1936), tratto dal noto romanzo «Dodsworth» di Sinclair Lewis e interpretato da un grande attore ora scomparso, Walter Huston (padre del regista John Huston), e da Ruth Chattenton. Dodsworth è la rivelazione di William Wyler, non solo perché anche oggi vive nel ricordo come un film ricco di vigor di vita, con caratteri fermi e ben delineati, costruito con sapienza effettistica e con minuta attenzione agli sviluppi psicologici, ma perché delinea già quelli che saranno i maggiori interessi dei film più riusciti.
Nella produzione letteraria americana che precede il 1914, Dreiser e Lewis rappresentano uno sforzo notevole: essi rompono la crosta del conformismo sociale, nella buona tradizione del naturalismo europeo, e risultano, per così . dire, narratori d’attacco, cioè scrittori che con i mezzi propri al romanzo cercano di rivelare agli americani la loro vera natura, di scoprire le ipocrisie sociali, di rivelare quanta bestialità, quanti sacrifici, quanto afrore ferino celi la prosperità degli «States».
Infedeltà, racconto della liberazione di un ricco americano dalla moglie egoista e prepotente attraverso, una rivelatrice esperienza europea, somiglia come categoria psicologica al racconto Carne (in italiano Gli occhi che non sorrisero), che è invece il risultato di un amore infelice di un elegante direttore di ristorante a Chicago per una ragazza desiderosa di farsi strada e di riuscire nella vita. Oziosamente, alcuni hanno rimproverato a Wyler, a proposito di Carne, di aver tradito l’originale: oziosamente perché un artista creatore deve servirsi del soggetto alla stessa maniera che un pittore si serve di modelli o della natura; per trarne spunto, per trasfigurarlo, per costringerlo dentro un proprio schema. Dovendo, per ragioni di produzione, servirsi di Jennifer Jones, consorte di un magnate del cinema, Wyler, quasi senza accorgersene, ha spostato l’accento del racconto sul protagonista maschile; diciamo forse senza accorgersene, perché Laurence Olivier ha creato uno dei personaggi più straordinari della sua intelligente carriera. Forse Wyler, affascinato dalla straordinaria bravura dell’attore, non ha fatto che secondarlo in modo che il difetto de Gli occhi che non sorrisero non è, come affermano tanti, nell’aver tradito il «messaggio» etico-sociale di Dreiser, scrittore robusto, ma di secondo ordine e ora, come avviene di tutti i polemisti che non, abbiano un debole per lo stile, inattuale, quanto nell’aver lasciato in ombra il personaggio della donna, che appare insomma una borghesuccia senza rilievo. Ad ogni modo, sottinteso ad ogni film importante di Wyler, è sempre il problema della donna, americana o no: nemica dell’uomo, astuta, crudele, feroce accentratrice. È chiaro che la realtà americana, e i drammi scaturiti dalla realtà americana, hanno suggerito a Wyler i suoi temi più forti.

FERNALDO DI GIAMMATTEO

Nasce sul confine fra Germania e Francia, è figlio di un commerciante ebreo, frequenta l'università e poi studia violino al Conservatorio di Parigi, s'imbatte nel lontano parente Carl Laemmle che lo introduce nel cinema. Gira piccoli western da due rulli, facendosi, come si dice, la mano. E sarà una mano agile che, accoppiata a una buona cultura, gli consentirà di dirigere film psicologicamente complessi, non appena il sonoro verrà a stimolare il suo solido ingegno drammatico. Da Lillian Hellman estrae il sottile intrigo di La calunnia (1936); da Sidney Kingsley, sempre in compagnia della Hellman, ricava una patetica storia di gangster (Strada sbarrata, 1937); nuovamente dalla Hellman prende spunto per Piccole volpi (1941), un dramma familiare interpretato con bella grinta da Bette Davis (quella stessa Davis, che con lui aveva fornito una prova tanto notevole, in Figlia del vento, 1938, da conquistare un Oscar). Determinante nella riuscita di queste imprese è, appunto, la recitazione, che si avvale della fluidità e della continuità consentite dall'uso sistematico del deep focus, una tecnica elaborata dal grande operatore Gregg Toland, il quale sarà anche al fianco di Welles per Quarto potere (1941).

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