Janet Leigh (Jeanette Helen Morrison) è un'attrice statunitense, è nata il 6 luglio 1927 a Merced, California (USA) ed è morta il 3 ottobre 2004 all'età di 77 anni a Los Angeles, California (USA).
Un'attrice interessante e versatile, capace di giostrare col suo fisico slanciato e la sua spontaneità sexy sui diversi toni dell'intensità drammatica, della grazia sentimentale e della disinvoltura brillante. Eppure a Janet Leigh, al di là della candidatura all'Oscar, è toccato di restare legata per sempre al ruolo di Marion Crane, la contabile disonesta in fuga da Phoenix che viene massacrata nel bagno di un motel nel thriller più inquietante di Hitchcock... Magie e misteri del cinema: seppure presente in oltre sessanta pellicole e partner di star del livello di Errol Flynn, Gary Cooper e Jimmy Stewart, la Leigh non finirà mai di farci provare un brivido di colpevole voyeurismo quando in Psyco (1960) s'appresta a fare la doccia e Anthony Perkins si dilegua nelle tenebre della casa gotica presidiata da una madre imperiosa e querula. La sequenza, per la verità, aveva sconvolto da subito le platee mondiali non solo per l'imprevedibilità della morte di un'apparente protagonista ad appena 45 minuti dall'inizio del film, ma soprattutto per la sua (allora) inusitata violenza, orchestrata dal geniale montaggio del maestro. Nelle circa settanta fulminee inquadrature che dettagliano l'assassinio non si vede mai il coltellaccio del pervertito penetrare nelle sue carni nude, ma l'effetto complessivo, grazie anche alla lacerante partitura di Bernard Herrmann, è ancora oggi terrificante. Per girare la sequenza destinata a diventare di culto, l'attrice era tornata per un'intera settimana in quello spazio-mattatoio indossando una calzamaglia color carne e negli anni successivi ha confessato in numerose interviste di non essere stata più in grado di fare la doccia.
Nata Jeanette Helen Morrison a Merced in California nel luglio del '27, aveva intrapreso la carriera di cantante quando viene notata da Norma Shearer che le fa ottenere un provino alla MGM grazie al quale nel '47 debutta da protagonista. Già sposata due volte (il primo matrimonio, a quindici anni, era stato annullato), nel '51 diventa la moglie di Tony Curtis provocando imbarazzo e preoccupazione nelle rispettive majors, MGM e Universal, che temono l'affievolirsi della loro popolarità da sex-symbol. Al contrario la freschezza della sua bionda bellezza continuano a consentirle di interpretare numerosi film ingentiliti dallo spirito romantico dell'epoca (La saga dei Forsyte, Piccole donne), così come spensierate commedie, soprattutto musicali (Parole e musica, Quattro ragazze all'abbordaggio, Mia sorella Evelina) e solidi prodotti del genere avventuroso (Scaramouche, Lo scudo dei Falworth) o western (Lo sperone nudo).
Il matrimonio con Curtis era durato sino al '63 e dall'unione erano nate due figlie, Kelly e Jamie Lee, destinate a seguire le orme dei glamorous genitori. Nella filmografia dell'attrice, tuttavia, non è solo Psyco ad occupare una piazza prestigiosa. Nel '58, infatti, è la moglie di Charlton Heston nel capolavoro maledetto di Orson Welles L'infernale Quinlan e nel '62 regge il confronto con Frank Sinatra nell'allucinato, barocco thriller fanta-politico Va’e uccidi di John Frankenheimer. Nel corso dei Sessanta, nonostante qualche performance eclettica (Tre sul divano, Detective's Story), riscuote gradimenti sempre minori e finisce col dedicarsi ad accettabili serie televisive. Nell'80, però, ricompare con la classe di sempre in Fog di Carpenter insieme alla conturbante Jamie Lee, diventata l'antieroina della serie horror, e sei anni fa s'impegna, ancora una volta accanto alla figlia, in un cammeo autoironico (scandito, manco a dirlo, dalla musica di Psyco) di Halloween - 20 anni dopo.
