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Sicilian Ghost Story, il cinema d'autore è del Sud

Il film di Piazza e Grassadonia conferma il meridione come il territorio più fertile per operazioni poetiche di tutti i tipi. Al cinema.
di Roy Menarini

Sicilian Ghost Story

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Julia Jedlikowska . Interpreta Luna nel film di Fabio Grassadonia, Antonio Piazza Sicilian Ghost Story.
domenica 21 maggio 2017 - Focus

Molti indizi fanno una prova. Il cinema d'autore italiano contemporaneo, quello in grado di competere all'estero nell'universo del film artistico e da festival, è profondamente sudista. Il meridione continua ad essere - per Alice Rohrwacher, Francesco Munzi, Pietro Marcello, Matteo Garrone, Leonardo Di Costanzo, Daniele Ciprì, Franco Maresco, Edoardo De Angelis, Gianfranco Rosi e i protagonisti del cinema del reale, oltre che molti altri autori - il territorio più fertile per operazioni poetiche di tutti i tipi. E se è vero che talvolta il timbro del realismo magico o la facile contrapposizione tra arcaismo popolare e modernità sono apparsi un po' meccanici, appare chiaro che quel serbatoio di miti e racconti, letteratura e iconografia, folclore e tessuto sociale, hanno finito col rivelarsi ricchissimi.

Al secondo film, i talentuosi Grassadonia e Piazza lavorano ancora sulla regione se possibile più incline a questo tipo di trattamento, la Sicilia, che però deve anche fare in conti con la cronaca, la criminalità organizzata e decenni di rappresentazione realista del fenomeno.
Roy Menarini

Giocare "contro" l'immaginario di mafia non è cosa nuova - basti pensare all'operazione La mafia uccide solo d'estate, film e serie televisiva, o allo stesso Salvo - ma i due registi riescono a trovare un registro fiabesco e visionario molto compatto e coerente, dove gli echi di Guillermo Del Toro si mescolano con interessanti riferimenti alla pittura romantica tedesca.


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In foto una scena del film Sicilian Ghost Story.
In foto una scena del film Sicilian Ghost Story.
In foto una scena del film Sicilian Ghost Story.

Ma, non bastasse il taglio quasi soprannaturale (attenzione al titolo, è una possibile chiave di lettura narrativa), Grassadonia e Piazza si dimostrano registi con i fiocchi. È su questo aspetto che sarebbe bene soffermarsi per chiarire - al di là del singolo giudizio di gusto - la differenza tra chi sa il fatto suo dietro la macchina da presa e tanti improvvisati direttori fai-da-te. Qualche esempio.

- Lo spazio. Costruire lo spazio cinematografico è tra i compiti più impegnativi dei registi, e non a caso è quello su cui il cinema italiano scivola più spesso. Non basta la visionarietà degli ambienti: paradossalmente i due autori sono bravissimi proprio nel costruire alto e basso, orizzontale e verticale, nel precisare case e stanze, strade e targhe, nel momento stesso in cui sottraggono certezze allo spettatore rispetto alla realtà di quel che vede Luna e alla credibilità delle sue visioni.

- Il tempo. Oltre a una ottimale ricostruzione d'epoca attraverso pochi tratti (dagli zaini scolastici ai riferimenti domestici), Grassadonia e Piazza lavorano perfettamente sullo scorrere del tempo, chiarendo attraverso dettagli - il taglio di capelli, le allusioni al percorso scolastico, i dialoghi sul clima, le ripetizioni di certe sequenze - la dimensione cronologica degli avvenimenti.

- Le azioni. Ancora una volta, stupisce favorevolmente la curiosa - ma efficace - contraddizione tra l'aspetto onirico e fantasmatico della storia, e i nessi di causa ed effetto che vengono narrati. Gli oggetti (il veleno per topi, la borsa della scuola, la busta con la lettera, gli abiti del ragazzo) sono collocati in modo preciso e assumono funzioni verosimili all'interno del racconto; contemporaneamente, si moltiplicano le ambiguità, i raddoppiamenti di reale e immaginario, e la dimensione soprannaturale erode spazi, anche grazie al sinuoso stile di regia.

Tutto ciò permette a Sicilian Ghost Story di approdare a un finale che è anch'esso un esempio di contraddizione positiva: il raccapriccio per le azioni dei mafiosi si stempera nell'emozione di una vita che forse rinasce, con un picco emotivo affatto frequente nel cinema italiano contemporaneo, destinato a rimanere vivo nel ricordo e a far rubricare come piccoli effetti collaterali certi passaggi più involuti e insistiti.


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