Michel Piccoli (Jacques Daniel Michel Piccoli) è un attore francese, regista, musicista, è nato il 27 dicembre 1925 a Parigi (Francia) ed è morto il 12 maggio 2020 all'età di 94 anni a Saint-Philbert-sur-Risle (Francia).
Figlio di musicisti (il padre è violinista, la madre pianista), si diploma in una scuola della capitale, dopodiché decide di dedicarsi alla carriera teatrale. Per un anno segue corsi di recitazione, poi entra nella compagnia di Louis Barrault e Madeleine Renaud: da allora la sua attività teatrale proseguirà di pari passo con l'esperienza cinematografica, che inizia poco dopo..
Recita per la prima volta nel 1944 in un film di Christian-Jaque, ma il suo vero debutto sullo schermo è alcuni anni dopo con Point du jour (1948) di Louis Daquin. Seguono numerosi titoli, che lo vedranno protagonista di film drammatici, grotteschi, polizieschi e commedie, a fianco di attori celebri come Jean Gabin e di dive come Catherine Deneuve, Romy Schneider, Brigitte Bardot e Jeanne Moreau, con la direzione di registi di fama internazionale.
Due incontri fortunati segnano l'inizio della sua carriera: quello con Jean Renoir, che gli darà una parte in French Cancan, donandogli ampia visibilità in patria, e quello con Luis Buñuel, che gli offrirà di partecipare alle riprese di La selva dei dannati, dando inizio a un proficuo sodalizio artistico che durerà per decenni e lo renderà famoso in tutto il mondo. Piccoli diventa creta nelle mani di Buñuel, che trasformandolo in uno dei suoi simboli grotteschi e surreali, aggiunge un incredibile spessore alle sue interpretazioni. Insieme gireranno film di culto come Diario di una cameriera (1963), Bella di giorno (1966) e Il fascino discreto della borghesia (1972).
Piccoli vive contemporaneamente nel periodo d'oro della Nouvelle Vague, e non disdegna di lavorare per alcuni dei suoi esponenti più eclettici, in primis Jean-Luc Godard, che lo vuole per Il disprezzo (1963) e lo richiama vent'anni dopo per Passion (1982).
Non bello, ma indubbiamente affascinante, Piccoli si trova sempre a suo agio nei personaggi più controversi, e interpreta senza una sbavatura molteplici ruoli che lo dipingono come un cinico borghese, apparentemente impeccabile ed elegante, intento a nascondere alla società i vizi, le manie e le terribili perversioni di cui non riesce assolutamente fare a meno. Questo aspetto, già messo a nudo da Bunuel, sarà ripreso anche dall'italiano Marco Ferreri, che utilizza Piccoli per ruoli dissacranti e provocatori, e renderà indimenticabile la sua interpretazione di La grande abbuffata (1973).
Contemporaneamente il francese Claude Sautet mette in luce la sua dimensione più intima, insinuando nei suoi personaggi un'umanità prima inespressa, chiedendogli di esporsi e di accettare ruoli malinconici, che rivelano la profondità emotiva raggiunta da un vero attore professionista (L'amante, 1969, Il commissario Pelissier, 1970). Lo stesso filone sarà percorso nei decenni successivi da registi come Marco Bellocchio, Jacques Rivette e Manoel de Oliveira.
Nel 1997 Piccoli dirige il suo primo film, Alors voilà. Quattro anni dopo seguirà La spiaggia nera, che viene in seguito presentato a Cannes, dove otterrà i favori della critica.