Da Il Mattino, 5 ottobre 2004
È ricordata con il viso deformato da un grido di morte, un frame che segna la storia del cinema, Janet Leigh urlava in Psycho come l'uomo di Munch. Un urlo che dice di più della paura di Marion Crane, trasmette le vibrazioni emotive dei tempi. Allora, come ora, Janet Leigh urla per tutti noi. Era il 1960, tre anni dopo John F. Kennedy sarebbe stato ucciso. Era l'urlo dell'America già in rivolta. Stagliata nel bianco e nero di Hitchcock, Janet catalizza un'atmosfera di spaesamento che evoca il noir anni Quaranta e l'incursione di una malessere mentale. Ovvero Norman Bates, un Anthony Perkins, che estremizzava la perdita dell'identità maschile già investigata dall'uomo-erotico (Marlon Brando, James Dean...). Davanti a sé, Marion Crane ha una creatura camaleontica, un essere inafferrabile, non più sensibile alla seduzione. Norman Bates si incarica di uccidere definitamente la diva con una «vera» coltellata al cuore. Centralità della psicanalisi e della nouvelle vague europea, che il maestro del brivido ripropone a suo modo e che dà all'attrice il suo fermo immagine immortale. Per questo, la notizia della scomparsa di Janet Leigh suona come un assurdo, un'impossibilità. L'attrice è morta ieri a Los Angeles all'età di 77 anni. Abitava a Beverly Hills, nel quartiere esclusivo dei ricchi e dei famosi, circondato dalle palme e chiuso da un cancello dorato. Era malata da tempo. Accanto a lei c'erano le figlie attrici, Kelly e la più nota Jamie Lee, entrambe nate dal matrimonio con Tony Curtis, il protagonista di A qualcuno piace caldo.
Jeannette Helen Morrison (il suo vero nome) era di Merced, California (1927), figlia di un agente immobiliare. Modella e attrice, esordisce nel cinema grazie a Norma Shearer che per l'Mgm la fa debuttare nella Cavalcata del terrore (1947) diretto da Roy Rowland. La sua presenza un po’evanescente - è sottile, bionda, di una sensualità infantile - la consegna a ruoli di ragazza innocente al centro di conflitti drammatici come in Atto di violenza di Fred Zinnemann ('48) e ne Lo sperone nudo di Anthony Mann. Il sodalizio sentimental-artistico con Tony Curtis (lo sposa il 4 giugno 1951, dopo due matrimoni, con John Carlyle e con Stanely Reames) le fa scoprire anche il suo lato di attrice brillante. Anche se all'inizio è chiamata a interpretare film in costume come Il mago Houdini di George Marshall ('53), Lo scudo di Falworth di Rudolph Maté ('57) di ambiente medievale e I vichinghi di Robert Fleischer ('57).
Degli anni Cinquanta sono le commedie: Più morto che vivo di Norman Taurog, Mia sorella Evelina di Richard Quine (entrambi del `55) e il musical Ciao, ciao Birdie ('63) di George Sidney che la dirige anche nel magnifico Scaramouche ('52) accanto a uno scatenato James Stewart. Ecco la vera Janet, fata radiosa, sogno di bellezza, apparizione.
Una svolta nella sua carriera è dovuta all'incontro con Orson Welles che la chiama al ruolo di Susan Vargas nel thriller notturno L'infernale Quinlan ('58) e poi a quello con Alfred Hitchcock che la vuole per Psycho. Il regista inglese vede in lei il suo ideale di donna, la fredda, fragile bionda che nasconde abissi di perdizione.
Il ruolo di Marion Crane le regalò così una trappola d'oro, e lo stesso successe ad Anthony Perkins, invischiato nell'icona maledetta del folle motel. Janet restò, dice la leggenda, sette giorni sotto la doccia eternamente urlante, ma si guadagnò la nomination all'Oscar. Non per questo i suoi film successivi sono senza valore, anzi. Nel 1966, è insieme a Jerry Lewis sul set dell'insuperabile Tre sul divano. La troviamo poi diretta magistralmente da John Carpenter in Fog, e in piccole parti di molte pellicole cult. John Frankenheimer la dirige in Va e uccidi , ma l'attrice dedica sempre più tempo alla televisione (This is Maggie Mulligan e Tales of the Unexpected, On the Road). Si risposa per la quarta e ultima volta con Robert Brandt e appare in un cameo (accanto alla figlia Jamie Lee) nel sequel Halloween 20 anni dopo. L'ultimo film s'intitola A fate totally worse than death diretto nel 2000 da John T. Kretchmer. Nel 1984 pubblica l'autobiografia C'è stata davvero Hollywood.
