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La politica degli autori: Bertrand Tavernier

Prossimo Leone d'Oro alla carriera, una vita per il cinema e per la letteratura.
di Mauro Gervasini

In foto Bertrand Tavernier.
Bertrand Tavernier 25 aprile 1941, Lione (Francia) - 25 Marzo 2021, Sainte-Maxime (Francia).

giovedì 20 agosto 2015 - Approfondimenti

Bertrand Tavernier, classe 1941, una vita per il cinema. Anche un po' per la letteratura, essendo figlio di René Tavernier, che durante l'occupazione tedesca pubblicava di nascosto i testi di Louis Aragon e Paul Eluard. «Sono cresciuto in una casa piena di libri», dice il cineasta insignito del Leone d'oro alla carriera alla prossima Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia. Il direttore Alberto Barbera gli ha chiesto di scegliere un titolo dei suoi da riproporre restaurato al festival, e Tavernier ha deciso per La vita e niente altro, mélo post bellico del 1989. Un grande film, da noi un po' dimenticato ma dai francesi considerato un classico. 1920: l'ufficiale Philippe Noiret ha il compito di ritrovare soldati scomparsi durante la Grande Guerra, oltre alle spoglie dell'anonimo caduto da celebrare come "milite ignoto". Sulla sua strada incontra un'affascinante e ricca signora, Sabine Azéma, in cerca del marito; e una ragazza, Pascale Vignal, che vorrebbe scoprire cosa è accaduto al fidanzato. La storia, quella con la maiuscola pregna di tragedie, presenterà il conto a tutti e tre, in un memorabile finale.

Tavernier ha ragione: La vita e niente altro è la summa di tutto il suo cinema tenace, civile, classico nella forma, meticoloso nello scavo psicologico, "massimalista" nell'affrontare i nodi cruciali della modernità, letterario per il fecondo rapporto con la pagina scritta (si ispira a un articolo del grande Didier Daeninckx), mimetico nel chiedere ai propri attori (e Noiret è il classico "feticcio") il giusto realismo. Di questo film non ci abbandona la straordinaria intuizione che la terra possa avere più memoria degli uomini, con i suoi segreti sepolti tra spoglie di gente morta. È anche il tema di tanta letteratura di James Lee Burke da cui il regista ha attinto per uno dei suoi titoli più recenti, L'occhio del ciclone - In the Electric Mist (2009). Un bastian contrario, Tavernier, polemista a tratti moralista (rivedere L'esca, 1995, che nonostante un inspiegabile Orso d'oro a Berlino resta per chi scrive un film irricevibile), apertamente schierato con il "cinema di papà" in anni di tumultuose Vague, anti godardiano pronto a risarcire gli autori del cinema popolare messi alla gogna dai Cahiers barricaderi, ai quali dedica Laissez passer (2002). Non a caso porta a Venezia un altro restauro, Zampe bianche - Pattes Blanches (1949) di Jean Grémillon, nome inviso ai giovani turchi. Un carattere antagonista non sorprendente se si pensa al suo mentore, Jean-Pierre Melville, con il quale il giovane Bertrand cominciò come assistente sul set di Léon Morin, prete (1961).

Tanti, troppi film preziosi nel carnet del regista. La morte in diretta (1980), fantascienza in anticipo sui tempi sul nocivo voyerismo dei media in un mondo distopico (che poi è il nostro). Il magnifico Colpo di spugna (1981), ispirato a un romanzo di Jim Thompson ma rielaborato come metafora del colonialismo assassino e impunito. Round Midnight (1986), omaggio al jazz con Dexter Gordon, Oscar per la migliore colonna sonora (di Herbie Hancock). L.627 (1992), poliziesco con il quale ha saputo riscrivere il genere, anche da un punto di vista linguistico. E tornando agli esordi, l'indimenticabile L'orologiaio di Saint-Paul (1974), da Simenon, che resta, insieme a La vita e niente altro, il suo capolavoro. Non trascurabile, però, il lavoro come critico e storico del cinema. In gioventù animatore di un cineclub, Tavernier fu tra i primi a considerare sotto una diversa prospettiva gente come Delmer Daves, Budd Boetticher e King Vidor. In generale al cinema statunitense classico ha nel corso del tempo dedicato saggi e studi considerati all'avanguardia (va almeno citato il volume - 1246 pagine! - "50 anni di cinema americano", pubblicato nel 1991). Ciliegina sulla torta, Riccardo Freda. Evidentemente a proprio agio con i caratteracci "melvilliani", Tavernier del regista italiano fu amico e collaboratore, nonché sceneggiatore del suo Moresque: obiettivo allucinante (1967).

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