Nell'incantevole, divertente Giardini d'autunno di Otar Iosseliani, il gran regista georgiano-parigino, c'è un personaggio femminile, una vecchia signora madre del protagonista, pronta a regalargli soldi, perfetta anche nelle cerimonie patriottiche (onoranze, decorazioni alla memoria, inaugurazioni di cippi e lapidi): una signora sempre in nero, con lo chignon bianco ben raccolto, elegante e severa. È Michel Piccoli, benissimo travestito da donna della sua età (81 anni), desideroso di divertirsi ancora al cinema: come in Belle toujours di Manoel De Oliveira dove è un vivace simbolo della vecchiaia, un anziano folletto sentimentale. Bravissimo: l'attore che meglio di ogni altro ha saputo esprimere le ambiguità e i dubbi dell'individuo borghese, spesso muovendosi sul confine sottile tra normalità e follia, dotato di grande naturalezza nelle parti di professionista benestante turbato da inquietudini inconfessabili, a suo agio nei toni drammatici come in quelli surreali o grotteschi, sempre intelligente e divertente, sempre dedito al cinema di idee possibilmente di grandi registi, indifferente ai generi e alle mode. Tra il 1991 e il 2001 ha pure diretto quattro film, senza il successo che avrebbe desiderato. Lo stile recitativo inconfondibile (mezzi toni, grande eleganza) ne ha fatto uno degli interpreti più importanti del cinema europeo, molto attivo anche in teatro. Il suo primo film del 1945, Sortilèges di Christian Jacques, è l'inizio di una carriera meravigliosa: con Jean-Luc Godard (Il disprezzo, Passion), Alain Resnais (La guerra è finita), Claude Chabrol (L'amico di famiglia), Marco Bellocchio (Salto nel vuoto), soprattutto Buñuel (Bella di giorno, La via lattea, Il fascino discreto della borghesia, Il fantasma della libertà), Marco Ferreri (Dillinger è morto, La grande abbuffata) e De Oliveira, di cui è l'attore-simbolo. La prima volta che lo intervistai, d'estate, Piccoli era tutto vestito di bianco. Portava un paio di sandali rossi bellissimi. Folgorata, non riuscivo a staccarne gli occhi. Lui se ne accorse e prendemmo a parlare con entusiasmo soltanto dei sandali, dove li aveva comprati (a Tunisi), perché li aveva scelti, in quali occasioni li portava: nessun'altra intervista avrebbe potuto essere più eloquente sul temperamento di un grande attore.
Da Specchio, 16 dicembre 2006
Per parlare di Piccoli bisogna prima di tutto essere disposti a immergersi nell’avventura di vita di un grande attore, per riviverla un poco con lui. Perché raccontare di un artista con il carisma di Michel Piccoli vuol dire anche ricordare il suo rapporto con il lavoro e con il mondo, con l’etica e con l’impegno. E proprio da qui che si potrebbe tentare di tracciare un suo profilo, tenendo ben presente che l’identità di un attore come lui, che ha superato le frontiere fra le arti e le nazioni, sta al centro di un viaggio continuo fra teatro e cinema. In teatro ha cominciato accanto al mitico Jean Vilar, uno dei padri della scena del Novecento in Francia; sullo schermo ha lasciato un segno indelebile non solo con Bunuel (“Un giorno, giovane attore sconosciuto, scrivo a questo regista che amavo molto di venirmi a vedere recitare in uno spettacolo” gli piace ricordare. “Lui arrivò, e da lì è nata la nostre amicizia. Sapeva mettere fantasia ed elettricità nella testa”, ma con Godard, Ferreri, Malle, Sautet, De Oliveira. Sostiene Wim Wenders che solo al cinema è possibile vedere un attore sia da giovane sia da vecchio, percorrendo insieme a lui l’intero arco della sua esperienza; mentre sul palcoscenico questi due momenti non possono mai coesistere. Non così per Piccoli, un interprete attraverso il quale i rapporti fra schermo e palcoscenico si sono in qualche modo intrecciati, grazie al suo continuo andare e venire dall’uno all’altro, al suo attestarsi in quel magico spazio intermedio in cui le parole e i dialoghi si fondono alle immagini e alle emozioni. Molti suoi personaggi tornano alla mente: il vecchio attore famoso che, dopo una replica di Il re muore di Ionesco in un teatro parigino, viene a sapere che la moglie, la figlia e il genero sono morti in un incidente, e che ormai gli restano solo il nipotino e le sue abitudini di vita e di lavoro. È la lunga sequenza di apertura dello straziante e stupendo film di Manuel De Oliveira Ritorno a casa.