Adesso che se n'è andata, tutta la sua carriera sembra dissolta in un'unica inquadratura d'orrore. Ma c'è un personaggio che pochi ricordano nella filmografia dell'attrice, e che ribalta l'immagine del grido disperato di Marion Crane. È Meg di Piccole donne, regia di Mervin LeRoy (1949). Il film è la seconda trasposizione del romanzo di Louisa May Alcott dopo quello di George Cukor, e ha un cast stellare: June Allyson, Peter Lawford, Margaret O'Brien, Liz Taylor, Rossano Brazzi, Mary Astor. Tra tutti, Janet Leigh è l'elemento catalizzatore della famiglia March, la sorella apparentemente meno inquieta, romantica, sensibile. In lei, nel viso bellissimo di Janet, passano desideri, sogni e delusioni di una generazione. La sua elegante timidezza parla senza gridare di un'educazione a diventare donna che diventerà violazione dei codici. Il sorriso di Meg cancella l'urlo di Marion.
Da Il Manifesto, 5 ottobre 2004
Sì, dopo aver girato Psycho non fece mai più la doccia. No, l’acqua non era fredda, Hitchcock si premurò perché la doccia gettasse acqua calda per tutti i 7 giorni di riprese necessari per la scena. No, Anthony Perkins non era sul set: era a New York per le prove del musical Greenwillow, e del resto l’attore non interpretò nessuna delle scene in cui appare, letteralmente, nei panni della madre (Hitchcock non voleva che il pubblico potesse riconoscerlo). Sì, lei era nuda sotto la doccia, ma in nessuna inquadratura, per quanto brevissima, si vedono i capezzoli: problemi di censura, in quel lontano 1960.
Bisogna partire da lì, da quella scena - una delle tre o quattro più famose della storia del cinema - per raccontare la vita di Janet Leigh. Una diva capace di interpretare 63 film in carriera, e di frequentare le cronache rosa per un decennio grazie al «popolarissimo» matrimonio con il collega Tony Curtis (durato dal 1951 al 1962), ma rimasta nella memoria collettiva per un ruolo da protagonista nel quale muore a metà film. Psycho, oggi, può apparire come un horror «normale», o più semplicemente come uno dei film più famosi di Alfred Hitchcock: in realtà fu un film rivoluzionario. Perché rifondava un genere (l’horror, appunto), perché riscriveva le leggi del marketing applicato al cinema (riprese vietatissime a stampa ed estranei, titolo di lavorazione falso e fuorviante - Wimpy -, trailer misterioso in cui si vedevano solo il regista e il motel, divieto - per la prima volta nella storia! - di far entrare il pubblico a spettacolo iniziato). E perché, appunto, faceva morire la star nel primo tempo. E nonostante questa prematura scomparsa dal film, Janet fu candidata all’Oscar e cominciò a popolare i sogni (e gli incubi) di tutti i maschi del pianeta. Il film, del quale si tende a ricordare solo il motel, la doccia e le parrucche di Anthony Perkins, iniziava con una scena di sesso fra lei e John Gavin che era incredibilmente osé per il 1960. L’unico rimpianto di Hitchcock - lo confessò anni dopo a Truffaut - era il reggiseno: anche lì, motivi di censura, ma il regista avrebbe voluto il nudo integrale.
Janet Leigh, come si diceva, era già una star, più del suo giovane partner Anthony Perkins. Era in pista dal ‘47: aveva esordito a vent’anni. Fu scoperta da un’ex diva a riposo, Norma Sherear: vide la sua foto incorniciata alla concierge di un albergo di montagna, dove il padre di Janet lavorava. Alla Mgm le cambiarono il nome - si chiamava Jeanette Morrison - e le affidarono inizialmente parti da «ingenua», poi la schierarono accanto alle già famose June Allyson e Liz Taylor in Piccole donne (di Mervyn LeRoy, 1949), e il ruolo di Meg fu un viatico per la popolarità.
