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Ryan Gosling, l'anima del replicante

Eroe referenziale, l'attore riattiva gli oggetti di culto e diventa l'interprete ideale di Blade Runner 2049. Al cinema.
di Marzia Gandolfi

Ryan Gosling (Ryan Thomas Gosling) (43 anni) 12 novembre 1980, London (Canada) - Scorpione.
martedì 10 ottobre 2017 - Celebrities

Prima di Drive, Ryan Gosling era un volto familiare soltanto agli appassionati di cinema indipendente americano. Animale da palcoscenico rivelato all'istante in una manciata di film (The Believer, Half Nelson, Blue Valentine), il giovane attore restava tuttavia confidenziale. Allergico ai fenomeni di isteria collettiva, alle grandi produzioni e ai macho dei film d'azione tradizionali, Ryan Gosling fa un passo di lato e rifiuta tutto, crescendo all'ombra del cinema indie. Il suo curriculum conta di fatto pochi film di puro divertissement e quelli annoverati sono scelti con accortezza (The Nice Guys).

L'identità d'uomo che impone si prende gioco dei cliché maschili, che hanno la pelle dura soprattutto sullo schermo, e spoglia i suoi personaggi della loro armatura.
Marzia Gandolfi

Un desiderio a cui qualche anno dopo si abbandona, portandolo all'estremo, con Julian (Solo dio perdona), figlio negletto e impotente, abitato da angoscia edipica e terrore della castrazione. Ma prima c'è Drive, il film della consacrazione e della metamorfosi, che arriva coi suoi trent'anni. Un'esperienza metafisica dentro un bomber di satin che imita Elvis e lo trasforma di colpo in oggetto del desiderio, rock, zen, perdutamente cool. Stuntman virtuoso della dissimulazione, il suo eroe è senza nome, senza passato, senza famiglia, senza un progetto, nient'altro che una funzione: guidare. Drive è un trip e Ryan Gosling lo conduce spostando avanti lo stato dell'eroe contemporaneo, instabile e determinato, saldo e sentimentale come Jason Bourne, Jack Bauer, Dom Cobb.


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Una scena di The Believer.
Una scena di Half Nelson.
Una scena di Blue Valentine.

Minerale estratto da una roccia magmatica, ancora ardente e friabile, il corpo di Ryan Gosling appare improvvisamente come un'evidenza, l'officiante imperturbabile di un cinema laconico, un giovane Clint Eastwood e insieme l'erede moderno di Steve McQueen. Erotizzato e liberato dallo sguardo di Nicolas Winding Refn, Ryan Gosling mostra una propensione per la radicalità. Da quel momento tutto il cinema americano contemporaneo non sembra più poter fare a meno di lui, dalla commedia Crazy, Stupid, Love al fianco di Steve Carell, all'oscar friendly movie di George Clooney (Le idi di marzo), (ri)passando per la verità cruda di Derek Cianfrance (Come un tuono). Una consacrazione rapida che affonda in una carriera precoce, un'infanzia da baby-star passata sui banchi del "Mickey Mouse Club", programma televisivo per ragazzi in cui si accompagna dodicenne a Britney Spears e Justin Timberlake.

Ryan Gosling non sa veramente cantare e nemmeno ballare. È bravo piuttosto 'a far finta di' dietro ai suoi compagni di gioco più dotati.
Marzia Gandolfi

Della musica nondimeno fa il suo stato di infanzia. Ai margini della sua carriera d'attore e di autore, Gosling canta e suona chitarra e tastiera nel gruppo indie rock Dead Man's Bones. Niente, certo, che possa compararsi al controllo tecnico dei grandi musicisti o delle leggende (danzanti) hollywoodiane, al quale La La Land (guarda la video recensione) rende omaggio. Ma nasce proprio lì il suo Sebastian "folle del jazz", o più precisamente, infatuato della purezza. Una perfezione impossibile da raggiungere perché appartiene a un tempo passato.


Una scena di The Nice Guys.
Una scena di Drive.
Una scena di Crazy, Stupid, Love.

Damien Chazelle per il suo musical amabilmente cantato e quasi danzato, che sigilla la fine dell'età d'oro del jazz e della grande commedia musicale, degli amori e delle illusioni, avrebbe potuto pescare a Broadway ma non lo fa. Vuole con forza Ryan Gosling ed Emma Stone, li vuole perché lontani dall'essere i migliori. Lo sforzo che hanno fatto per tentare quell'altezza è pari a quello sostenuto dai rispettivi personaggi per realizzare i sogni infantili. Quella prossimità, quella medietà li fa credibili. E l'elogio consensuale alla medietà in La La Land ha valore di sintomo e chiarisce la natura e la cifra interpretativa dell'artista canadese. Entrambe riposano su una forma di impassibilità che lo rendono l'interprete ideale di Blade Runner 2049, un science-fiction popolato da personaggi dall'identità fluttuante, umani, androidi, vivi, morti.

Il potere della performance di Ryan Gosling in Blade Runner 2049 si misura sulla sua capacità di riattivare il passato.
Marzia Gandolfi

Se l'eroe di Tom Cruise, univoco e trionfante, rimanda soltanto a Tom Cruise esprimendo la piena soddisfazione di sé, quello di Ryan Gosling è un eroe referenziale e modesto che sogna sempre la stessa cosa: diventare un essere umano. Ed è questa ricerca che appassiona nelle performance di Gosling, sono le pulsazioni sentimentali del suo hero wannabe real, innescate soprattutto nel permanente crepuscolo autunnale di Blade Runner 2049.
Come Elvis o Sinatra a Las Vegas, l'attore è permanenza olografica, precipitato luminoso di un oggetto di culto, di un'epoca magnifica destinata a scomparire, a farsi rovina. È una lucciola fragile inghiottita nella notte post-apocalittica, il replicante minore ma struggente di Rick Deckard (Harrison Ford) e Roy Batty (Rutger Hauer), come nel cinema Rialto di La La Land era il controcampo fantasmatico di Jim Stark (James Dean). Nella Los Angeles sintetica di Dennis Gassner, infernale diorama battuto sovente nella sua filmografia, è una copia artificiale dichiarata al debutto.


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Una scena di Le idi di marzo.
Una scena di La la land.
Una scena di Blade Runner 2049.

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