E ancora: il sipario rosso si arrotola dolcemente per lasciare apparire il volto pallido di un uomo, minuscolo e meravigliosamente fragile in quell’onda di velluto. “Che cosa succede?” domanda Cotrone, il mago dei Giganti della montagna di Pirandello nella messinscena di Klaus Michael Grober dove, Piccoli, era l’unico attore fra i giovani allievi del Conservatoire di Parigi. Ma subito questa immagine viene quasi scacciata da quella del produttore Tv al limite dell’autodistruzione culinaria-erotica nella mitica Grande abbuffata di Marco Ferreri, “dove diedi” ha più volte dichiarato, “il mio più bel bacio al cinema, sulla bocca di Marcello Mastroianni”. Piccoli però minimizza questo suo funambolico stare sul filo teso fra un’arte e l’altra, con qualche interesse anche per la regia cinematografica e teatrale: “Nel cinema tutto è a tua disposizione” dice. “Ti fanno bello o brutto come richiede il ruolo... Sei un oggetto di lusso, ma anche l’ultima ruota del carro, estraneo al processo creativo che è in mano ad altri, dagli sceneggiatori ai montatori. In teatro, invece, vivi fianco a fianco con il regista, partecipi alla creazione, alle prove. E quando lo spettacolo arriva in scena sei tu il re, il padrone. Il cinema è un esercizio di invenzione istantanea, che richiede la disponibilità di un dilettante. Il teatro è vita. E io ho imparato a mettere un po’ di cinema nel teatro e viceversa”. Il cinema non domanda a un attore la stessa energia ed è meno stancante del palcoscenico. Dietro l’angolo c’è sempre il rischio di impigrirsi: quindi per un artista è necessario ritornare spesso al teatro, cioè alle vere radici del suo mestiere. ((È vero: io ne ho bisogno come di una terapia” conferma Piccoli. Lui è ritornato a queste radici, con sulle spalle 170 film, recitando con Patrice Chéreau, Luc Bondy, Klaus Michael Gruber, Peter Brook, Bob Wilson, fra gli altri. Ma ha lasciato un segno forte anche nell’odiata televisione (“la Tv è razzista” ha detto, “perché divide il mondo in due: gli imbecilli per i quali trasmette dalle 7 alle 22 e 30 e gli intelligenti coccolati dalle 23 in poi”), dove è stato un inarrivabile Don Giovanni nel film televisivo di Marcel Bluwal. Una vocazione imperiosa quella di Piccoli, che ha scoperto il fascino del mestiere dell’attore già da bambino, durante una recita scolastica (mai stato un bravo studente, però): interpretava il ruolo di un ladro, scoprendo la gioia di raccontare una storia e di riuscire a catturare l’attenzione dei grandi. Fu la rivelazione di una libertà inebriante, un incantamento: “Decisi che sarei stato un attore” racconta. “I miei, che erano entrambi musicisti, compresero. M’iscrissi a un corso di teatro e studiai come mai nella vita. Lo faccio ancora oggi”. A settantotto anni, senza mai perdere la leggerezza e il gusto per la scoperta e la ricerca, questo attore conserva le virtù proprie della giovinezza: curiosità, gusto di fare, generosità, apertura verso gli altri. Con un’enorme disciplina senza mostrarla mai, con l’aria di essere sempre un po’ dilettante: “Mi piacerebbe recitare come Munch dipingeva” ha detto.
Il suo segreto? Rimanere aperto a tutte le esperienze senza mai trasformarsi in un uomo d’esperienza che vuole dispensata agli altri, a tutti i costi. E restare fedele a se stesso nelle scelte di fondo, quelle che contano davvero nella vita (tre mogli, fra cui Juliette Greco, e qualche figlio), vissuta sempre con il cuore a sinistra. “lo sono tenacemente, ostinatamente, profondamente di sinistra” dice. “E non bisogna vergognarsi di dichiararlo, soprattutto oggi che ci sono operai di estrema destra o che hanno una mentalità piccolo borghese. Dire che la politica è disgustosa è una rinuncia. Che mi sembra una catastrofe”. Quella di Piccoli è una vita semplice, senza divismi, con il gusto per i lavori manuali: “Sono un attore contadino” butta lì, “ho bisogno della terra come altri hanno bisogno della piscina e di crogiolarsi al sole. lo non sopporto il sole: i contadini non lo prendono mai”. Il pubblico ama Michel Piccoli, il suo essere un artista che resiste al tempo senza mai trasformarsi nell’icona di se stesso. Ama la sua capacità di darsi interamente anche alle piccole cose del mestiere, senza mettersi mai su di un piedistallo. E ama la sua personalità rimasta integra, mai esibita ma fortissima, come il magnetismo che si sprigiona da questo attore mitico. Che mai, in nessuna tappa della sua carriera, sia in un piccolo ruolo sia da protagonista, si è comportato da interprete a una sola dimensione. Michel Piccoli è un attore europeo, anche se in lui cercheremmo invano le stigmate delta grande star che ignora le frontiere: piuttosto è un artista che si impegna a superarle. Se qualcuno guarda a lui come a un modello, lo fa suo malgrado, invadendo quel cerchio segreto che racchiude il senso profondo della sua arte. Larte di un attore che ha saputo difendere la sua umanità, che vive e pulsa in tutte le sue scelte, che alimenta le sue azioni e le sue parole. Oggi, poi, in modo particolare perché, a settantotto anni, “solo il presente e l’avvenire mi interessano”. Altro che ritratto di un artista da vecchio.
Da Carnet, Ottobre 2003