Nel ’51 sposò Tony Curtis e nel ’53 ottenne il primo ruolo «psicotico» nel western Lo sperone nudo (di Anthony Mann), dove se la disputano James Stewart, Robert Ryan e Ralph Meeker. Nel frattempo apparve in grandi successi come Scaramouche (1952) e Il mago Houdini, accanto al marito. Nel ’58 la chiamò Orson Welles per uno dei film più maledetti della storia, L’infernale Quinlan: il destino produttivo e commerciale del film fu infausto, ma lei, accanto a Charlton Heston, forma una coppia insolita ed estremamente sexy, e per la prima volta viene sequestrata e molestata in un motel. Ebbe un altro ruolo drammatico in Va’e uccidi, di John Frankenheimer (1962), il thriller fantapolitico recentemente rifatto da Jonathan Demme.
Eppure Janet Leigh era soprattutto un’attrice «leggera». Era molto orgogliosa di aver interpretato numerosi musical, per i quali aveva imparato a ballare, e si sentiva particolarmente versata per la commedia. In questo senso vorremmo cantare le lodi di Tre sul divano, uno strepitoso film di e con Jerry Lewis in cui lei è la fidanzata di lui. Jerry è uno scultore che vince un soggiorno di lavoro a Parigi, lei è una psicoanalista di successo che non può seguirlo perché tre sue pazienti hanno bisogno di cure. Le fanciulle, tutte assai carine, hanno lo stesso problema: non trovano l’uomo giusto, e Jerry le seduce tutte e tre, impersonando tre diversi tipi di maschio e rimanendo sempre fedele all’amata Janet. È un film in cui Lewis si confronta con la commedia sofisticata, intessendo un geniale gioco di equivoci e cantando le lodi di Janet Leigh come intoccabile quintessenza dell’american woman, della donna americana. Il film è del ’66, quando ormai il matrimonio con Curtis era finito, ma ci resterà per sempre la voglia di vedere i filmini amatoriali che il trio Lewis-Leigh-Curtis aveva realizzato per gioco negli anni precedenti: sono di proprietà di Jerry, chissà se li tirerà mai fuori dal cassetto.
Dopo gli anni della gloria - che comprendono anche un film italiano, Ad ogni costo di Giuliano Montaldo, 1967 - Janet Leigh si segnala per piccoli ruoli e diventa pian piano «la mamma di Jamie Lee Curtis», che come lei viene insidiata da un killer in un horror epocale quasi quanto Psycho: Halloween, di John Carpenter, 1978. E curiosamente proprio Carpenter la volle in The Fog, del 1980: il suo ultimo ruolo importante fu accanto alla figlia, un passaggio di consegne che Janet, da sempre convinta che la famiglia viene prima del lavoro, avrà sicuramente apprezzato.
Da L’Unità, 5 ottobre 2004
Dopo quella scena di accoltellamento, confessò in un libro di non esser mai più riuscita a entrare in una doccia. Prigioniera due volte del mago del brivido Alfred Hitchcock: perché quelle sequenze di Psycho, entrate come un'icona nella storia del cinema, fermarono anche la futura carriera di Janet Leigh. L'attrice americana, sofferente da tempo di un'infiammazione al sistema circolatorio, è morta ieri nella sua casa di Beverly Hills a 77 anni. Al suo capezzale il marito Robert Brandt e le figlie Kelly e Jamie Lee Curtis (nate dal matrimonio con Tony Curtis), anch'esse attrici. Per quella scena in cui, nei panni della ladra Marion Crane in fuga da Phoenix con 40 mila dollari nella valigia, viene ammazzata sotto la doccia di un isolato motel dallo psicopatico Norman Bates (interpretato da Anthony Perkins) ottenne anche una nomination all'Oscar nel '61. Da allora pochi altri ruoli in una manciata di film, tra cui Tre sul divano con Jerry Lewis, Va' e uccidi di Frankenheimer e Fog di Carpenter. Prima del fatidico e mortale urlo di terrore immortalato da Hitchcock la Leigh era stata protagonista in Atto di violenza di Zinneman (del '48), Piccole donne di Le Roy ('49), Scaramouche di Sidney ('52), Lo sperone nudo di Mann e Il mago Houdini col marito Tony Curtis (del '53), fino all'Infernale Quinlan di Orson Welles ('58). Nel '60 Hitchcock, dopo aver scartato diverse altre attrici (tra cui Shirley Jones e Lana Turner), scelse proprio Janet Leigh per quella breve ma leggendaria parte in Psycho. Per quella scena Hitchcock chiese alla troupe che l'acqua diventasse improvvisamente gelida nel momento in cui Marion veniva accoltellata. Ma non fu quello l'unico "scherzo" ai danni della Leigh: il regista, infatti, volle provare l'efficacia del cadavere della madre di Norman, mettendolo nel camerino della Leigh e ascoltando quanto urlasse forte quando lo scoprì. Il regista aveva tra l'altro concepito la scena della doccia senza colonna sonora, ma il musicista Bernard Herrmann compose ugualmente un brano e Hitchcock cambiò idea quando lo ascoltò. Inizialmente il lancio del film fu bloccato dalla censura che sosteneva che nella scena della doccia si vedesse un seno di Janeth Leigh. Ma così non era: la Leigh aveva indossato una tuta color carne. «Non potevamo mostrare le nudità, né una lama che trafigge un corpo - raccontò l'attrice -, ma la maggior parte delle persone si convinse di averle viste entrambe. Avere limitazioni di quel tipo spingeva i registi a essere più creativi».
