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Tutto quello che vuoi: la persistenza della memoria

Francesco Bruni racconta la malattia del padre sugli stralci di un libro avvincente. Il nuovo film del regista di Scialla! Al cinema.
di Olivia Fanfani

martedì 16 maggio 2017 - Focus

Alessandro, giovane trasteverino sconclusionato, passa le sue giornate al bar con gli amici, tra imprecazioni, pochi interessi e molto tempo perso. Giorgio, ottantacinque anni, è un poeta che a causa della malattia vive in una sorta di confuso presente: i ricordi remoti affiorano più nitidi e improvvisi della realtà, con il buffo susseguirsi di difficoltà mnemoniche e un'eleganza d'altri tempi. Un impianto presentato come classico - l'incontro transgenerazionale - che sembra reiterare un tema affrontato non di rado dalla cinematografia recente, prende inaspettatamente una direzione nuova quando il ragazzo sarà costretto ad accettare, non senza storcere il naso, un lavoro come accompagnatore dell'anziano, affetto da Alzheimer. Giorgio farà breccia nel cuore del giovane, sostituendo il nichilismo gretto della mancanza di prospettive con lunghe conversazioni e sigarette proibite, in un viaggio a ritroso nel tempo alla ricerca di un misterioso tesoro.

Senza sentimentalismi, Bruni ha scelto di affidare il racconto di un'esperienza del tutto privata ad "attori che non richiamassero lo stereotipo, ma che anzi fossero ben lontani dai volti noti di attori quaranta-cinquantenni con una formazione tecnicamente impeccabile alle spalle". 
Olivia Fanfani

Un azzardo fuori tempo massimo, affidato all'abilità di Giuliano Montaldo alle prese con un ruolo inedito, in grado di regalare la spontaneità frutto del passaggio dalla regia - zona di comfort del grande maestro - alla messa a nudo attoriale, con la stessa tenacia e caparbietà. Nelle parole di Bruni: "Un volto imprescindibile per il ruolo di Giorgio. Giuliano è stata la prima persona di cinema importante che incontrai appena arrivato a Roma.  All'epoca abitavo con Virzì, che aveva già scritto per lui una sceneggiatura importante [Tempo di uccidere, nda]. Paolo m'invitò a cena da Giuliano perché ci sarebbe stato Nicolas Cage e io parlavo bene inglese. Già in quell'occasione Giuliano mi mise subito a mio agio. è stato come uno zio, poi siamo stati anche colleghi al centro sperimentale, io insegnavo sceneggiatura e lui insegnava regia. Appena gli ho proposto il progetto si è mostrato subito interessato. Non avrei girato senza di lui e per questo ho sempre accolto di buon grado i suoi consigli (e lui i miei). Anche sul set non c'era nessun tipo d'imbarazzo nell'accettare le critiche. Lui è stato molto signorile e discreto nel non interferire minimamente con il mio ruolo. "


Un racconto magico, a "conclusione di un trittico sull'adolescenza". Uno spaccato delicato della malattia di cui ha sofferto il padre del regista. Da un plot semplice, che richiama la realtà dei suoi precedenti lavori, emerge il film più maturo di Francesco, una storia nata dai racconti confusi e ritratti da un remoto quasi dimenticato.

Nel '43 mio padre salì su un camion di americani. Scappò di casa per un mese e mezzo e sparì con loro fin quando i soldati non lo lasciarono a Pistoia, tra le colline. In cambio del suo aiuto lo ricompensarono con in dono qualcosa di molto prezioso che lui decise di nascondere e sotterrare per paura che qualcuno se ne impossessasse.
Francesco Bruni

Con un legame insperato a gettare le basi per una serie di equivoci e buffi siparietti, suggestioni visive e l'assenza d'a(i)spirazione s'incontrano in un ritratto disperato, arricchito, oltre che dall'esperienza personale, degli stralci di un libro poco conosciuto, ambientato nella campagna toscana: "Quando ho pensato di scrivere questa storia di mio padre, ho pensato subito al libro di Cosimo Calamini: Poco più di niente. Da qui proviene l'elemento del tesoro sotto il lago, e anche la parte delle incisioni sul muro. Idee e spunti presi dalle stanze nei padiglioni del manicomio di Volterra, dove pazienti psichiatrici scrivevano continuamente testi incomprensibili." Così nelle poesie incise sulle pareti rosse, scritte per l'occasione dal livornese Simone Lenzi, gli indizi per la caccia al tesoro diventano qualcosa di avvolgente, avvicinando gergo e costumi agli antipodi, per una vicenda in equilibrio tra ironia e nichilismo, burrascoso presente e nostalgico passato.


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