Oreste Lionello è un attore greco, è nato il 18 aprile 1927 a Rodi (Grecia) ed è morto il 18 febbraio 2009 all'età di 81 anni a Roma (Italia).
Oreste Lionello, a fine anni Settanta, era già Oreste Lionello. Ma i bambini che per ragioni di famiglia frequentavano le sale di doppiaggio romane non sapevano, allora, chi fosse quel signore allegro, con il berretto di lana colorata e la sciarpa a righe, che ti rincorreva nel corridoio facendo la voce di Gatto Silvestro. Ne avevano anche paura, come quando al circo arrivava il clown e un po’ ti faceva ridere un po’ ti faceva indietreggiare, e allora nascondevi la faccia nella giacca di papà. Ieri, alla notizia della morte di Lionello, gli ex bambini che si aggiravano nelle sale di doppiaggio sul finire degli anni Settanta non hanno pensato all’attore, al doppiatore di Woody Allen, del dottor Stranamore, di Charlie Chaplin, all’imitatore di Andreotti, all’uomo del Bagaglino, al traduttore istantaneo di versi francesi in rima baciata (lo fece per il film Cyrano de Bergerac), all’artista di cui ieri Giorgio Napolitano ricordava “il delicato tratto satirico”. Hanno pensato invece a quella scena: Lionello che ti rincorre facendo strani versi e chiamandoti non per nome, ma con un ossequioso “Signorina Tal dei tali, signorino Tal dei tali: venga qui!”.
Il fatto è che Lionello dava del “lei” anche agli adulti, anche ai colleghi di vecchia data, dava sempre del “lei” ed era il suo gioco – e non si riusciva a capire se quei ghirigori di cavalleria vocale, quelle formule di somma educazione contenessero reale stima, leggero sfottò, irriverenza o l’insieme di queste tre sfumature. Fatto sta che alla fine quel “lei” era diventato un segno di riconoscimento. Lionello a volte dava del “lei” anche a sua figlia Cristiana, quando lavorava con lei come direttore di doppiaggio – e un giorno, molti anni fa, forse per temprarla, visto che era ancora adolescente, le fece ripetere una scena di Manhattan ben cinquantasei volte.
Non andò meglio all’assistente che Lionello sottopose, per un periodo, a piccole sfide bonariamente dispettose: “Incideremo questa scena solo tre volte, saranno tutte e tre perfette, ma solo una andrà esattamente ‘a sinc’, e sarà lei a dirmi quale”, al che la poveretta, pur di non sbagliare sincronizzazione, cominciò a lavorare in piedi, per poter percepire persino il più impercettibile scollamento voce-immagine. Una volta, poi, una giovane attrice che aveva lavorato con Lionello in qualche film, ma “in colonna separata” (cioè incidendo la voce in giorni diversi), si ritrovò finalmente il mostro sacro in sala, accanto a lei, al leggio. Intimidita, se ne uscì con un: “Sono contenta di incontrarla, è un onore lavorare con lei”. Lionello non disse “grazie”, bensì “senta, ma la pagano per dire queste cose?”. Era una dichiarazione di stima al contrario. Erano scherzi-non scherzi del Lionello che non credeva a nessuno e neppure a se stesso, perché era già oltre, già nella fase “smitizzazione”.
Erano trabocchetti burloni accompagnati da regali, gesti gentili e improvvisa generosità – cioccolatini, monete, camei in cortometraggi di amici fatti senza chiedere compenso e per il gusto di divertirsi a interpretare, come nei doppiaggi dei film di Fellini, sei o sette personaggi. La sua severità era il retaggio di un mondo che non c’era più e che Lionello aveva recentemente raccontato a Ilaria Stagni nel documentario “L’arte del doppiaggio”: sono cresciuto artisticamente nel secondo dopoguerra – diceva – quando si era molto più rigidi nel recitare. E scherzava sulla sua “fortuna”: i doppiatori affermati negli anni Sessanta-Settanta non avevano capito, lì per lì, le potenzialità di quello strano nuovo attore americano, quel piccoletto occhialuto, e allora avevano chiamato me, un giovane, raccontava Lionello. Quell’attore era Woody Allen, e oggi agli amici di Oreste viene sempre in mente la volta in cui, dopo una serata al Bagaglino, Lionello si presentò alla prima di Match Point ancora truccato da Berlusconi – al che Woody, che pure conosceva bene il suo alter ego vocale italiano, fece una faccia perplessa se non schifata.
