Pino Farinotti omaggia l'indimenticabile attore che ha fatto del suo lavoro una filosofia e una cultura.
Sidney Poitier aveva 94 anni ed è più che naturale che fosse l’ultimo sopravvissuto di quel primo leggendario gruppo dell’Actors Studio, fondato a New York nel 1947 da Elia Kazan e Lee Strasberg. I suoi compagni erano Marlon Brando, Paul Newman, James Dean, Montgomery Clift, Rod Steiger, Anthony Franciosa, fra gli altri. Non solo hanno cambiato il cinema, hanno fatto dell’”Actors” una filosofia e una cultura. Una rivoluzione. Essere attori dell’Actors significava un lavoro massacrante sulla coscienza, sull’estetica e sui gesti. Detto in una sintesi certo semplificata, l’attore doveva richiamare memorie e sentimenti veri, provati, e poi esprimerli.
Poitier assunse quel metodo alla perfezione. Il colore della sua pelle poteva essere un incentivo in più. Nel quadro della questione razziale nessun attore è stato più decisivo di lui. Ha davvero aperto un orizzonte. Tutti i divi di colore delle ultime generazioni, da Denzel Washington a Morgan Freeman, Will Smith, Samuel L. Jackson, Eddie Murphy, Danny Glover, sono figli suoi. Venerdì sera La7 lo ha ricordato trasmettendo Indovina chi viene a cena, il film che più identifica l’attore. Scelta perfetta. L’ “orizzonte” parte da lì. John (Poitier) e Joanna, 23enne bianca, di ottima famiglia borghese e liberale, si sono innamorati e hanno deciso di sposarsi. Occorre convincere le famiglie. In una delle sequenze iniziali sono su un taxi e l’autista, nello specchietto retrovisore li vede baciarsi. É sconcertato.
Era il primo bacio “misto” del cinema. Il film era firmato da Stanley Kramer, i genitori della ragazza erano Katharine Hepburn e Spencer Tracy, esponenti autorevoli della cultura democratica. Correva l’anno 1967. John Prentice è un medico, ma che medico: tiene conferenze in tutto il mondo, ha incarichi governativi, è responsabile dei rapporti degli Usa con l’Africa. E poi… è Sidney Poitier, aitante e bello. Non è davvero difficile innamorarsi di lui. Il colore della pelle è un dettaglio.
L’obiezione era: gli autori avrebbero dovuto avere più coraggio, scegliere come protagonista un operaio o un impiegato. Ma allora Hollywood era ancora… Hollywood, i sentimenti e i modelli dovevano essere buoni e belli. Può essere una lacuna del film, ma non è importante. Ciò che vale è che dopo quel film, in America e non solo, i matrimoni misti ebbero un’impennata esponenziale. Ribadisco: l’orizzonte di Sidney.
In quello stesso anno è protagonista de Lacalda notte dell’ispettore Tibbs, di Norman Jewison. Poitier si misura con Rod Steiger, uno sceriffo di Sparta, cittadina del Mississippi, dove la gente di colore non è amata. Il rapporto fra i due, peraltro colleghi dell’Actors, all’inizio è di antagonismo forte. Ma poi Tibbs, con pazienza e fermezza, e con argomenti inoppugnabili, porta il “bianco” dalla sua parte.
Quello del “convincimento” sarà un tema sempre presente nei ruoli dell’attore. Era la sua missione. Poitier era stato, questa volta, un operaio ne I gigli del campo (Ralph Nelson 1963), dove aiuta alcune suore tedesche nella costruzione di una cappella. Sidney fu affidabile e misurato, conquistò tutti, compresa l’Academy Award che gli consegnò l’Oscar come attore protagonista. Il primo attribuito a un attore di colore.
Ricordabile, fra i molti titoli, La parete di fango (Kramer 1958): due evasi, Poitier e Tony Curtis, sono legati da una catena alle caviglie. Una vicinanza dolorosa e scomoda. Hanno intenzioni e idee diverse. Ma anche in quella condizione Sidney “convince” il bianco, all’inizio razzista convinto, che si può collaborare ed essere amici. Ma Poitier, nei suoi numerosi ruoli è stato… tutto. E ogni volta lasciando un segno. Non più giovane, e in grande forma fisica, è stato uomo d’azione. Da ricordare The Jackal del 1997, dove salva la vita della first lady da un attentato devastante.
Nel 2002 ha ottenuto un secondo Oscar, alla carriera e nel 2009 Barack Obama gli ha consegnato la Medaglie presidenziale della libertà.