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Rassegna stampa di Claude Autant-Lara

Claude Autant-Lara è un attore francese, regista, scrittore, costumista, è nato il 5 agosto 1901 a Luzarches (Francia) ed è morto il 5 febbraio 2000 all'età di 98 anni ad Antibes (Francia).

LIETTA TORNABUONI
La Stampa

Neppure il fatto d'appartenere all'Accademia di Francia e al Fronte Nazionale di Le Pen che nel 1989 lo elesse deputato al Parlamento Europeo riuscì mai a rendere antipatico Claude Autant Lara. Lo chiamavano “Il Coraggioso” anche per la fermezza con la quale affrontò nel 1947 le proteste più bieche e le polemiche più feroci contro il suo Il diavolo in corpo, tratto dal romanzo scritto tra i diciassette e i diciotto anni da Raymond Radiguet, interpretato da Gérard Philipe molto bello e da Micheline Presle molto ardente: storia della passione, durante la prima guerra mondiale, tra un ragazzo e una donna moglie d'un combattente al fronte, il bel film provocò un'alleanza ostile di moralisti e militaristi, una sollevazione di censori che non riuscì a spaventare il regista né a danneggiare la sua opera. Anzi, non ebbe altrettanta importanza, forza, successo, nessuno dei molti altri film da lui diretti: Occupati d'Amelia, Quella certa età, La traversata di Parigi, La ragazza del peccato (con Brigitte Bardot in una rara parte drammatica accanto a Jean Gabin), Non uccidere, L'amore attraverso i secoli: farse, tragedie, trasposizioni letterarie (Stendhal, Colette), commedie amare, questioni d'attualità come l'obiezione di coscienza, vicende romantiche, realizzati spesso con finezza, eleganza, trasporto, intelligenza, divertimento. Autant Lara apparteneva a quella cultura francese (o parigina) nella quale, soprattutto dagli Anni Venti ai Quaranta, tutte le arti e tutti gli artisti si mescolavano in una grande vitalità: Lara era lo pseudonimo della madre attrice, che il regista assunse nel proprio cognome per rendere omaggio al pacifismo e al cosmopolitismo di lei; Fernand Léger era lo scenografo di Futurismo, di cui lui creava i costumi; Marcel L'Herbier, Jean Renoir, René Clair erano i maestri di cinema d'avanguardia per i quali lavorava; Antonin Artaud era l'interprete del suo primo cortometraggio sperimentale, Fatto di cronaca; Reynaldo Hahn, il musicista amico di Proust, era l'autore dell'operetta da cui Autant Lara ricavò il suo primo lungometraggio, Ciboulette, una fiaba musicale. Quell'atmosfera, quello slancio, quello spirito vennero spazzati via, dopo la seconda guerra mondiale, dal dominio della cultura americana, dal passare del tempo, dal mutare delle società europee: ne La traversata di Parigi, Bourvil e Jean Gabin nella capitale francese occupata dai nazisti risultavano emblemi dei piccoli uomini schiacciati dalla Storia, capaci di irriderla e di sopravvivere grazie a un cinismo innato o acquisito per necessità. Quanto non fecero gli americani fece la Nouvelle Vague: l'opera di Autant Lara rientrava in quel cinema d'intrattenimento obsoleto che le nuove generazioni condannavano, volevano seppellire. Il regista continuò a realizzare film sino al 1977, poi scrisse due o tre libri, fece qualcuna di quelle sciocchezze a cui si può essere indotti dall'ozio, dalla solitudine, dall'età: ma resta almeno un esempio di magnifico mestiere.

PIETRO BIANCHI

È ormai pacifico nel mondo dei letterati e dei lettori di buon gusto che il romanzo del francese Raymond Radiguet, uscito subito dopo l’altra guerra e che ha per titolo «Le diable au corps», è un «piccolo classico». Cosa s’intende comunemente per un «piccolo classico»? Si intende un’opera d’arte la quale, pur non possedendo le dimensioni fisiche ma soprattutto ideali, di quei libri, dipinti o musiche, che si definiscono capolavori, ha tuttavia quel caratteri di durata, di risonanza, di perfezione strutturale che danno garanzia che si tratta di un lavoro riuscito, esemplare, di un testo che non teme né il correre turbinoso del tempo, né la difficile memoria degli uomini. Dopo aver dato piena contezza di sé col «Diavolo in corpo» e col «Ballo del conte d’Orgel» e aver giustificato in amici e ammiratori le più incredibili speranze, Radiguet si spense a vent’anni: il suo nome, avrebbe detto un altro poeta morto giovane, Keats, era stato scritto sull’acqua. Il suo nome di uomo, ,non quello di scrittore.
Come meravigliarsi se il cinema, a poco più di quarant’anni dalla fulminea morte di Radiguet, si è impadronito del suo capolavoro? Ci sarebbe da stupirsi, se mai, che non lo avesse fatto prima se non si sapesse che grave remora alla realizzazione e trascrizione per immagini del «Diavolo»è il soggetto, che va contro la morale comune. Parte da una realtà antica come il mondo, l’adolescenza, per urtare contro un’altra realtà che non ammette discussione, la guerra. Detto chiaro che Le diable au corps non è un film per anime timorate (come non lo è il romanzo), diciamo tranquillamente che l’amore di Marta e del protagonista è quanto di più naturale possa accadere tra due giovani di sesso diverso cui circostanze eccezionali (l’età ingrata, la guerra) impediscono i modi di vita normali.

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