“Bontà d’animo”, ripetevano ieri attori, politici, amici e collaboratori nel ricordare Lionello. E qualcuno diceva: “Sembra impossibile pensare che non c’è più, pensarlo sul serio”.
Perché Lionello non prendeva sul serio nulla, che è poi un modo per prendere sul serio tutto. Aggrediva le cose serie con serissima leggerezza, come il suo adorato Charlie Chaplin, di cui aveva doppiato a braccio, senza una prova, il discorso “hitleriano” ne Il Grande dittatore. Non credeva o non voleva credere, l’autore comico Oreste, alla serietà irreparabile dell’esistente. E non considerava neppure l’ipotesi “interruzione dell’emozione”: un attore non può smettere di recitare, per nessuna ragione, foss’anche la morte. Tanto che un giorno, al funerale di un amico attore, riuscì a evocarlo come se fosse lì con lui, su un palco immaginario di vita vera, nel mezzo di un consiglio di amministrazione della società che Lionello aveva creato e in cui l’amico aveva a lungo lavorato. Era il gesto più affettuoso che si potesse immaginare in quel momento: non crederci. E i presenti, pur nella serissima serietà del luogo, come per incanto sorrisero grazie a Oreste che non sorrideva affatto.
Da Il Foglio, 19 febbraio 2009
Ultimo retaggio di tre decenni di dominio italiano sul Dodecanneso, strappato all’Impero ottomano con la guerra del 1911-12, Oreste Lionello era nato a Rodi nel 1927. Il dettaglio conferma che fra carriera nello spettacolo e origine in terre non (più) italiane c’è un nesso, che vale per Lionello come per Alida Valli, Laura Antonelli, Femi Benussi, Claudia Cardinale, Antonella Lualdi, Rossana Podestà, Osvaldo Valenti, Luca Barbareschi...
Quanto al tipo di notorietà di Lionello, essa è affidata, più che alla quarantina di film dove ha recitato, a quelli - ben di più e ben più importanti - dove Lionello ha prestato la voce a un altro attore. Gli italiani ne scoprono la bravura prima di conoscerne il nome, perché negli anni Sessanta raramente i doppiatori erano citati nei titoli.
Ma è Lionello che sostituisce Elio Pandolfi nell’emettere suoni articolati credibili col becco di Paperino; è lui il Gatto Silvestro; è lui Peter Sellers del Dottor Stranamore di Stanley Kubrick; Dick Van Dyke in Mary Poppins di Robert Stevenson; è Charlie Chaplin nel secondo doppiaggio del Grande dittatore, di Chaplin stesso; è lui Gene Wilder in Frankenstein jr di Mel Brooks; è lui Michel Serrault, accanto a Ugo Tognazzi, nel primo e nel secondo Vizietto di Edouard Molinaro e nel terzo, di Georges Lautner; è lui Robin Williams, accanto a Pam Dawber, nella serie tv Mork & Mindy.
Soprattutto Lionello è Woody Allen, fin dagli inizi, quando i suoi personaggi di intellettuale newyorkese ebreo facevano ridere, con intelligenza e cultura. Il cinema italiano coevo (cui Lionello contribuiva anche come caratterista) d’intelligenza e cultura s’infischiava, consapevole già allora di ciò che è palmare oggi: che se il pubblico cinematografico è spesso intelligente, quasi mai è colto.
