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Rassegna stampa di Marlene Dietrich

Marlene Dietrich (Maria Magdalena Dietrich). Data di nascita 27 dicembre 1901 a Schöneberg (Germania) ed è morto il 6 maggio 1992 all'età di 90 anni a Parigi (Francia).

PIERO DI DOMENICO
MYmovies.it

Marlene Dietrich, vero nome Maria Magdalena Kostrzyn, nacque a Berlino il 27 febbraio 1901, esordì sulle scene in numerosi drammi e commedie; dopo essere stata allieva della scuola di Max Reinhardt, comincia una frustrante gavetta.
Sposatasi con lo sceneggiatore Rudolf Sieber, alternò all'attività teatrale quella cinematografica, in particine secondarie. Notata nel 1929, esplose con "L'angelo azzurro", grazie a regista Josef von Sternberg, in cui trovò un regista geniale e un formidabile pigmalione. La trasformazione che ebbe grazie a questo regista, e soprattutto i film che creati per lei dopo il suo trasferimento ad Hollywood, ("Marocco", "Disonorata", "Shangai Express", "Venere bionda", "L'imperatrice Caterina" e "Capriccio spagnolo") rappresentano alcuni dei più significativi omaggi che il cinema abbia fatto a una donna. Raggiunta la fama e il successo, Marlene interpretò parti drammatiche, mantenendo sempre un distacco confinante con l'ironia, affinando sempre di più le doti di recitazione e perdendo gradualmente il suo carattere sofisticato da vamp; la Dietrich divenne un rilevante personaggio pubblico non solo perché continuò a calcare il palcoscenico fino a tarda età, mantenendo la capacità di affascinare i suoi ammiratori, ma anche per la costante esposizione sul piano politico.

VITTORIO MARTINELLI

In tedesco, Dietrich vuol dire «passepartout», la chiave che riesce ad aprire ogni serratura, la più complicata che sia. Un nome profetico perché questo mito del ventesimo secolo, nato appunto insieme al secolo, è riuscito non solo ad aprire, ma letteralmente a sfondare ogni porta che le si parasse dinnanzi e a diventare una figura emblematica, una delle donne che hanno caratterizzato il Novecento.
Le sue biografie concordano nell'affermare che è stato il regista Josef von Sternberg a scoprirla e lanciarla nel suo ruolo più famoso, quello di Lola-Lola in Der blaue Engel (L'angelo azzurro, 1930), la spudorata cantante che porta alla rovina il professor Rath. Ma basta vederla in un film precedente - ne aveva interpretati già una quindicina - per rendersi conto della personalità magnetica di Marlene. «Farei qualunque cosa per voi, qualsiasi cosa», le sussurra un ansimante corteggiatore in Ich küsse ihre Hand, Madame (Il bacillo dell'amore, 1929). Marlene lo guarda allusiva tra le rose che l'uomo le ha offerto, poi, per tutta risposta: «Va bene, può portare a passeggiare il mio cane».

UGO CASIRAGHI

La prova che il diavolo esiste, e naturalmente è donna, Marlene Dietrich la forni urbi et orbi una sera del 1930, quando al Gloria-Palast di Berlino apparve il suo film L'Angelo azzurro. Veramente doveva essere il film di Emil Jannings, l'attore tedesco numero uno, appena aureolato dell'Oscar (il primo della storia) ricevuto l'anno precedente a Hollywood per un melodramma strappalacrime, Nel gorgo del peccato. Anzi era stato proprio lui, nella certezza di potersi avvoltolare in un "gorgo del peccato" di più nobile matrice letteraria (il romanzo Professor Unrat di Heinrich Mann), a invitare il famoso regista viennese colà trapiantato, Josef von Sternberg, per cui aveva già recitato in Crepuscolo di gloria, a dirigere in Germania il suo primo film sonoro. Era il primo aprile, e quella dannata serata berlinese non si converti nel trionfo sperato, ma nel più indigesto dei "pesci" per il massiccio mattatore, letteralmente cancellato sullo schermo dalla presenza della sua imprevista e non gradita partner. Ma quale presenza! Con un colpo solo, Marlene fu incoronata diva ed entrava nel mito.
Le gambe bellissime inguainate di seta scura, in mutandine di pizzo e cilindro bianco, la sciantosa seduta su un barilotto di birra in un cabaret vociante e fumoso esegue con voce roca, sotto la luce di un riflettore nel palcoscenico ingombro di donne grasse e di materiali barocchi, una cascata di ritornelli assassini. Il suo naturale, prepotente sex-appeal è, se possibile, accentuato dalla sovrana indifferenza con cui si esibisce a quella ingorda platea e alla vittima designata, il corpulento e grottesco professore che perderà per lei l'onore e la vita.
Ora la novità è che, mentre Jannings percorre l'intera strada della degradazione personale con gioco scenico autoritario ma invecchiato, Marlene replica il suo appello sensuale con crescente efficacia: in crinolina e parrucca, in piedi a gambe divaricate e mani sui fianchi in atto di sfida, finalmente a cavalcioni d'una sedia a palcoscenico vuoto e in abito e cappello neri. Alla celebre canzone di Lola-Lola, Dalla testa ai piedi son fatta per l'amore, si capisce che l'Angelo azzurro non è più il locale ma lei, la sua unica vedette, questo demonio spinto dalla sua'natura a portare rovina, e tuttavia estranea e incolpevole a fronte dell'uomo filisteo e masochista. Lola, moderna femme fatale, discende dalla Lulù di Wedekind, lo "spirito della terra" che Louise Brooks aveva impersonato neanche due anni prima: è il simbolo trionfante del sesso, certo più volgare («dovevo essere molto volgare, contro la mia natura», dirà l'attrice da vecchia) ma altrettanto assoluto.
Subito dopo la rivelazione berlinese, Marlene Dietrich raggiunse in America il suo pigmalione che sembrava averla creata dal nulla e che la guiderà in altri sei film; e lei sarà, alla Paramount, l'unico contraltare di Greta Garbo, la "divina" della Metro che però non ebbe, a Hollywood, la fortuna di poter contare su uno Sternberg. Con la- coda fra le gambe, l'offesissimo Jannings restò invece in Germania, mettendosi presto al servizio del Terzo Reich e accettando anche l'umiliazione di quel nazismo che, guarda caso, la sua diabolica compagna di un solo film aborrirà prima, durante e dopo la seconda guerra mondiale, e fino alla morte.

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