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Il Sospetto, un 'Hitchcock' anglo-americano: il più sincero

Non un classico ma un grande classico realizzato negli anni "eroici" dell'autore inglese.
di Pino Farinotti

Il sospetto

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lunedì 9 ottobre 2017 - Focus

Prosegue la benemerita offerta dei classici di Hollywood da parte del quotidiano Libero. Dopo Quarto potere e King Kong, è la volta di Hitchcock con Il sospetto, del 1941. Dunque non un classico, ma grande classico. Fa parte del cosiddetto primo periodo americano, quello del compromesso fra gli anni inglesi, dove prevaleva l'intento autoriale, più attento all'arte del cinema, con le sue peculiarità di linguaggio e di stile, piuttosto che al botteghino. Hitchcock era sbarcato a Hollywood nell'estete del '39, chiamato da David. O. Selznick, il genio ebreo, il monarca della città del cinema, che godeva di un prestigio enorme: aveva prodotto, anzi "creato" il film dei film, Via col Vento.

Con Selznick, Hitchcock aveva adattato il suo talento allo stile americano, guadagnandoci, e firmando opere da storia del cinema, parte alta, come Rebecca e come Notorious. Quegli anni, secondo la mia discrezione, sono quelli "eroici" dell'autore inglese.
Pino Farinotti

Quando più tardi passerà alla Warner, disponendo di budget senza limiti, firmerà film di grande spettacolo, e di grandi incassi, certo capolavori, come La finestra sul cortile, L'uomo che sapeva troppo e La donna che visse due volte. Ma la purezza, chiamiamola così e l'identità precisa del percorso hichcockiano, rimangono a quei primi anni quaranta. Il sospetto fa parte di questa striscia e di questa qualità. La matrice è un romanzo del 1932, "Before the Fact", di Anthony B. Cox, testo senza grande spessore, ma nelle ami di Hitchcock tutto si trasformava perché, sappiamo, il regista riduceva le storie a propria immagine e a propria esigenza. E seguì il consiglio di Selznick che gli disse di cambiare il finale: "Un romanzo può finir male, a un film si addice l'happy end."


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Un'immagine dal film Vertigo
Un'immagine dal film Rebecca

La trama: Lina una nobile inglese sposa, contro il volere dei genitori, John, un playboy nullafacente e senza una sterlina. Dopo i primi tempi del matrimonio la donna sospetta che il marito sia un assassino e che trami per ucciderla. Nel libro Lina "accettava" di morire per amore. Così Hitchcock risolse alla sua maniera: Lina non viene uccisa, ma il resto della sua vita non sarà "happy".

Seppure nel contesto Hollywoodiano, Hitchcock propone un'estetica del tutto inglese e non dimentica di citare quella letteratura che, di fatto, ha inventato il "giallo". Fra i personaggi c'è anche una scrittrice che assomiglia sospettosamente alla Christie. Il regista inserisce una delle costanti che gli stanno a cuore, il matrimonio infelice e pericoloso. I modelli sono Rebecca, appunto, e Marnie. Fra le molte sequenze che la memoria del cinema rimanda c'è quella del bicchiere di latte che Grant sta portando a sua moglie. Lentezza, primissimo piano e latte che sembra una luce: l'intento è quello di insinuare il veleno. Semplicemente "Hitch" mise una lampadina nel bicchiere. Cary Grant era alla sua prima collaborazione con Hitchcock, e sarebbe stato, insieme a James Stewart - 4 film ciascuno - il preferito del regista. Possedeva i giusti caratteri. Era fascinoso col giusto quanto di ambiguità, capace di portare lo smoking o una giacca di tweed. E poi era inglese, così come Joan Fontaine, che per quella parte ottenne l'Oscar. Riconoscimento, quello alla regia, che mai Hitchcock si vide attribuire. Tuttavia il Riconoscimento (r maiuscola) è arrivato. La Sight&Sound, la testata inglese che ciclicamente riaggiorna, e fa testo, la classifica dei film di tutto il mondo, ha collocato al primo posto La donna che visse due volte. Hitchcock scalzava gente come Eisenstein (Il Potëmkin), Welles (Quarto potere) e Chaplin (La febbre dell'oro).


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