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Tre manifesti a Ebbing, Missouri ha vinto l'Oscar come Miglior Film

Il procedimento che ho adottato è stato a escludere e a sottrarre, e questo è l'unico risultato possibile.
di Pino Farinotti

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Frances McDormand (Frances Louise McDormand) (66 anni) 23 giugno 1957, Chicago (Illinois - USA) - Cancro. Interpreta Mildred Hayes nel film di Martin McDonagh Tre manifesti a Ebbing, Missouri.
mercoledì 7 febbraio 2018 - Focus

Il 4 marzo, la notte delle stelle, che sarà celebrata al Dolby Theatre di Los Angeles, ha premiato Tre manifesti a Ebbing, Missouri (guarda la video recensione), diretto da Martin McDonagh, vincitore dell'Oscar come Miglior Film. Posso dirlo al passato rifacendomi al mio annuncio del 2016 quando dichiarai, due mesi prima, che Leonardo DiCaprio aveva vinto l'Oscar come Attore Protagonista per Revenant. Il mio vaticinio non era un miracolo, perché DiCaprio, dopo tante nomination, cinque, era maturo per quel riconoscimento. Con un dato in più che non è un dettaglio: è l'attore americano, e non solo, più talentuoso e completo. La sua vittoria stava nei fatti. Per Tre manifesti il pronostico era meno protetto, ho dovuto ragionare e speculare, considerare molte variabili, ma alla fine il verdetto è stato emesso, ed è giusto.

Il procedimento che ho adottato nella mia personale istruttoria è stato a escludere e a sottrarre. Alla fine, i codici di giudizio, misurati per qualità, quantità e storia, hanno determinato la sentenza, che andrò ad esporre.
Pino Farinotti

Premessa necessaria: la regola, certo a volte disattesa, vuole che l'Oscar venga attribuito a un'opera di grande respiro, ecumenica e non relegata a rappresentazioni magari di qualità ma che non oltrepassano un contesto autoctono. Poi, ribadisco, ci sono state le eccezioni, dovute a contingenze etniche, sociali, politiche, di marketing. Nel 2018 ha dunque vinto il cinema per il cinema, senza altre intrusioni. I concorrenti.


 

Di Jordan Peele. Un fotografo di colore in una situazione che dovrebbe essere famigliare ma che diventa un sorta di incubo horror. Il film presenta citazioni di genere interessanti e momenti di politicamente corretto. Ma L'Oscar lo scorso anno ha già omaggiato il politicamente corretto, premiando Moonlight, la vicenda del ragazzo di colore omosessuale, aderendo all'indicazione del movimento del cinema e della cultura che intendevano mandare un messaggio e fare un dispetto a Donald Trump. Ci ha rimesso La La Land (guarda la video recensione), un film di qualità nettamente superiore rispetto al vincitore. Ancora una volta la politica aveva invaso il cinema travisandone i valori.


RECENSIONE
In foto una scena di Scappa - Get Out.
In foto una scena di Scappa - Get Out.
In foto una scena di Scappa - Get Out.
 

Opera di grande verità, che sfiora il documento con un linguaggio registico, di Christopher Nolan, cospicuo, che non fa prigionieri. Nel 1940 quasi 400mila soldati alleati, schiacciati sulla spiaggia di Dunquerque, vennero evacuati anche grazie all'eroismo di certi navigatori della domenica, coi loro battelli. Trattasi di sconfitta vittoriosa. Hitler avrebbe potuto dare il colpo di grazia, facilmente. Non lo fece, ed è un mistero. Titolo di potenza e verità, meritevole, ma non in assoluto. E va detto che godeva di un certo vantaggio perché ... non viaggiava da solo. Mi riferisco a L'ora più buia (guarda la video recensione), altro "nominato", diretto da Joe Wright: è il momento in cui Churchill divenne primo ministro caricandosi sulla spalle la difesa del mondo libero. Buona parte di quel racconto riguarda proprio Dunkirk. Gli inglesi si sono adoperati per far rendere quella combinazione.


RECENSIONE
In foto una scena di Dunkirk.
In foto una scena di Dunkirk.
In foto una scena di Dunkirk.
 

Il nuovo film di Steven Spielberg è l'ultimo anello di un genere fortunato e meritorio: i giornali che rivelano trame, segreti, magari pericolosi, che non sarebbero mai venuti alla luce. Il film prende spunto dalla divulgazione di alcuni documenti che rivelarono, nel 1971, l'implicazione militare americana nella guerra del Vietnam. Il Washington Post è dunque protagonista, ancora una volta, di un'azione giornalistica coraggiosa, così come nel superclassico del genere Tutti gli uomini del presidente, l'affair Watergate, che costò l'impeachment al presidente Nixon, co-protagonista di entrambe le vicende. Anche se la percezione può essere di déjà vu, Spielberg, grazie anche alle performance di due semidei come Hanks e la Streep, racconta con grande energia. Ma non basta per accreditare quel titolo al vertice assoluto del riconoscimento.


RECENSIONE
In foto una scena di The Post.
In foto una scena di The Post.
In foto una scena di The Post.
 

