Al Palazzo delle Esposizioni fino al 17 novembre, un evento da 8 titoli in versione restaurata a ingresso gratuito.
Nella cornice della dodicesima volta del festival Ciak Polska (8-10 Novembre), che porta alla Casa del Cinema il meglio del cinema polacco contemporaneo, il Palazzo delle Esposizioni di Roma, che è diventato negli anni una meta importante per chi ama andare a ritroso nella storia della settima arte, ospiterà, dal 12 al 17 Novembre, la seconda edizione della rassegna “Grandi classici del cinema polacco”. Un film a sera, due il sabato e la domenica (ore 17 e 20), a ingresso gratuito, per un totale di otto titoli, tutti in versione originale e restaurata, provenienti dagli storici Studi cinematografici WFDiF di Varsavia.
Si comincia martedì 12 con uno dei film più noti e più amati della cosiddetta “scuola polacca”, Cenere e Diamanti (1958) di Andrej Wajda, nel quale il regista (allora trentaduenne) e lo sceneggiatore Jerzy Andrzejewski portavano simbolicamente sullo schermo la figura di un perdente (Maciek, diviso tra la missione armata da portare a termine e l’amore per la cameriera Krystyna) e di una generazione tradita, in un dramma senza vincitori. Il film viene spesso citato niente meno che da Martin Scorsese tra le pellicole che hanno avuto un ruolo chiave nella sua formazione come cineasta, insieme a Il manoscritto trovato a Saragozza (1965) del regista Wojciech Has, di cui ricorrerà nel 2025 il centenario della nascita, e di cui la rassegna, curata dall’Istituto Polacco di Roma e dagli studi WFDiF, propone il film d’esordio Il cappio, racconto sul filo del surrealismo esistenziale di una battaglia con il demone dell’alcolismo.
L’opera prima di Has, pochissimo nota in Italia, fa parte di quei titoli rari, come Il treno della notte di Jerzy Kawalerowicz o La perla della corona di Kazimierz Kutz, di autori da riscoprire oppure più conosciuti per altri film, che si affiancano così ai titoli più canonici del programma, creando una gradita alternanza e componendo un’offerta in grado di parlare a pubblici più e meno esigenti.
Per restare in materia di esordi, nell’ambito dei grandi classici polacchi sarà proiettato anche il debutto di Andrzej Zulawski, La terza parte della notte (1971), basato sulle memorie di guerra del padre del regista, e già posizionato al confine tra realtà e incubo e raccontato attraverso i carrelli, i longtakes e i grandangoli che diventeranno la sua firma. Nel film, tra l’altro, fa la sua prima apparizione, non accreditata, l’attore e futuro regista Jerzy Stuhr, oggetto di un omaggio dovuto, la sera del 13 novembre, con la proiezione del film manifesto di una stagione e di una generazione: Il cineamatore di Krysztof Kiéslowki.
Ma le apparenti coincidenze non finiscono qui: proprio nel Cineamatore, il regista Krysztof Zanussi compare infatti nel ruolo di se stesso, come mentore del documentarista alle prime armi (e buone intuizioni) impersonato da Stuhr. E lo stesso Zanussi, in cartellone con Colori mimetici del ‘76, sarà l’ospite d’onore di questa edizione dei classici polacchi: forte della sua conoscenza personale di molti se non tutti i registi in programma (oltre che della lingua italiana) incontrerà il pubblico per ricostruire in tempo reale l’architettura di una compagine di registi strettamente legati tra loro (eppure perfettamente distinguibili stilisticamente e tematicamente) che hanno fatto la storia del cinema non solo polacco tra la fine degli anni ‘50 e la fine degli anni ‘70.
Chiude la rassegna, domenica 17, Attori di provincia (1978), primo successo di Agnieszka Holland, regista in piena e ispirata attività, che aveva iniziato la sua carriera proprio come assistente di Zanussi e di Wajda.
Tutt’altro che fatto di coincidenze, dunque, il programma di queste sei serate è un cartellone ben ragionato, che ricostruisce la storia della cinematografia polacca affondando tanto nell’esperienza apripista della modernità della “scuola polacca” che nella stagione del “cinema dell’inquietudine morale” che in quella del cosiddetto “terzo cinema”, e mette a disposizione di chi vorrà ascoltarli i tanti messaggi che il passato ha in serbo per il presente.