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Rassegna stampa di Takeshi Kitano

Takeshi Kitano (Kitano Takeshi). Data di nascita 18 gennaio 1947 a Tokyo (Giappone). Takeshi Kitano ha oggi 77 anni ed è del segno zodiacale Capricorno.

CRISTIANA MORONI
MYmovies.it

Nasce a Tokyo in una zona molto povera della città, dove diventare uno yakuza sembra essere l'unica possibilità per un avvenire sicuro. Spinto dalla madre inizia invece a frequentare la facoltà di ingegneria, anche se con scarso interesse. Dopo tre anni infatti abbandona gli studi per dedicarsi a ogni genere di lavoro. Fa l'attrezzista in un locale di strip-tease dove si esibiscono anche dei comici e proprio sostituendo uno di questi ammalatosi, Kitano inizia la sua gavetta di attore comico imparando anche la danza, il mimo... ma mantenendo uno stile molto personale e originale. Nel 1973 il comico Beat Kiyoshi gli chiede di diventare suo partner e da quel momento Kitano assumerà il nome d'arte di Beat Takeshi e i due si faranno chiamare i Two Beat. Nel 1974 appaiono per la prima volta in televisione e iniziano così dieci anni di successi nel periodo d'oro del varietà televisivo giapponese. Nel 1984 Kitano inizia la sua carriera da solista facendo l'attore e regista di commedie televisive, programmi educativi e giochi a premi, conduttore di talk show, commentatore sportivo alla radio e opinionista per settimanali e quotidiani. Le sue prime interpretazioni cinematografiche sono dei primi anni Ottanta e il suo primo ruolo importante è quello del sergente Gengo O'Hara in Furyo di Nagisa Oshima del 1983. Nel 1989 fa il suo esordio come regista con Violent Cop a cui seguiranno nel 1990 Boiling Point, Il silenzio del mare nel 1991 e Sonatine nel 1993, film che gli fa ottenere una certa fama internazionale. Nel 1994 rimane vittima di un gravissimo incidente in moto, che lo lascerà sfigurato e con la parte destra del volto paralizzata. Durante la lunga convalescenza inizia anche a dipingere. Nel 1995 recita in Johnny Mnemonic e interpreta, con risultati poco soddisfacenti, il ruolo di uno yakuza. Torna a dirigere nel 1996 il film Kids Return ed è del 1997 Hana-bi con cui vince il Leone d'oro alla Mostra del cinema di Venezia segnando così la sua affermazione come autore. Nel 1999 presenta a Cannes L'estate di Kikujiro, storia semplice e lieve lontana dai cliché violenti che sembrano caratterizzare i film di Kitano a cui invece tornerà con Brother (2000) primo film girato in America e presentato fuori concorso alla 57. Mostra del Cinema di Venezia. Tema conduttore di tutta la sua filmografia è sì la violenza ma filtrata dal codice morale dell'onore e aspetto altrettanto tipico di Kitano è il gioco inteso come contrappunto alla tensione che viene così stemperata in uno stato di sospensione e di meraviglia quasi fanciullesca.

