Scusate, ma nessuna è come lei. Né ava né Barbara. E neppure Martlyn. Lana Turner, nata nel 1920 e morta dieci anni fa, si è portata sia da ragazzina sulla pelle il marchio della violenza. Costretta a scappare dall’Idaho, dove era nata, in seguito all’uccisione del padre durante una rapina. Sembra già un film. E invece è vita, seppure scritta con il sangue. Lana, che allora si chiamava ancora Julia, va a scuola a Los Angeles. È appariscente.
Qualcuno la vede e la scrittura per qualche spot. Poi un paio di particine al cinema. Ci sa fare, la giovane attrice. Mervyn LeRoy le dà una parte difficile in un dramma sociale scritto da Robert Rossen, Vendetta. Lana è vittima di un feroce omicidio per il quale viene ingiustamente accusato un nero. Questa volta spacca lo schermo. È in scena solo per pochi istanti ma riversa nel film un bel po’ di tensione. È bellissima, e Hollywood non se la lascia scappare.
Inizia così la carriera della Turner, dark lady non per necessità ma per vocazione. Nel 1945 diventa stella di prima grandezza nel firmamento cinematografico, nonché diva numero uno del listino Metrc Goldwyn Mayer, grazie al successo di il postino suona sempre due volte, ispirato al capolavoro del noir di James Cain Il libro è asciugato, perfino stravolto, dagli autori della pellicola, gli sceneggiatori Harry Ruskin e Niven Busch e il regista Tay Garnett. I rimandi alla Grande depressione, lo sfondo di crudo realismo di Cain, sono spazzati via dallo spessore malato dei due protagonisti (lui è John Garfield), e soprattutto di Lana la mantide, che con una scia di rossetto, fiammeggiante anche sul bianco e nero, riscrive l’iconografia della femme fatale.
Gli anni ‘50 sono costellati di successi. L’indossatrice di George Cukor, dove interpreta una top model (diremmo oggi) che di fronte allo schifo di un mondo ipocrita rischia il suicidio (anzi, Cukor voleva terminare con la morte della diva, ma la Mgm pose il veto...). La vedova allegra di Curtis Bernhardt, remake di von Stroheim e Lubitsch; La fiamma e la carne di Richard Brooks, il meraviglioso Il bruto e L bella di Vincente Minnelli, dove i vittima è un Kirk Douglas febbricitante, suo degno partner nel sozz o mondo del cinema che è al centro della storia. Su Il bruto e la bellla pioggia di Oscar, ma Lana non viene considerata. Si rifà l’anno successivo, i 1957, con quello che forse è in Italia il suo maggior successo, I peccatori di Peyton per il quale riceve la nomination. Successivamente nella serie televisiva ispirata al film il suo ruolo viene preso dall’unica attrice ir grado di sostituirla degnamente: Dorothy Malone. In quei mesi la Turner ha altro cui pensare. Il segno della maledizione della violenza che la perseguitano sin da piccola torna a bruciare. L’attrice si innamora perdutamente di Johnny Stompanato tirapiedi del boss mafioso Mickey Cohen Insieme l’improbabile coppia, la dark lady Il dago temuto da tutti, si muovono tra le feste e i ricevimenti di Hollywood come elefanti in una cristalleria. Sbronze colossali ed eccessi che fanno la fortuna dei cronisti gossippari e di Kenneth Anger. Ma la storia tra Lana e Johnny finisce in tragedia quando una sera l’uomo viene ucciso a colpi di pistola. Del delitto è accusata la figlia quindicenne dell’attrice, Cheryl Crane, avuta da uno dei suoi precedenti mariti (sette in totale!), ma le circostanze della tragedia non saranno mai chiarite. È stata davvero una ragazzina a sparare a bruciapelo a uno dei più risoluti gangster della città degli angeli? Oppure è stata la diva, per vendicarsi delle attenzioni dell’amante verso la ragazza? Al processo, un colpo di scena all’altezza di quello che quarant’anni dopo scagionerà O.J. Simpson manda tutti a casa con le mani pulite, madre e figlia. La Turner viene a questo punto immortalata in un capolavoro di Douglas Sirk, Lo specchio della vita, che dati gli aspetti autobiografici del suo personaggio (un’attrice sacrifica il rapporto con la figlia per il potere e il successo) lei interpreta come si trattasse del film definitivo.
Da Film Tv, n. 25, 2005