Luigi Comencini è un attore italiano, regista, scrittore, sceneggiatore, co-sceneggiatore, assistente alla regia, è nato il 8 giugno 1916 a Salò (Italia) ed è morto il 6 aprile 2007 all'età di 90 anni a Roma (Italia).
«Per cosa voglio ricordare mio padre? Per avere formato intere generazioni di spettatori e cittadini, perché il suo cinema, anche se in maniera indiretta, è stato un cinema di grande impegno. Un cinema educativo nel senso più forte del termine». Quante generazioni hanno pianto davanti aL'incompreso o si sono lasciate incantare dal Pinocchio televisivo? Comencini ha cominciato prestissimo a girare film che parlano di ragazzi: dal primissimo Proibito rubare (1948), sulla difficile vita degli scugnizzi napoletani, a La finestra sul Luna Park (1956) in cui si racconta il tentativo di un padre emigrante di recuperare il rapporto col figlio, rimasto lontano per molto tempo. Il ragazzo, ormai, nei confronti del genitore ha un rapporto freddo e distaccato, mentre è legato da profondo affetto allo stracciaiolo del paese che ha sostituito il padre durante la lunga assenza.
«Ecco - dice Francesca Comencini - La finestra sul Luna Park è uno dei film di mio padre a cui sono più legata perché c'è questa doppia figura paterna, quello naturale assente e quello "adottivo" presente, che mi ricorda molto il mio vissuto».
Francesca, infatti, spiega che Luigi Comencini ha «incarnato tutti e due i ruoli». Dove l'«assenza» era relativa al suo lavoro da regista. «Mio padre - racconta - è sempre stato molto affettuoso, vicino, premuroso, ma non ha mai portato la sua attività di regista in casa. La nostra era davvero una famiglia normale. Non si parlava mai del lavoro di mio padre». La sua ricerca del papà regista, quello assente dunque, Francesca l'ha cominciata da adulta quando anche lei è passata dietro alla cinepresa, come del resto suo sorella Cristina. «La scelta di fare la regista - prosegue - è nata dal desiderio profondo, intimo di seguire mio padre: è come se lo facessi per lui e cercassi la sua approvazione. E l'ho avuta un po' di tempo fa quando gli ho mostrato un mio documentario realizzato in Francia su Elsa Morante e lui si è commosso».
Per questo Francesca dice di avere sempre a mente gli insegnamenti di suo padre: «È come se io e mia sorella Cristina ci fossimo divise la sua eredità in termini di temi e linguaggi. Lui amava molto i personaggi fragili, i personaggi schiacciati dalla società, quelli più deboli come i bambini, del resto. E li seguiva e li accompagnava con grande commozione e partecipazione perché era sempre dalla parte degli anti eroi. Ed è questo che io cerco di fare col mio cinema».
Come ci ha mostrato recetentemente con Carlo Giuliani, ragazzo, potente ricostruzione dell'ultima giornata di vita del giovane ucciso dai carabinieri in quel tragico luglio del G8 di Genova.
Dei personaggi di suo padre che ama di più, infatti, Francesca Comencini mette al primo posto La ragazza di Bube, interpretata da Claudia Cardinale. «È un ritratto di donna indimenticabile - sottolinea - che esprime una forza straordinaria pur essendo vittima di un meccanismo al di sopra di lei». Ma quello che le ha fatto sempre ammirare il lavoro di suo padre, conclude la regista, è stata «la sua chiarezza e attenzione per il pubblico. Il suo impegno alla divulgazione e all'educazione. Per questo non ha mai snobbato i temi popolari e tantomeno la televisione, come invece hanno fatto molti autori. E per questo credo che abbia avuto il grande merito, insieme ad altri, di aver formato non solo degli spettatori ma anche dei cittadini».
Da L’Unità, 6 giugno 2003
All'epoca in cui il neorealismo era soltanto nero, Luigi Comencini realizzò il primo film di una serie che doveva avere particolare fortuna: Pane, amore e fantasia.
Era un'opera schietta, direttamente espressa dalla cornice rurale cui si affidava, pervasa di ilarità e di sentimento secondo la più onesta tradizione italiana. In seguito, indulgendo ai temi comici, sembrò scadere nella farsa con I mariti in città, ma si riprese interpretando, in chiave ironica e con un certo risentimento polemico, i fatti dell'8 settembre in Tutti a casa: un film solo in apparenza caricatura, in realtà pervaso da note umane di un certo vigore; e narrato con un linguaggio dignitoso ed asciutto, per nulla incline all'immagine convenzionale.
Di impegno maggiore anche il suo film più recente, La ragazza di Bube, ridotto con molta fedeltà dall'omonimo romanzo di Carlo Cassola e risolto con particolare fervore soprattutto da un punto di vista stilistico. Il rapporto fra i due protagonisti, infatti, specie all'inizio, è preparato e poi risolto con rigorosa asciuttezza e con una essenzialità così aspra e severa da non lasciare spazio alle pause, alle iterazioni, alle lentezze, con un ritmo, anzi, che, sempre unito e compatto, scorre via con limpida disinvoltura, mantenendo costantemente in primo piano i due principali personaggi.
