L'ARTE DELLA DANZA DI ROBERTO BOLLE

Incontro con Roberto Bolle, eccellenza della danza, che ha contribuito più di ogni altro alla diffusione della sua cultura in Italia.

Marzia Gandolfi, martedì 15 novembre 2016 - Incontri

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La sua carriera incredibile, a cui aggiunge infaticabile capitoli di bellezza, la deve a una routine inflessibile. È così che si diventa étoile per Roberto Bolle, eccellenza della danza italiana che dietro alla tecnica irradia un magnetismo inalterabile nel tempo.

Che posi la mano sulla sbarra o salga sul palcoscenico, ciascuno dei suoi gesti è un'epifania in equilibrio fra romanticismo e sperimentazione estetica.
Marzia Gandolfi

Rivelato ancora giovanissimo da Rudolf Nureyev, Roberto Bolle nasce a Casale Monferrato, cresce sul palcoscenico della Scala e diventa una star internazionale nei teatri più prestigiosi del mondo e davanti alle personalità più celebri del mondo. Regine, principi, presidenti, eminenze religiose, Bolle esibisce la sua grazia nei luoghi sacri della tradizione ma volge presto lo sguardo fuori dagli spazi istituzionali.

Con "Roberto Bolle and Friends", che diventa una realtà stabile dal 2008, decide di fare un passo fuori dal palcoscenico, di occupare con la danza le arene antiche, di risorgere le architetture del passato, mura, torri, templi in cui muovere i movimenti armoniosi del balletto classico, accompagnato da artisti di primissima grandezza. Ballerine e ballerini incontrati negli anni sulle tavole dell'American Ballet Theatre o del Mariinskij, dell'Opéra o del Royal Ballet.

Interprete di una danza intesa come dimensione dell'anima, come manifestazione di un garbo interiore, i suoi tour incontrano il favore del pubblico e un numero di persone impensabile in un teatro tradizionale.
Marzia Gandolfi

Un'audience crescente si avvicina al grande repertorio classico, che Bolle intercala con coreografie contemporanee, rivelando le nuove creazioni e i nuovi coreografi della danza. L'artista piemontese diventa molto presto un fenomeno sociale in grado di muovere le masse e di sensibilizzare il pubblico a un'arte elitaria come la danza. "Bolle & Friends" si converte in libro e poi in immagini col documentario di Francesca Pedroni, che coglie brani radiosi di un viaggio sui luoghi dell'antichità. Roma, Pompei, Verona diventano scenografie splendide e naturali di una disciplina che si esprime lungo un'asse verticale, che muove al divino ma richiede una volontà fisica. Non c'è levità e grazia senza l'impegno muscolare e materico.

Ballerino e 'impresario', Roberto Bolle sogna, incarna e realizza un'idea della danza democratica prima che pop(olare). Perché non è la qualità della danza in gioco ma la sua esclusività.

Bolle si rivolge allora al cinema e alla televisione per ribadire e proseguire la democratizzazione della danza, per diffonderla ovunque, per rendere domestica la fruibilità del bello, per incoraggiare vocazioni.
Marzia Gandolfi

Muovendosi su più campi, Roberto Bolle 'mette i piedi' dappertutto e promuove una nuova età della danza che interpreta senza l'impressione della fatica. Danseur aristocratico e scultoreo, i suoi muscoli ne disegnano il corpo come una superficie piena di rilievi chiaroscuri che assomigliano e rimandano alle architetture che lo accolgono. La danza 'all'aperto' di Bolle non è più soltanto un'idea eterea ma si fa forza e vitalismo, è soggetta alle forze di gravità e nel documentario di Francesca Pedroni rivela la potenza e lo sforzo dietro le quinte, dietro il trionfo di armonia e leggerezza. A pochi giorni dalla presentazione del documentario L'arte della danza al Torino Film Festival, abbiamo incontrato l'artista che con prodigio di slanci e scrittura corporea ha contribuito più di ogni altro alla diffusione della cultura della danza in Italia. Al passo coi tempi, Roberto Bolle scende nell'arena teatrale e televisiva con la sua danza libera, si innamora del cinema con Fred Astaire, 'sostiene' i tempi comici di Virginia Raffaele e non esclude un giorno di interpretare un film.

