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Jerry Lewis: picchiatello, ma che intelligenza

Il comico si è spento ieri a Las Vegas. Aveva 91 anni.
di Pino Farinotti

Jerry Lewis (Joseph Jerome Levitch) 16 marzo 1926, Newark (New Jersey - USA) - 20 Agosto 2017, Las Vegas (Nevada - USA).
lunedì 21 agosto 2017 - Focus

La conferma della portata di Jerry Lewis è di uno che conosce bene il cinema, Martin Scorsese, che nel 1983 scelse Lewis come co-protagonista, accanto a De Niro, in Re per una notte. Lewis faceva Jerry Langford, cioè se stesso. E se c'è qualcuno che possieda tutte informazioni e le misure del cinema è proprio Scorsese con le sue ispirazioni confessate dalle grandi scuole, svedese, francese, soprattutto italiana e quella della Hollywood dell'età dell'oro. Se ti dice che Jerry Lewis è uno dei più grandi, forse il più grande, è opportuno credergli.

Le stagioni del comico sono lunghe e infinite, e rappresentano tutti i codici della comicità, ma legati da un denominatore che è soltanto di Lewis, che può essere risolto in questo modo: tutto ciò che rappresentava, coi gesti, con le parole, era semplice solo in apparenza, in realtà.
Pino Farinotti

Dietro c'erano significati, c'erano le cosiddette metafore che colpivano la cultura e la vita americana, là dove poteva essere colpita nelle sue debolezze, la corsa al denaro, al consumo, a un certo tran tran stereotipato, al rapporto fra i sessi, a quello coi media, alla dipendenza dall'analista. Un modello prevalente era il brutto anatroccolo che cerca di essere gradito agli "altri" ma viene allontanato -in questo c'era Charlot. E c'erano altri segnali pregressi, ma soprattutto futuri. Nel suo rapporto con Dean Martin che era il bello e il furbo Jerry era il brutto e lo scemo, e lì c'erano Laurel e Hardy, per l'"analista" sarebbe poi arrivato Woody Allen. Lewis era ebreo e quell'imprinting così forte non poteva che appartenergli, erano poi le regole dei vari Marx, prima, e dei Sellers, Allen, Crystal, Brooks, Wilder dopo. A molti non piaceva, dicevano, sembra un cartone animato, con quelle smorfie e quelle mosse elementari da guitto. Niente di più sbagliato, e niente di elementare, come ho scritto sopra.


Jerry Lewis in Ragazzo tuttofare.
Jerry Lewis in Le folli notti del dottor Jerryll.
Jerry Lewis in Le folli notti del dottor Jerryll.

La ditta con Dean Martin fu travolgente, sedici film, e incassi da record. L'ultimo, del 1956, Hollywood o morte, è il finale perfetto. La coppia si sciolse com'era doveroso, come il pugile che lascia il ring da campione del mondo. Il film racconta dei "due" che attraversano l'America in macchina per arrivare a Hollywood dove Jerry vuol conoscere la magnifica Anita (la Ekberg prima della Dolce vita). Durante il viaggio Jerry combina guai e Martin canta, mentre schiere di belle ragazze, a gambe nude, sedute su muretti o emergenti da torrenti salutano ballando. Era ormai roba superata, era già arrivato Presley che stava cambiando lo spettacolo. Da quel momento, solo, Lewis scrisse i copioni e diresse i suoi film. Coi contenuti detti sopra. Qualche titolo: Ragazzo tutto fare, Il mattatore di Hollywood, Le folli notti del dottor Jerryll.

L'attore-regista sapeva essere una plastilina impressionante, capace di abbruttirsi alla sua maniera o di essere bellissimo in uno smoking rosso, ballando (quasi) alla Gene Kelly.
Pino Farinotti

Ho incrociato due volte Jerry Lewis. Venne in Italia nel 1988 partner di Raffaella Carrà su Canale 5. Venne anche a Milano al teatro Lirico. Fece alcuni numeri alla sua maniera, di mimica, soprattutto cantò canzoni di Cole Porter. Certo non aveva la voce del suo socio Dean, ma sapeva comunque gestire alla Lewis. In una della performance si buttò per terra con violenza. Gli erano stati applicati dei bypass non tanto tempo prima, ma non se ne preoccupava, lo spettacolo innanzitutto. Avevo chiesto all'organizzatore di vederlo per un momento. Mi disse che era impossibile, non riceveva mai nessuno "dopo lo spettacolo ha sempre un crollo". Avevo portato mia figlia seienne, il direttore mi disse di aspettare un momento. Dopo qualche minuto tornò "Dai, venga, faccia presto". Lewis, sprofondato su una poltrona, madido, fece un sorriso alla bambina. Gli dissi "Così potrà raccontare di aver visto Jerry Lewis". Non mi guardò nemmeno, prese la mano della piccola e disse "Mi piacciono i bambini, ne ho fatti un po'. (5, n.d.r.).
Un'altra volta era a Venezia. È notorio che Lewis non fosse un personaggio facile, come racconta appunto Scorsese. Durante la conferenza stampa aveva voglia solo che finisse. Quando qualcuno gli fece una domanda si irritò, quasi urlò "Shut up!" ("Vai al diavolo", diciamo così). Ero io quello della domanda.


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