Anche il clima attorno è risolto con cura, perché pur senza riproporre pedissequamente i modi con cui il neorealismo trattò quei primi giorni tra guerra e dopoguerra cui l'azione del romanzo si affida, esprime l'atmosfera di quel tempo - gli americani, i partigiani, gli echi in provincia del referendum del 2 giugno, gli anni duri della ricostruzione e della miseria ancora dominante - con calda esattezza e con un personalissimo e originale rilievo figurativo. Ottenendo suggestivi effetti drammatici con composizioni corali rigidamente dosate che non soffocano mai il gruppo dei protagonisti, ma che, anzi, lo rendono più colorito e preciso facendogli da sfondo. Più avanti, invece, quando le contraddizioni psicologiche del testo e il suo squilibrio tra letteratura e realismo a suo tempo rilevato anche dalla critica più indulgente nei confronti di Cassola, si fanno più evidenti, Comencini non è riuscito a vincere il peso negativo dello spunto cui si rifaceva, e il film diventa più gratuito, più convenzionale, narrativamente più statico e più monotono, cedendo persino il campo ad alcune situazioni o troppo sentimentali o troppo retoriche. Conferendo all'insieme del racconto un aspetto scarsamente compatto e conseguente; non solo sul piano estetico, ma anche su quello spettacolare.
Da Cinema italiano 1952-1965, oggi, Carlo Bestetti Edizioni d’Arte, Roma 1966
Un onesto professionista. Ma non solo. La presenza di Comencini nel cinema italiano significa molte cose: è all'origine dell'unica, importante cineteca privata (la Cineteca Italiana, a Milano), sfiora il neorealismo senza mai affrontarlo esplicitamente, coltiva la commedia con uno sguardo attento alla società, allestisce strutture narrative sempre funzionanti e, soprattutto, si occupa con amorevole attenzione e grande sensibilità del mondo infantile. Per questo, può essere considerato una delle colonne del cinema nazionale del dopoguerra, nel quale s'installa con un documentario accorato e sobrio (Bambini in città , 1946), dopo aver interrotto gli studi di architettura ed aver esercitato la critica cinematografica. Ai problemi e alle inquietudini dell'infanzia tornerà più volte, e soprattutto in tre occasioni: La finestra sul Luna Park (1957), Infanzia, vocazione e prime esperienze di Giacomo Casanova veneziano (1969), delizioso quadretto di vita settecentesca, Voltati Eugenio (1980), troppo patetico per essere persuasivo, come il precedente ritratto infantile tratto da un romanzo assai noto di Florence Montgomery (Incompreso, 1967).
Autore garbato del primo e del secondo episodio della fortunata serie di «pane e amore» scritta da Ettore Margadonna per Gina Lollobrigida (Pane, amore e fantasia ,1953; Pane, amore e gelosia, 1954), riesce a riempire di più sostanziosi contenuti commedie in apparenza futili come La bella di Roma (1955), Mariti in città (1958) e, specialmente, Tutti a casa (1960), un film sull'armistizio in Italia: meschinità, astuzie e affanni di soldati in fuga, per una esemplare interpretazione di Alberto Sordi. Non alieno dai toni drammatici, a riprova della sua professionale versatilità, tratta con ottica pseudoneorealistica il romanzo di Cassola La ragazza di Bube (1963), introduce preoccupazioni morali in un giallo di qualche efficacia (Senza sapere niente di lei, 1969), tenta senza molto successo di tradurre in immagini una vicenda emblematica del tempo moderno (L'ingorgo, una storia impossibile, 1979), riscopre vibrazioni autentiche in un'avventura adolescenziale (Ragazzo di Calabria, 1987). Il cinema medio gli deve parecchio, l'impegno e l'onestà soprattutto, merci rare. Ha due figlie registe, Francesca e Cristina.
Francis Ford Coppola
1939
Sempre in altalena, questo cineasta italo-americano (figlio di un musicista e di un'attrice) pensa e lavora in grande, senza paura e senza prudenza. Cresce nei Queens a New York, studia alla UCLA, trova assistenza in Roger Corman (che gli permette di esordire con un horror nel 1963: Terrore alla tredicesima ora), scrive sceneggiature, dirige una commediola e un musical, si cimenta in un curioso road movie (Non torno a casa stasera, 1969), fonda temerariamente una società di produzione orientata verso l'elettronica, l'American Zoetrope, permette a giovani registi di realizzare i loro progetti, infine si getta nella prima, colossale avventura di II Padrino Parte I (1971) e Parte II (1974), due film sapientemente orchestrati e abilmente interpretati (Brando, Pacino, Caan, De Niro, Diane Keaton, ecc.), che si risolvono in un enorme successo. Poco dopo parte la seconda impresa a dimensione eccezionale; quell'Apocalypse Now (1979) che recherà proventi e fama al regista in misura perfino spropositata: ma intanto i guai e le difficoltà sono stati innumerevoli. Prima la mafia, poi il Vietnam ricostruito sulla traccia di Cuore di tenebra di Conrad, che garantisce a Coppola la Palma d'oro a Cannes (Il Padrino Parte II ha ottenuto sette Oscar). L'ambizione eccessiva spinge il regista fuori strada. La Zoetrope fallisce, due film interessanti ma confusi (Un sogno lungo un giorno , 1983, e Cotton Club, 1984) non convincono gli spettatori. Per questo Coppola deve ridurre i piani e l'arroganza produttiva. Ripiega - come già ha fatto, con bella sagacia, per La conversazione nel 1974: un piccolo film straordinario intorno a una storia di intercettazioni telefoniche - su due opere di ambiente giovanile, interessanti e piene di grinta, psicologica e spettacolare. Ma gli ondeggiamenti, e la follia, continuano: dopo un patetico ricordo del Vietnam e dei suoi caduti (Giardini di pietra,1987), l'ingordo regista dedica attenzione a un costruttore di automobili che sfidò la grande industria (Tucker, 1988), gira un mediocre episodio di New York Stories (1989), torna agli antichi amori con piglio melodrammatico e non poca stanchezza (Il Padrino Parte III 1990), riagguanta il successo con un horror manieristico, rutilante e sperimentale, ironico persino (Dracula, 1992).
Fernaldo di Giammatteo, Dizionario del cinema. Cento grandi registi,
Roma, Newton Compton, 1995