Ma Lionello sapeva infischiarsene, curando il difficile adattamento in rima, oltre che il doppiaggio, del Cyrano de Bergerac con Gérard Depardieu, che Jean-Paul Rappeneau e Jean-Claude Carrière avevano tratto dall’opera di Edmond Rostand.
Quando Lionello aveva cominciato a doppiare, quasi mezzo secolo fa, era ancora bello ascoltare i doppiatori, identificarsi con loro e identificare loro coi divi. Gualtiero De Angelis era un giorno Cary Grant, un altro James Stewart; Alberto Sordi era ora Oliver Hardy, ora Pedro Armendariz; Paolo Stoppa era Richard Wydmark; Vittoria Febbi era la maggior parte delle signore di Hollywood, con una certa tendenza a una prosa gorgheggiante...
Di quei doppiaggi con poche voci Nanni Moretti si sarebbe lagnato in uno dei suoi film, sostenendo che «erano tutti parenti», dettaglio vero più oggi che allora. Ma allora il doppiaggio era generalmente un lavoro per chi veniva dal teatro; anche quando le interpretazioni non erano immense, c’era una dizione che oggi s’è perduta.
Se Lionello non è stato un fine dicitore, è stato comunque capace di rendere credibili gli estri di Woody Allen, fra solipsismo compiaciuto fino al narcisismo e logorrea di solitario che soffre di solitudine. Doveva essergli servita l’esperienza di cabarettista al Bagaglino, quando il cabaret romano era la propaggine di una rivista allora prestigiosa, Il Borghese. Di quell’esperienza Lionello ebbe anche motivi d’imbarazzo, in un periodo nel quale era opportuno «andare a sinistra». Per discolparsi, Lionello avrebbe raccontato di «aver fatto il partigiano». Ma era un ragazzo durante l'occupazione...
Senza l’ironia, il sarcasmo del primo Bagaglino, Lionello sarebbe stato all’altezza dell’autoironia ebraica di Allen, così permeata, sotto la modestia, di senso della superiorità? Il «muro» del doppiaggio si sarebbe potuto superare in Italia solo a fine millennio, con i dvd; prima, con le videocassette, la versione originale restava rimossa, come al cinema. Così era stato ovvio identificare semplicemente la voce di Lionello con quella di Allen. Coi dvd si sarebbe capito che quella di Lionello era migliore.
Da Il Giornale,19 febbraio 2009
Diciamo la verità: Oreste Lionello – morto ieri all'età di 81 anni a Roma, dopo lunga malattia (era nato a Rodi, in Grecia da genitori calabresi) – non rimarrà negli annali del cinema per le sue qualità attoriali. Magari in quelli della tv, mondo che gli era più vicino. Ma forse non erano queste la sue ambizioni. Lionello, infatti, è stato uno degli ultimi esponenti di quella particolare forma d'arte – crassa e facilona: così deve essere – che è il cabaret, travestimenti e birignao annessi. E ci vuole mestiere anche per questo.
I successi della compagnia del Bagaglino, di cui era la vera anima (lo aveva fondato con Castellano, Pipolo e Pippo Franco), lo testimoniano. La sua imitazione di Giulio Andreotti, opportunamente caricata, riscuoteva ampi consensi.
La grandezza di Lionello resterà a lungo, però, in un mestiere difficile e ormai sempre più in pericolo: il doppiaggio. Con Ferruccio Amendola ne era uno dei maestri riconosciuti. Lionello è stato la voce di Woody Allen (ma non solo: era in un rapporto così simbiotico con il regista-attore americano che si assomigliavano persino fisicamente) e, almeno in Italia, non è possibile pensare ai Manhattan o Radio Days senza quella voce. Ma era anche la voce di Charlie Chaplin (nella versione ri-doppiata del 1972 de Il grande dittatore), l'indimenticabile Peter Sellers nel Dottor Stranamore di Kubrick, il fantasmagorico Gene Wilder in Frankenstein Jr. di Mel Brooks. E poi Michel Serrault nel Vizietto, Robin Williams nel telefilm Mork & Mindy e così via...