È un interessante progetto di formazione: la ragazza insoddisfatta della propria vita, dello scenario e della cultura di Sacramento sogna New York con tutto ciò che rappresenta. Si rapporta con amiche, amici, amori e genitori. Fa tante esperienze, di protesta e di ribellione. Ma alla fine chiude il cerchio con rabbia minore e... minore ribellione. Opera benemerita dove sovrasta una percezione di "giovane Holden", senza le soluzioni imprescindibili di quel romanzo. Una citazione per Greta Gerwig, classe 1983, che sa scrivere e dirigere, una predestinata. Ma per l'Oscar più importante non basta uno spaccato giovanile seppure con registri felici e non convenzionali di racconto.


RECENSIONE
In foto una scena di Lady Bird.
In foto una scena di Lady Bird.
In foto una scena di Lady Bird.
 

Il film non interrompe il filo d'oro della qualità riconosciuta a Paul Thomas Anderson, che ha firmato, alla regia e alla scrittura, titoli riconosciuti dal pubblico, soprattutto dalla critica come Magnolia e Il petroliere. Il film è un'istantanea del mondo della moda londinese, negli anni Cinquanta, incentrata sulla personalità forte, controversa e ultracreativa dello stilista. I rapporti, tutti, d'amore, di mestiere non possono che essere nevrotici e competitivi. Ottimo esercizio di recitazione - un Daniel Day-Lewis primatista di Oscar (3 tutti da protagonista) - e di linguaggio registico: di Anderson con le sue 8 candidature all'Academy, senza mai vincere. Avrebbe avuto delle chance, ma si è trovato Tre manifesti (guarda la video recensione) sulla strada.


RECENSIONE
In foto una scena di Il filo nascosto.
In foto una scena di Il filo nascosto.
In foto una scena di Il filo nascosto.
 

Qualcosa va precisato: trattasi di Oscar assoluto, non del premio al Miglior Film in Lingua Non Inglese. Nella lunga storia dell'Academy Award il privilegio era toccato soltanto all'Ultimo imperatore (1988) di Bernardo Bertolucci che si portò a casa oltre ai due personali (film e regia) altri sette titoli. Anche Roberto Benigni con La vita è bella (guarda la video recensione) entrò nella selezione finale, nel 1999, ma prevalse Shakespeare in Love. È la storia di un violento innamoramento fra un giovane e un'adolescente, raccontata con classe e intensità. Com'è nelle corde del regista, che sa adattare gli scenari naturali e dolci di quelle zone, con l'estetica generale della ricchezza e della cultura. Nei film precedenti Guadagnino concedeva troppo all'estetica a scapito del contenuto. Lo stesso autore si è stupito di... tanta considerazione.


RECENSIONE
In foto una scena di Chiamami col tuo nome.
In foto una scena di Chiamami col tuo nome.
In foto una scena di Chiamami col tuo nome.
 

È un titolo già incoronato, ha vinto il Leone d'oro di Venezia 2017 e aveva ben 13 nomination all'Oscar 2018. Il film è un sincretismo di contenuti condotto con classe e creatività: il tema del diverso, quello ecologico, e poi l'immane pericolo per la terra, il mistero del mare dal quale nacque la vita e la rilettura stessa della "vita" in quel senso. Le citazioni, di cinema e di cultura sono tante, dall'essere alieno che si rapporta, alla mitologia della bella e la bestia, a E.T., alla "cosa dell'altro mondo". Film complesso e allarmante, e già, come detto, riconosciuto. Unire in bacheca il Leone d'oro e l'Oscar sarebbe stata una beatificazione impropria. Appartiene a un solo titolo, L'Amleto di Olivier - e di Shakespeare - del 1948. La forma dell'acqua e Del toro, con tutto il rispetto, sono ... un'altra cosa.


RECENSIONE
In foto una scena di La forma dell'acqua.
In foto una scena di La forma dell'acqua.
In foto una scena di La forma dell'acqua.
 

È il quadro di una certa America tetragona, grottesca e tragica. Una madre, la cui figlia è stata violentata e uccisa, cerca di ottenere giustizia facendo disporre sulla strada tre manifesti che sono frustate. Non riesce nel suo intento ma risveglia coscienze, memorie, complicità, ignoranza e pregiudizi. La polizia, le autorità, il popolo, si confronteranno con quella vicenda tornata alla luce, e con una donna dal coraggio eccezionale. Martin McDonagh ha scritto e diretto, Frances McDormand è la madre: già premiati ai "Golden" erano in lista per gli Academy. Una volta si diceva "catarsi": uscire dal cinema che ti senti meglio. Tre manifesti agisce in questo senso: per qualche ora ti senti l'eroe, hai battuto il sistema, l'autorità, il potere, i nemici occulti. È questo sentimento che ha fatto la differenza e ha fatto prevalere il film.

E se poi, quella notte, Tre manifesti non ha vinto, la sostanza non cambia. Per Farinotti ha vinto. Dunque ha vinto.


RECENSIONE
In foto una scena di Tre manifesti a Ebbing, Missouri.
In foto una scena di Tre manifesti a Ebbing, Missouri.
In foto una scena di Tre manifesti a Ebbing, Missouri.

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