Roberto Bolle and Friends nelle arene, "La mia danza libera" su Rai Uno, il documentario L'arte della danza al cinema testimoniano la sua volontà di portare la danza classica fuori dai luoghi istituzionali. Ci racconta questa volontà?
Sì, portare la danza fuori, farla arrivare al cinema e alla televisione, sui giornali e i social network, non limitarla al teatro. Usare tutti gli altri mezzi di comunicazione vuol dire coinvolgere tantissime persone, migliaia se non milioni di persone. Permettere davvero a tutti di godere di un'arte elitaria che è sempre stata chiusa nel suo mondo. C'è stata un'ondata di entusiasmo con la trasmissione "La mia danza libera" che spero si ripeta al cinema col documentario di Francesca Pedroni. Forse per la prima volta nel nostro Paese la danza fa un passo fuori dal teatro e si rivolge a tutte quelle persone che non potrebbero mai venire alla Scala perché ci sono un numero limitato di posti, un numero limitato di repliche, ci sono gli abbonamenti, molti dei miei spettacoli sono in abbonamento quindi diventa impossibile per una parte del pubblico venirmi a vedere alla Scala.

Perché tutti possano vedere la mia danza è necessario accedere a mezzi di comunicazione di massa. Cinema e televisione possono diffonderla, informare un vasto pubblico. Per questo sono contento di farlo, di usare la mia popolarità per portare la danza a persone che non avrebbero mai pensato di poter essere attratte da uno spettacolo di danza.
Marzia Gandolfi

Poi lo vedono, lo scoprono e imparano ad apprezzarlo.

Possiamo dire che ha raccolto l'eredità di Vittoria Ottolenghi che negli anni Ottanta con "Maratona d'estate" portò sulla tavola degli italiani, la trasmissione andava in onda a mezzogiorno, questa straordinaria disciplina?
"Maratona d'estate" era diventato un appuntamento fisso anche per me. Con "La mia danza libera", proprio come Vittoria Ottolenghi sono entrato nelle case degli italiani. Voglio diffondere la danza, la mia intenzione è quella di far accedere tutti alla sua bellezza e per farlo ho ideato un tour raccontato molto bene dal documentario di Francesca Pedroni. È così che sono riuscito a portare la danza a migliaia di persone, soltanto all'Arena di Verona c'erano 14 mila persone. Poi il tour ha toccato anche Roma e Pompei, tanta gente ha avuto la possibilità di venire a vedermi. Hanno assistito a uno spettacolo di danza di alta qualità. Ma "La mia danza libera" in televisione è andato oltre. La danza ha raggiunto attraverso il piccolo schermo un pubblico che non verrebbe mai a teatro o in un'arena. Invece anche solo per curiosità su Rai Uno, un sabato sera decidi di guardare questo spettacolo e magari finisci per scoprire che la danza è qualcosa che può coinvolgerti, emozionarti come mai avresti pensato.

È pensabile secondo lei un movimento inverso? La danza scende dal palcoscenico per incontrare un'audience più grande, si aggiorna alle esigenze del contemporaneo. Viceversa il contemporaneo può accedere al palcoscenico istituzionale? I recenti casi dell'Opéra di Parigi e della Scala di Milano sembrano suggerire un'impraticabilità. Mi riferisco a Benjamin Millepied e a Mauro Bigonzetti, coreografi che hanno provato a inserire in un repertorio classico nuove produzioni.
Secondo me è possibile. Certo è una sfida molto difficile in grandi istituzioni come l'Opéra e La Scala, è un'impresa tra le più ardue. Millepied e Bigonzetti sono entrambi coreografi contemporanei, hanno una visione moderna e differente rispetto a quella che è l'identità di questi teatri. Il rischio c'è ed è quello di andare a modificare quella che è l'identità di un teatro come ha cercato di fare Millepied. Non so fino a che punto sia giusto, un conto è cercare di avvicinare il pubblico alla danza, al teatro, coinvolgerlo in maniera diversa, un altro è cambiare l'identità di un teatro. Io sono d'accordo sull'aprirsi, prendendo anche spunto dall'esperienza americana, ci sono molte lezioni, molte prove aperte, è sempre positivo provare ad eliminare le barriere e oggi ci sono tanti mezzi che lo consentono. È giusto sensibilizzare il pubblico più giovane, avvicinarlo al teatro. Anche La Scala ha pensato molti spettacoli per i bambini, per appassionarli e fargli amare questo mondo che è sempre un po' lontano. L'opera lirica è sicuramente più avanti in questo processo, ci lavora da più tempo ma la danza prova a fare lo stesso. Il mio tour, la trasmissione televisiva, il documentario sono passi molto importanti in questo senso e io credo che lasceranno dei segni, sono dei primi passi pesanti, potranno senza dubbio essercene altri pensati da altri artisti, ma secondo me quelli fatti fino ad oggi lasciano già tracce profonde, impronte notevoli.