Al cinema, perciò, lo si è più ascoltato che visto (la sua filmografia comprende insulsi e dimenticabili filmetti di serie B dai titoli quali Kakkientruppen o Tutti a squola).
E forse poté stupire la sua più alta performance cinematografica: la traduzione, rigorosamente in versi a rima baciata, dell'intero copione del Cyrano de Bergerac di Jean-Paul Rappeneau, con Gérard Depardieu. Un capolavoro di metrica e suono, che solo uno abituato alle parole poteva partorire. Il mestiere è cosa preziosa e merce rara: chi lo possiede davvero lo fa affiorare anche là dove meno ci si aspetterebbe.
Oreste Lionello era nato nell'isola greca di Rodi nel 1927 da genitori calabresi.
Da Il Sole-24 Ore, 20 febbraio 2009
Esordisce nel 1954 nella compagnia comico-musicale di Radio Roma, in cui si distingue come brillante autore e interprete. Subito dopo debutta in televisione con la serie di film tv per ragazzi Il marziano Filippo. Contemporaneamente comincia la sua attività nel campo del doppiaggio: si è afferma come "voce" di Woody Allen, Peter Sellers, Groucho Marx, Jerry Lewis, Charlie Chaplin e Marty Feldman. Nel 1965 è tra gli interpreti di Le avventure di Laura Storm, una serie giallo-rosa interpretata da Lauretta Masiero; l'anno seguente partecipa ad alcuni episodi della serie Le inchieste del commissario Maigret, con Gino Cervi, e nel 1970 a I racconti di Padre Brown, con Renato Rascel. Come conduttore nel programma televisivo 'Al Paradise', annate 1983, 1984, 1985 il programma andava in onda su RAI Uno il sabato sera. Come autore, per 20 anni, in coppia con Sergio D’Ottavi per radio, teatro e TV. Alla carriera di attore televisivo affianca una fortunata attività di comico e cabarettista nella compagnia del Bagaglino, di cui fa parte fin dagli esordi, nei
primi anni '70. Il suo umorismo fine e surreale, basato su allusioni e doppisensi, lo fa entrare immediatamente nel cuore degli italiani. Da allora partecipa (assieme agli autori Castellacci e Pingitore e agli attori Leo Gullotta e Pippo Franco) al rilancio del genere dell'avanspettacolo, che riscuote un buon successo di pubblico in Tv. Tra gli spettacoli più famosi si possono citare Dove sta Zazà? (1973), Mazzabubù (1975), Palcoscenico (1980) e Biberon (1987). Proprio con Biberon si inaugura una nuova stagione di varietà imperniati sulla satira politica, che prosegue con numerosi programmi, come Crème Caramel (1991), Saluti e Baci (1993), Bucce di banana (1994), Champagne (1995) e i recenti Rose rosse (1996), Viva l'Italia (1997-98) e Miconsenta (2003). Altri film: Allegro squadrone (1954) di Paolo Moffa; È arrivata la parigina (1958) di Camillo Mastrocinque; Le pillole di Ercole (1960) di Luciano Salce; Totò, Fabrizi e i giovani d'oggi (1960) di Mario Mattoli; Totò truffa '62 (1961) di Mastrocinque; Gli imbroglioni (epis. Medico e fidanzata, 1963) di Lucio Fulci; Il magnifico gladiatore (1964) di Alfonso Brescia; Queste pazze, pazze donne (epis. Gentil sesso, 1964) di Marino Girolami; Il profeta , (1967) di Dino Risi; I Fetentoni (1999) di Alessandro di Robilant . Nel 2007 inoltre è protagonista nella Convention Terzo Incontro Direzione Relazioni Corporate insieme a Pippo Franco. Nel 2008 recita in No Problem regia di Vincenzo Salemme, il ruolo di Signor Paino