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I viaggi esistenziali di Luchetti

Il regista di La scuola e Anni felici conferma l'interesse per le biografie intime con Chiamatemi Francesco - Il papa della gente.
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di Mauro Gervasini


sabato 5 dicembre 2015 - Focus

Interessante cineasta Daniele Luchetti, classe 1960, già assistente di Nanni Moretti (Bianca), poi suo aiuto regista (La messa è finita) infine autore in proprio per il grande schermo ma anche, parallelamente, star delle regie pubblicitarie. È suo lo spot anni '90 del Maxibon Motta, quello con Stefano Accorsi che a Cristiana Capotondi "straniera" in Romagna, dice, ammiccando, "Due gust is megl che uan". Prodotto da Nanni e Angelo Barbagallo, Luchetti esordisce nel 1988 con Domani accadrà, dimostrando da subito un bel coraggio, perché il cinema cosiddetto "in costume" (siamo nel 1848 in Maremma) è considerato da sempre rischioso. Gli va bene, il film piace anche ai francesi e dà l'impronta di un percorso. Due butteri girovaghi incontrano persone e prendono coscienza del mondo. Da allora, fino a oggi con Chiamatemi Francesco - Il papa della gente, il biopic su Jorge Bergoglio nelle sale dal 3 dicembre, il regista romano ha sempre seguito personaggi "in viaggio".

Parliamo di sentieri più interiori che altro. Esperienze e metamorfosi. Quella di Silvio Orlando in Il portaborse (1991), prima assistente affascinato del politico di razza interpretato da Moretti, poi spirito critico nei confronti dello stesso, nonché nauseato dalla spregiudicatezza del vivere e governare di una intera classe dirigente. Oppure quella dei giovani partigiani di I piccoli maestri (1997), ispirato al capolavoro letterario di Luigi Meneghello, dove la crescita interiore è si dei singoli, ma riflesso di quella civile e nazionale nel momento più drammatico della nostra storia. Quale percorso più significativo di quello attraverso l'educazione? La scuola (1995), buon successo di pubblico con oltre un milione di spettatori, oltre a essere il suo miglior film (tratto da un testo in parte autobiografico di Domenico Starnone e da una pièce teatrale sempre da Luchetti messa in scena, intitolata "Sottobanco"), questo racconta. Ragazzi e ragazze nel momento più complicato ed entusiasmante della vita, alle prese con se stessi, i loro cambiamenti, e ovviamente con l'istituzione scolastica. Anche se poi chi nel film cambia di più è il narratore adulto, l'insegnante Silvio Orlando... Biografie, movimenti veri e falsi, nello spazio e nel cuore. Luchetti sa ragionare anche su se stesso e sulla propria famiglia, richiamata da quella complicata di Anni felici (2013), ambientato a Roma negli anni '70, con alcune scene girate con la Super 8 che gli venne regalata in gioventù.

La scuola a parte, c'è un difetto persistente nel cinema di Luchetti. La messa in scena impeccabile, la ricostruzione perfetta (in primis quella storica), senza sbavature ma neanche sorprese, un po' meccanica, con le facce (penso per esempio a I piccoli maestri) che non corrispondono al tempo, se non forse al nostro: un eterno presente televisivo. Purtroppo capita anche con Chiamatemi Francesco. Gli anni giovanili e maturi di Bergoglio in Argentina prima durante e subito dopo la dittatura. Si percepisce come al solito lo sforzo per rendere tutto verosimile; si tratta però di una verosimiglianza patinata, un calligrafismo storico applicato a episodi della vita del pontefice che paiono gli "estratti" da una narrazione ben più ampia, quella della fiction divisa in quattro puntate, per 200 minuti complessivi, che sarà trasmessa prossimamente sul piccolo schermo, e di cui il film è letteralmente una riduzione. L'esperienza umana di Bergoglio, prete gesuita dalla vocazione tardiva e infine papa, conferma però nella sua parabola eccezionale l'interesse del cinema di Daniele Luchetti per i "viaggi" esistenziali.

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