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Fai bei sogni, Bellocchio spiazza tutti, anche il suo cinema

Giocando con le parole, il lavoro del regista piacentino appare come uno studio sul compromesso possibile tra cinema d'autore e letteratura delle alte tirature. Al cinema.
di Roy Menarini

Fai bei sogni

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sabato 12 novembre 2016 - Focus

Quasi sempre concentrati sui macroscopici rapporti tra editoria globale e cinema hollywoodiano, non sempre ci accorgiamo dei legami sempre più stretti tra letteratura italiana e cinema nazionale. Non c'era dubbio che Fai bei sogni, clamoroso successo di Massimo Gramellini, sarebbe arrivato su grande schermo, mentre pochi avrebbero potuto pronosticare Marco Bellocchio dietro la macchina da presa. È storia nota che il regista piacentino abbia ricevuto un invito, piuttosto che partire da un proprio impulso, per immaginare la trasposizione del romanzo. Poi, solleticato e sollecitato dall'idea, ha scritto con Valia Santella e Edoardo Albinati la sceneggiatura.

Le strade, nella testa del critico e dell'appassionato del cinema di Bellocchio, erano due: il vistoso tradimento di un testo francamente non eccezionale, o la concessione (legittima) di un film composto, tradizionale, al grande pubblico. Essendo Bellocchio regista machiavellico (una influenza poco citata, ma presente, insieme alla tradizione lirica italiana e alla psicanalisi), il suo Fai bei sogni non è nessuna delle due cose, piuttosto va considerato una analisi sperimentale delle zone d'ombra che un pur onorevole compromesso offre e propone.
Roy Menarini

Curiosamente, chi già immaginava che Bellocchio avrebbe lavorato a lungo sulla dimensione freudiana del rimosso, sulla psiche del personaggio, intingendo nel suo cinema la penna di Gramellini, si trova giustamente spiazzato, notando come il regista abbia gestito in modo tutto sommato scolastico le parti apparentemente più "bellocchiane" e si sia invece lasciato andare laddove lo si sarebbe pensato reticente. La sequenza della festa con il ballo di Valerio Mastandrea e l'intensità del bacio nel buio, nascosti in giardino, con Berenice Béjo, sono il momento più di pancia, passionale e ineffabile visto nel cinema italiano da anni.


LA RECENSIONE
In foto una scena del film Fai bei sogni.
In foto una scena del film Fai bei sogni.
In foto una scena del film Fai bei sogni.

Giocando con le parole, Fai bei sogni sembra dunque un compromesso che non compromette, o persino uno studio sul compromesso possibile tra cinema d'autore e letteratura delle alte tirature, o ancora un documentario su come Bellocchio potrebbe fare cinema per pubblici più ampi. C'è di più. Laddove Bellocchio si è reso conto che per portare a termine un progetto così liminare avrebbe dovuto letteralmente aprirsi ad altre poetiche (prima tra tutte, quella un po' autoreferenziale dello scrittore di partenza), deve aver giustamente deciso di alzare ogni argine e permettere a quel punto a ulteriori scritture ed estetiche di intervenire e integrarsi nel suo mondo (appena riaffermato un anno fa da uno dei suoi film più ermetici e personali, Sangue del mio sangue).

La presenza come co-sceneggiatore di Edoardo Albinati, altro caso letterario contemporaneo con il suo fluviale La scuola cattolica (e anch'esso segnato dall'autobiografia e dal ruolo della religione nel racconto), è tutt'altro che peregrina e fa persino sospettare una sorta di mostro a tre teste, dove il cinema di Bellocchio guida riappropriazioni multiple del testo di Gramellini da parte sua e di Albinati.
Roy Menarini

Non bastasse, anche un altro universo - quello di Valerio Mastandrea (attore/autore di personaggi troppo relati l'uno all'altro per poterli considerare davvero separati) - si fa strada lentamente durante il film, fino a conquistarne una fetta importante. Il suo Massimo esce dalla carta per sistemarsi nel cinema di Bellocchio (cui in effetti non sembrerebbe appartenere in partenza) e infine "mastandreizza" sia Gramellini sia Bellocchio infiltrando la vena autoironica, surreale e carnevalesca della sua sensibilità.

Troppi film in uno? Forse. Ma intanto Fai bei sogni è un esempio forse unico di deframmentazione controllata di un autore aperto alla cultura che lo circonda.


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