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Eternamente Hitchcock, il re dei re

Chi è il cineasta che Truffaut volle tanto incontrare? Un inglese davvero trasversale, nel tempo e nelle categorie.
di Pino Farinotti

Hitchcock/Truffaut

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venerdì 15 aprile 2016 - Focus

Nel 1962 François Truffaut scrisse ad Alfred Hitchcock chiedendogli un'intervista. L'inglese prese informazioni, anzi le approfondì perché il francese in quegli anni era già un regista affermato, e accettò. I due si confrontarono per tre settimane e il risultato fu un testo che... fa testo, ancora oggi: secondo una certa corrente non esiste uno scritto più esaustivo, profondo e completo di quella "chiacchierata": un autentico codice legislatore. Ed è probabile che sia così, e la ragione è semplice: trattasi di Alfred Hitchcock, il re dei re, il cineasta-tutto. L'inglese è davvero trasversale, nel tempo e nelle "categorie". Spiego. Anche di recente lo abbiamo visto nel film Hitchcock, di Sacha Gervasi, che racconta la lavorazione di Psyco. Adesso questo Hitchcock-Truffaut che da libro diventa film.

Se parli di "Hitch" la massa è tale che devi fare scelte che saranno comunque limitate e improprie.
Pino Farinotti

Sopra ho detto "categorie", significa spettacolo-sortilegio-unicum-mistero. E forse "arte". Il nodo è proprio quest'ultimo lemma. Chi scrive non ha mai posto il cinema in quella sfera alta e nobile. A volte il cinema si è molto avvicinato, ma lo vedo sempre come un satellite che gira intorno a un pianeta senza riuscire a farne parte. E se c'è un cinema che si è evoluto fino a, quasi, compiere il grande salto, è quello della stagione del "Fronte popolare", dei Renoir, Carné, Clair, e poi Prévert e Gabin. Quando Hitchcock afferma che un film non deve essere proiettato in una sala con un solo posto, ma con duemila posti si pone al di fuori del dibattito artistico, chiamiamolo così, ma lo sorpassa, va ben oltre.


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In foto Alfred Hitchock.
In foto Alfred Hitchock e François Truffaut.
In foto Alfred Hitchock.

E una delle differenze decisive è la vedibilità postuma. La "Nouvelle" rimane legata alla sua epoca come un'istantanea statica e aristocratica. Hitchcock, nelle sue lunghe e diverse stagioni, lo guardi come lo guardavi in quelle stagioni.

Qualche anno fa ho rivisto Jules e Jim di Truffaut. Ne avevo una memoria positiva, da ragazzo. Dopo tanti anni... non vedevo l'ora che finisse. Ma se guardi La donna che visse due volte o Psyco ti dispiace che finiscano.
Pino Farinotti

Ho citato quei titoli perché sono i più raccontati nel documentario. Il regista Kent Jones ha implementato il testo originale, uscito nel 1966, con inserti contemporanei: intervengono, fra gli altri, Martin Scorsese, Wes Anderson, David Fincher, Peter Bogdanovich. Un valore aggiuntivo di grande competenza. Psyco e La donna che visse due volte, in una selezione quasi impossibile, sono i modelli che si impongono: il primo per quella derivazione freudiana dello psicopatico perfetto, il Bates/Perkins. Il secondo per la metafora tragica ed erotica schiacciata nell'inconscio (dunque ancora Freud) del povero James Stewart. Ma La donna che visse due volte racconta ben altro.


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In foto Anthony Perkins in una scena di Psyco (1960).
In foto James Stewart e Kim Novak in una scena di La donna che visse due volte (1958).
In foto Jeanne Moreau, Henri Serre e Oskar Werner in una scena di Jules e Jim (1962).

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