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Ozu santificato: ma non è noioso?

ONDA&FUORIONDA di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti


domenica 23 agosto 2015 - Focus

In occasione del restauro di Viaggio a Tokyo, il film del giapponese Ozu del 1953, si sta procedendo alla santificazione di quel titolo e del suo regista. La beatificazione c'è già da tempo, con un segnale importante, che fa testo: è posizionato al terzo posto nella classifica di "Sight&Sound", la testata inglese che ogni decennio riaggiorna l'hit parade del cinema di tutte le epoche. È preceduto solo da La donna che visse due volte di Hitchcock e dall'inossidabile Quarto potere di Welles. Non intendo stabilire la funzione del cinema, diciamo che fra le molte quella che io ritengo la primaria, sia l'evasione. In un mio recente libro, I "100 film della nostra vita", co-firmato con mia figlia Rossella, in copertina c'è una sequenza con Oliver&Hardy che ballano intorno a un bidone della spazzatura. Poi c'è il cinema colto, importante, da critica, il film-opera d'arte, e chi mi conosce sa quanto io ami il cinema francese del Fronte popolare, quello di Renoir e Carné, con Gabin, perché aveva conseguito un risultato impossibile, era riuscito nella chimica fra poesia, vera, alta, di un Prévert e il cinema. "Realismo poetico". Poi c'è il realismo puro, quello che ha fatto dire a qualche critico storicizzato che "se devo vedere una donna in cucina mi basta mia madre, non c'è bisogno del cinema." Non voglio essere frainteso: Ladri di biciclette e i suoi figli (alcuni) sono capolavori, è arte che trascende il cinema. Ma il discorso sarebbe lungo. Un assunto che mi appartiene è questo: un grande film non è mai proiettato in una sala vuota o in una gremita. Il film di Ozu racconta la vicenda di due anziani che partono dal paese per andare a Tokyo a trovare i loro figli, un medico e una parrucchiera. Ma l'accoglienza, pure nel termini giapponesi dell'educazione, del sorriso e delle ritualità, è fredda. I figli hanno altro da fare, i genitori sono una complicazione. Poi ci sono i nipoti, ragazzi, che hanno perso persino ...la ritualità.
I due anziani tornano a casa, la donna muore. Quando sono entrato in sala all'Anteo di Milano, a (ri)vedere "Il viaggio", c'ero solo io. Tanto che sorridendomi mi sono detto "sta a vedere che sapevano che arriva Farinotti e mi hanno messo nella condizione ideale per la visione." Poi è entrata un'altra persona, una giovane. Sui giornali c'è stata molta promozione del film, tante "cinque stelle" e qualcuno si è incuriosito. C'è chi mi ha chiesto se valeva la pena di vederlo e io rispondevo "senz'altro". Un mio amico, un commercialista, che aveva seguito la mia indicazione, mi ha telefonato per dirmi "bell'indicazione mi hai dato, non siamo più amici, e vale anche per mia moglie". Ho tentato una spiegazione "critica" a difesa di Ozu, ma niente da fare, non l'ho convinto. Meno perentorio è stato Michele O., che ho incontrato a una cena mentre ero in vacanza in Liguria. È uno psicologo milanese che lavora in alcuni qualificati istituti. Insomma non uno specialista ma uno che sa leggere l'animo umano. Mi ha detto che sapeva che ci saremmo incontrati e che approfittava di me. "Sono andato sicuro di vedere un capolavoro, le dico che ho fatto una fatica immane a rimanere per quasi due ore e mezza, ma non mi sono arreso... ma cosa significa quella lentezza, quelle piccole cose, una donna che scopa in casa, per cinque minuti, i due vecchi che si domandano, tante volte, 'dove abbiamo messo il materassino gonfiabile' e poi quei dialoghi ... minimali. E così via". Ho spiegato che quelle piccole azioni vanno valutate in termini di simboli e metafore. Che i figli sono l'espressione della cultura successiva a Hiroshima, e che i nipoti una volta adolescenti, saranno ormai "occidentalizzati", emuli del modello di Salinger "Giovane Holden", contestatori totali, con poca educazione. E che Viaggio a Tokyo è il manifesto di quell'immane passaggio storico. "Ma allora" mi ha detto lo psicologo "è proprio roba da critici, solo per voi". E gli ho lasciato l'ultima parola, con quell'ultima frase. Poi mi ha chiesto di che anno fosse quel film. "Del 1953" gli ho risposto. "Ed è una buona annata?" "È la migliore fra tutti i 120 anni del cinema. Le do un dato indicativo, i titoli nominati per l'Oscar di quell'anno: Giulio Cesare, La tunica, Il cavaliere della valle solitaria, Da qui all'eternità, Vacanze romane." "Li conosco quasi tutti" mi ha detto."Credo di avere anche qualche dvd." Un paio di giorni dopo Michele O. mi ha telefonato. "Ieri sera mi sono rivisto Da qui all'eternità... che bel film."

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