Lei incarna la volontà di portare la danza fuori dai luoghi istituzionali, dicevamo, che cosa aggiungono questi luoghi antichi e questi ritmi antichi alla sua danza?
Aggiungono veramente tantissimo perché noi ballerini cerchiamo di creare bellezza con il movimento, una bellezza creata nel momento, un gesto che esegui e che poi svanisce, produciamo un momento effimero che un attimo c'è e un attimo dopo non c'è più. Ballare in quei luoghi antichi vuol dire creare davanti a una bellezza immortale, una bellezza che è lì da secoli, da millenni. Caracalla, Pompei, l'Arena di Verona sono luoghi inestimabili del nostro patrimonio artistico e storico che hanno un grande valore e un impatto visivo straordinario. Coi giochi di luce, la musica e l'estetica della danza poi si arricchisce tutto, si esalta tutto e tutto è portato a livelli altissimi. In questo modo generiamo emozioni veramente uniche.

Con L'arte della danza Francesca Pedroni penetra lo spazio scenico, va oltre la visione frontale e tradizionale accompagnando lo spettatore in un viaggio incredibile dentro la danza, dietro la danza a scoprire dettagli e punti di vista inediti. La grammatica del cinema valorizza dunque la danza?

Sì, sicuramente sì, il cinema aiuta la danza perché elimina qualsiasi barriera, accorcia la distanza e permette al pubblico di entrare veramente in contatto con l'artista, permette di vedere meglio lo sforzo, la difficoltà, il sacrificio, l'impegno, il sudore.

Col cinema si accede al movimento, si sente la fatica, la passione. Si vive quella passione da vicino.
Marzia Gandolfi

Ci sono delle bellissime riprese delle prove, delle lezioni, dello studio, della preparazione, che è come essere sul palcoscenico, non ci sono confini, sei lì e quindi ti arrivano queste emozioni in maniera dirompente e coinvolgente. Non ho ancora avuto la possibilità di vedere il film sul grande schermo ma posso immaginare la meraviglia. Lo farò presto al Torino Film Festival, dove presenterò L'arte della danza.

Cinema e danza classica, un passo a due non sempre armonioso. Esistono bellissimi documentari sulla danza ma è difficile realizzare un film di finzione credibile con attori credibili. Penso ad esempio a Natalie Portman, un'attrice di grande talento ma la danza non si può improvvisare e il suo cigno (Black Swan) sullo schermo non era plausibile...
Sono d'accordo, è molto difficile portare la danza sullo schermo a meno che non parliamo di documentari. Personalmente l'ultimo che ho apprezzato, che mi è piaciuto e che mi ha convinto, ma sono già passati sedici anni, è Billy Elliot. Mi piace com'è stato realizzato, mi piacciono tutti i suoi ingredienti, un film con un tema forte che combatte il pregiudizio ma soprattutto un film in cui traspare con forza la passione, la gioia, la voglia di ballare. E quando provi una passione così nella vita, quando senti quell'urgenza devi metterci tutto te stesso, devi provarci fino alla fine, devi provare a realizzare il sogno. C'è un bellissimo messaggio in Billy Elliot e tutto è credibile, probabilmente perché è girato coi bambini, è più semplice lavorare con loro, altri film secondo me non hanno ottenuto questo effetto e questo risultato.