Da L’Avvenire, 5 ottobre 2004
Janet Leigh, alias Marion Crane, alias Susan Vargas. I l primo nome è quello con cui fu celebre come attrice di film di ogni genere tra la fine degli anni ’40 e i primi ’60 (quello che le diedero quando nacque in California il 6 luglio del 1927 era più perbene e meno sexy: Jeanette Helen Morrison). Il secondo, molti lo ricorderanno, è il nome che portava in Psycho, una figura entrata nella leggenda anche se veniva accoltellata sotto la doccia in una delle scene più clamorose, imitate e commentate della storia del cinema.
Il terzo nome, noto forse solo ai cinefili, è quello che aveva ne L’infernale Quinlan di Orson Welles. Un altro piccolo personaggio, per giunta in un film di serie B che prima di diventare un “cult” fu un fiasco commerciale. Tanto da poter tranquillamente dire che la fama di Janet Leigh riposa in buona sostanza su questi due capolavori (a Psycho , di cui restò in certo senso prigioniera, l’attrice dedicò anche un libro di memorie una decina d’anni fa). E su un pugno di altri titoli come il Piccole donne di Mervyn Le Roy, 1949 (le sorelle erano Liz Taylor, June Allyson e Margaret O’Brian); Lo sperone nudo (1953), western crudele di Anthony Mann; Il mago Houdini , oliato “biopic” di George Marshall (1953), uno dei cinque film che interpretò accanto al terzo e non ultimo marito Tony Curtis (unione felice, almeno cinematograficamente, se misero al mondo l’incantevole Jamie Lee Curtis). Senza dimenticare Tre sul divano (1966), una delle gemme di Jerry Lewis; Scaramouche di George Sidney (1952); Va’ e uccidi di John Frankenheimer (1962), appena rifatto da Jonathan Demme; e un curioso giallo di Giuliano Montaldo, Ad ogni costo , 1967.
Ma è inutile dire che Janet Leigh non lasciò mai segno più forte che in Psycho (il film di Hitchcock, fra l’altro, le fruttò l’unica candidatura all’Oscar come non protagonista, Oscar poi vinto - vendetta! - da una delle attrici scartate da Hitch ai provini, Shirley Jones nel Figlio di Giuda ). Un bel paradosso, visto che fra l’altro il suo personaggio usciva imprevedibilmente di scena a nemmeno metà film. Ma la scansione incalzante del montaggio (45 secondi di pugnalate “disegnate” e secondo alcuni girate dal mago dei titoli di testa Saul Bass), il bianco e nero duro e realistico («Non avrei mai potuto fare quella scena a colori», diceva Hitchcock, «troppo sangue»), le musiche di Bernard Herrmann, e naturalmente l’urlo sconvolgente di Janet Leigh, avrebbero reso la scena indimenticabile.
La scena ed il personaggio, perché bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare e quella ladra amorale destinata a immediato castigo, che in apertura appare in mutande e reggiseno col suo amante, deve molto anche al talento, alla grazia, al fascino torbido (almeno in quel film) dell’attrice. Che qualche anno prima, pochi l’hanno notato, si era già trovata sola in uno sperduto motel con uno strano giovane molto nevrotico... Accadeva nell’ Infernale Quinlan , che Hitchcock non poteva ignorare. Ma se “furto” c’è stato, fu il più proficuo - e fra pari grado - che il cinema ricordi.
Da Il Messaggero, 5 ottobre 2004