EDOARDO BRUNO

Con Brother, Takeshi Kitano esce dal Giappone e gira il suo film negli Stati Uniti, a Los Angeles. Ma ritrova la stessa stilistica, la stessa luce implacabile come una lama, la geometrica essenzialità degli atteggiamenti, la brutalità espressiva, l'acciaio di una convergenza geometrica. E ritrova pure le pause nell'intrigo rumoroso della città, la lenta disponibilità alle parentesi, il gioco tra l'essere e l'apparire, sospendendo la linearità del racconto per inseguire le pause del ritmo, le snervature delle sue costruzioni.
Vengono in mente da Il silenzio del mare, l'opacità inseguita negli interstizi e da Sonatine l'assenza, il vuoto che si apre improvviso, i giorni nascosti sulla spiaggia di Okinawa, tra atrocità e innocenza, inventandosi giochi, scherzi infantili e la violenza, improvvisa, giustificata, tra le righe, dopo uno stupro, in una visione silenziosa dove contano i gesti, l'immobilità essenziale, l'analisi dei volti. Presentati come forme dell'immediato, come l'essere e l'esistente, i personaggi sono quasi una rilettura della filosofia hegeliana, dove appunto l'esistente è una unità immediata dell'essere e della riflessione, un apparire che viene dal 'fondamento' e vi si inabissa. Le vittime sono come già fissate, arrestate nel tempo, in posa da ritratto funebre; nella sequenza dell'uccisione dello stupratore, e bastato un lampo di luce a suggerire lo sparo, un bagliore per rompere il paesaggio e il silenzio. I morti sono là a restare come tableaux vivants, ritratti nei ritratti, allegorie, forme della messa in scena. Brother continua a muoversi in questo solco pittorico, in questa figuratività, anche se cambiano i contorni della città; il protagonista è fisso nel suo quadro, nel ritratto dello Jakuza che arriva a Los Angeles, senza parlare una parola di inglese, senza capire il 'valore dei suoi dollari (che lascia di mancia), che si muove come murato nella spazialità del suo corpo, in una città estranea, dove le bande hanno invaso la malavita, divenendo i nuovi gangsters, macchine per uccidere, senza implicazioni psicologiche, senza 'territori' sentimentali. Kitano ritrova nella città il suo ambiente, si astrae dai rumori, dalle etnie diverse, si inabissa dentro queste derive slabbrate. Ritrova i fratelli della Yakuza, ritesse senza perplessità, in una nuova ritualità, la stagione dei samurai, trasformando la violenza in energia, feidos in energeia. Si avverte una tonalità di pensiero che 'gioca con il paradosso di una situazione tutta esteriorizzata, che muove attorno al corpo di Kitano-attore come un meccanismo micidiale pronto a uccidere, 'cinema lui stesso, amaro e sorridente della propria nostalgia. Nostalgia che lo porta a ritrovare in Zatoichi i suoi miti, le radici di un discorso che lo immerge nell'immaginario, e lo costringe a ripercorrere colori e violenze nascoste, territori dalle lunghe figure, dalle ombre senza prospettive, nel precipitare dei secoli. Luoghi attraversati per cogliere altre violenze, altre imposizioni, dove le spade incrociano impossibili gesti e diventano segni, linguaggio di un materialismo meccanico, in un continuo affrontamento dialettico. I movimenti del film diventano figure geometriche, astratti segni di un alfabeto antico e misterioso che richiamano ancora le forme pittoriche dell'arte classica e i dinamismi coreografici della danza moderna, incorporando fonemi e ritmi di un linguaggio rituale violento e crudele. Un qualcosa d'ordine infinitesimale che è etimologicamente un 'avventura, un ripercorrere a ritroso le basi di una etnia, di una cultura rivissuta come un enigma. E come enigma, Kitano ritesse in Dolls alcuni suoi film precedenti, come le tracce di Hana-bi, che compaiono tra il viaggio e la morte dei due amanti vagabondi. Il teatro Bunraki, con le sue marionette si intreccia alle storie contemporanee narrate, segna questa ricerca nel tempo, questo fermare una tradizione nelle forme ritrovate e nel ricercare figure della tradizione e 'segna con dei rossi impossibili il bosco autunnale, per sottolineare la passione amorosa. Con Tokeshis Taueshis, l'uomo e il suo doppio, traccia un ritratto surreale di sé, un modo fittizio di collegarsi ancora una volta, alla propria storia e anche distinguersene, di creare gli spazi tra quello che si è e quello e quello che inconsciamente si vorrebbe essere. Ma sempre nella finzione del dire e del non dire e di rendere estremo il ritratto inventato. L'architettura del film sfiora il sogno, Kitano ripercorre tracce del suo cinema e stabilisce una ideale autobiografia, un 'suono' violento e sommesso, sovrapposizione di musica e prosa, di azioni e rumori, in una diegesi continuamente assordante. Affondando dentro un qualcosa di appassionato, di generoso e di sacro, che oltrepassa il segno stilistico in un 'più' di umano, come un punto di fuga.

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