Nureyev ha interpretato Valentino, Baryšhnikov se stesso in Il sole a mezzanotte, possiamo sperare in un film di finzione con Roberto Bolle?
Perché no? Sarebbe molto bello, se ci fosse un regista disposto a farlo e una bella sceneggiatura. Se ci fossero tutti gli elementi volentieri, come dicevo prima è difficile fare un film sulla danza però quando sono fatti bene ne vale la pena, sono importanti. Il sole a mezzanotte è un film bellissimo, Due vite, una svolta pure ed è uno dei miei film dell'adolescenza. Questi film sono dei veri e propri documenti che segnano generazioni perché rimangono come punto di riferimento, ti accompagnano, come hanno accompagnato me. Penso che sia veramente importante farli, se c'è una volontà e sono realizzati con cura influenzano positivamente tanti giovani. Non è una cosa da sottovalutare.

Baryšhnikov nel corso della sua lunga carriera ha convertito il ballerino in attore. Ha mai preso in considerazione questa possibilità?
Mi sono abituato a non escludere niente nella mia vita, sono sempre rimasto sorpreso dalle cose che non avrei mai pensato veramente di fare. Perché no? Se mi offrissero qualcosa di bello, volentieri. Mi è sempre piaciuto mettermi in gioco, se ci sono le condizioni dico sì.

In Letter to a Man Robert Wilson racconta con l'aiuto di Baryšhnikov la relazione conflittuale che Nižinskij aveva (anche) con la danza. Che relazione ha Roberto Bolle con la danza?
Naturalmente meno conflittuale di quella di Nižinskij. Ho visto la produzione di Wilson, davvero bellissima, un altro artista che adoro e col quale ho collaborato.

La mia con la danza è una relazione d'amore, un amore che chiede tanto certo, richiede tanto tempo, attenzione, impegno, passione. È un rapporto che esige tantissima energia, mi dà molto ma vuole indietro altrettanto come ogni legame forte.
Marzia Gandolfi

E proprio come ogni legame forte non è facile, il sacrificio si accompagna al dolore. Il dolore è parte della vita del ballerino, è parte della mia vita. Ogni giorno devo allenare il fisico, portarlo all'estremo. Dunque non è una relazione semplice malgrado le apparenze. Chi guarda un ballerino sulla scena ne coglie la leggerezza, l'armonia, la bellezza del corpo, vede lo spettacolo, l'estetica della coreografia. In realtà dietro c'è un grande dolore fisico, il sacrificio quotidiano, il corpo spinto a livelli sempre estremi.

In L'arte della danza Nicoletta Manni, prima ballerina del Teatro alla Scala e Melissa Hamilton, étoile del Royal Ballet, le riconoscono una grande sensibilità e una grande conoscenza dei personaggi femminili. Qual è il ruolo femminile che ama di più accompagnare?
Giulietta in "Romeo e Giulietta", senza dubbio. È un ruolo straordinario, un ruolo che ha tutto, che passa dall'innocenza all'amore maturo, dalla gioia alla tragedia in due ore di palcoscenico. Una vita racchiusa in due ore e in quel tempo brevissimo ci sono tutte le emozioni di una vita.

È più facile 'prestare il fianco' ad Alessandra Ferri o a Virginia Raffaelle?
Non sono affatto abituato ai ritmi comici e nemmeno a quelli televisivi ma lavorare con Virginia è stata comunque un'esperienza straordinaria perché Virginia è una persona straordinaria. Ha un grande cuore e tra noi è nata un'amicizia, un'intesa immediata da quando l'ho incontrata a Sanremo. Ritrovarsi per la trasmissione è stato bellissimo, ci siamo divertiti come non mai e credo anche il pubblico. Ci siamo divertiti soprattutto nel backstage, nel costruire lo sketch televisivo che avete visto. Davvero una bella esperienza la nostra. Diversa.

L'energia di Gene Kelly o l'eleganza di Fred Astaire?
Scelgo Fred Astaire. Fred Astaire è un mito assoluto, inarrivabile. Grazia, eleganza, tecnica, ritmo, tutto. Secondo me il numero uno.

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