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Rassegna stampa di Gianfranco Mingozzi

Gianfranco Mingozzi è un attore italiano, regista, scrittore, sceneggiatore, co-sceneggiatore, assistente alla regia, è nato il 5 aprile 1932 a Molinella (Italia) ed è morto il 7 ottobre 2009 all'età di 77 anni a Roma (Italia).

IDA BIONDI
MYmovies.it

Diplomato in regia al Centro Sperimentale di Cinematografia, ha svolto attività di aiuto-regista e di documentarista, raggiungendo in questo campo ottimi risultati espressivi. Tra i suoi migliori lavori di carattere documentario vanno ricordati Col cuore fermo, Sicilia (1965), una acuta e violenta denuncia di taluni aspetti della società siciliana contemporanea, e Michelangelo Antonioni (1965), un intelligente e stimolante ritratto cinematografico del grande regista ferrarese. Interrotto per ragioni finanziarie un lungometraggio su Dario Dolci, esordì nella regia di film a soggetto con Trio (1967), un interessante esperimento di film a episodi, in cui in maniera critica e drammaticamente sfaccettata venivano affrontati alcuni problemi umani e sociali dei giovani d'oggi. Nel 1968, con Sequestro di persona, ha trattato il tema, difficile e complesso, del banditismo sardo, con risultati spettacolari certamente notevoli. Attento alle questioni di fondo della realtà contemporanea, dotato d'un acuto senso dell'osservazione e d'un temperamento al tempo stesso lirico e drammatico, Mingozzi si è venuto affermando come uno dei migliori registi italiani della nuova generazione.

GIAN PIERO BRUNETTA

Una maggior fortuna (sempre nell'ambito di registi che lottano per tutta la vita per non lasciarsi schiacciare dalle leggi di mercato) l'ha avuta Gianfranco Mingozzi, che, senza vendere le sue capacità al migliore offerente, è riuscito a inseguire un proprio progetto attuando una continua guerriglia nei confronti della produzione, e passando dal piano dei documentari ai lungometraggi, alla realizzazione di programmi di varia durata e impegno per la televisione.
Fin dal suo primo documentario, La taranta del 1962, Mingozzi si segnala all'attenzione della critica per la sua capacità di mettere a frutto le lezioni del documentarismo inglese, americano e neorealista innestandole in un terreno sociologico e culturale ancora inesplorato.
Nei documentari, così come nei film seguenti, che pure non hanno un centro e un nucleo propulsore visibile in comune, egli si rivela come uno degli autori più capaci di entrare e vivere un evento (anche in prima persona), dando l'impressione dell'incontro quasi casuale e spontaneo tra la sua macchina da presa, i personaggi e la situazione. Regista che usa la macchina in modo assai sciolto e libero, mimetizzando la propria presenza, egli cerca di vedere oltre i dati del fenomeno osservato, guarda a ciò che vi sta dietro e alle sue conseguenze per il futuro. I suoi maestri riconosciuti sono Fellini e Antonioni, ma in nessun momento Mingozzi ha mai pensato al grande film d'autore come piena realizzazione del proprio io registico. È straordinario come il regista abbia saputo comunicare con il corpo e il sangue di molti maestri del cinema e come - per quanto ne abbia perfettamente metabolizzato e assimilato la lezione - la loro presenza si intraveda o si percepisca in trasparenza. Se Fellini è presente per la sua capacità di dare a ogni figura evocata un valore epifanico e se da lui Mingozzi riceve lo stimolo a spingere lo sguardo oltre il visibile, da Antonioni assimila il rigore nella scelta delle inquadrature, il senso di necessità del punto di vista, gli equilibri dei rapporti spaziali, il senso delle cromìe, l'importanza del vuoto e del pieno nei rapporti spaziali.

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