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Jackie Chan, un attore capace di lottare

Ospite del Far East, l'artista racconta di sé e del suo futuro.
di Emanuele Sacchi

Jackie Chan a Udine per il Far East Film Festival 17. Photo by Luigjina Shkupa.
Jackie Chan (Kong-Sang Chan) (70 anni) 7 aprile 1954, Hong Kong (Hong Kong) - Ariete.

sabato 25 aprile 2015 - Far East Film Festival

Jackie ci tiene a ribadire il concetto: sessant'anni non sono trascorsi invano. Ha imparato dai suoi errori, ha imparato cosa vuole il pubblico, soprattutto ha compreso quale sia il suo nuovo ruolo. Eroe dei film d'azione, beniamino dei più giovani, saltimbanco che è maturato ma non ha perso l'entusiasmo, Jackie Chan è soprattutto un incredibile showman e lo dimostra al Far East Film Festival di Udine, quando in conferenza stampa mima le sue risposte o le accompagna a mosse di arti marziali che esemplifichino il concetto. Un magnetismo che non si può spiegare a parole, ma che si riscontra non appena Jackie prende il microfono e cattura la scena. L'occasione è la presentazione di Dragon Blade, proiettato come film di apertura del festival udinese, in prima visione internazionale al di fuori dai confini cinesi. Un blockbuster ambientato ai tempi dell'Antica Roma, che vede al fianco di Jackie Chan star di Hollywood come Adrien Brody e John Cusack. Una leggenda, quella dell'incontro tra Romani e cinesi nelle zone desertiche del Gobi, formulata su un fatto reale, quello della singolare etnia dello Xinjiang, dalle fattezze caucasiche ma di lingua cinese mandarina.

Dragon Blade è l'occasione per un incontro inedito tra star americane e cinesi in un contesto totalmente cinese. Con il cinema americano hai avuto alti e bassi, ma ormai sembra che tu sappia muoverti alla perfezione con i loro meccanismi, no?
Ai tempi di La corsa più pazza d'America o The Protector provai ad andare negli Stati Uniti alla maniera di Bruce Lee, ma la cosa non funzionò. Era il momento sbagliato e il modo sbagliato. Quando anni dopo è stata l'America a invitarmi e non io a cercare di inserirmi questo ha portato a grandi successi come Rush Hour. Penso che l'America sia un paese libero in cui tutto può funzionare, ma al momento giusto e nella giusta occasione.

Come misuri il successo di un film oggi rispetto a ieri?
Quando ero giovane il box office era molto importante, era la prima cosa; la qualità veniva in secondo piano. Dovevo innanzitutto provvedere al sostentamento di me stesso e della mia famiglia. Solo dopo pensavo a essere un bravo regista, produttore, attore ecc. Drunken Master era un po' l'esempio di questo: un grande successo in cui il massimo del contenuto era una lezione su bere, lottare, ancora bere, ancora lottare e poi fare soldi con il film. Non un bel messaggio. Ora voglio che ogni mio film abbia un messaggio: di pace, di armonia. Come per una canzone, quando la ascolti ti concentri anche sul testo e su quello che racconta.
Naturalmente siamo tutti contenti se al box office un film incassa ma non è più la priorità, anche perché ho già abbastanza soldi per fare qualsiasi cosa oggi. Voglio fare qualcosa per cui i miei nipoti possano dire "Che grande film che hai realizzato, nonno". E sicuramente non lo diranno di Drunken Master, ma di Project A - Operazione pirati, Senza nome e senza regole o di Dragon Blade. Un film che incassa tanti soldi può essere uno di cui la gente si dimentica appena uscita dal cinema, mentre ci sono film che non hanno incassato niente di cui si parla a distanza di venti o trenta anni.

Hai iniziato la tua carriera come attore-stuntman e ora con i tuoi personaggi cerchi di essere più filosofico e di incarnare la filosofia del modus vivendi cinese. Come pensi che si evolverà la tua carriera nel futuro?
Vorrei essere un vero attore, come un Robert De Niro asiatico. Anche oggi quando sono in Africa in un paesino remoto i ragazzini gridano "Jackie Chan!" e cominciano a lottare tra loro. Se parlassero di Robert De Niro starebbero tutti in ammirazione del suo status di attore. Vorrei essere un vero attore e che tra dieci anni parlassero di me come di Robert De Niro. La vita dell'action hero è assai breve e non voglio essere ricordato come il fighter che sa recitare, ma come l'attore che sa anche lottare. La Cina e l'evoluzione della sua industria oggi mi danno più possibilità rispetto a Hong Kong. A Hong Kong posso fare Police Story 7, 8 ecc. perché è quello che ho imparato a Hong Kong, in Cina ho la possibilità di esplorare una cultura, anche nei suoi lati meno conosciuti, e di collaborare con la cultura americana come in Dragon Blade.

Dragon Blade ha rappresentato uno sforzo epico in ogni senso: sette anni per realizzarlo, combattendo con le difficoltà dell'ambientazione desertica...
Sì, d'altronde doveva svolgersi nel deserto. Duemila comparse si sono sobbarcate 4 ore di viaggio per andare nel deserto e partecipare al film con Jackie Chan. Poi ogni giorno significava lavorare ininterrottamente per ottenere pochissime ore di girato, nelle giuste condizioni e dopo aver coordinato tutte le comparse. Avremmo potuto usare un green screen e fregarcene di tutto, ma avremmo rovinato il sentimento di realismo, la verosimiglianza delle scene. Anche perché, benché si parli di personaggi che non sono realmente esistiti e di una sorta di leggenda, questa si basa su un fatto reale, su cui manca ancora una reale spiegazione nei libri di storia. Nello Xinjiang, infatti, la regione più occidentale della Cina, molta gente presenta tratti caucasici pur parlando cinese mandarino. Discendenti di un incontro tra etnie di 2000 anni fa, con capelli biondi e occhi verdi, anche se parlano cinese. Naturalmente non sappiamo esattamente cosa sia successo duemila anni fa, quella raccontata in Dragon Blade è solo un'ipotesi affascinante.

In questo mondo pieno di CGI e di tecnologia, c'è ancora spazio per la purezza del gesto marziale, per la "cosa vera" alla Jackie Chan, o la tecnologia è destinata a prevalere?
Penso che lentamente il cinema di vera azione sia destinato a scomparire. Persino ora ci sono poche persone che fanno vera azione e veri stunt, come me o Sammo Hung. Quando queste persone non lavoreranno più nel cinema, non so chi lo farà perché con gli effetti speciali non serve la fatica e il lavoro che ci sono dietro a lavori come questi. Oggi con gli effetti speciali americani chiunque può diventare una star del cinema d'azione. Matt Damon in Bourne Identity, ad esempio, sembra un campione di arti marziali, ma è frutto un artificio cinematografico. Quando ero giovane mi sono rotto piedi, dita, qualunque cosa girando i miei stunt più pericolosi, poi quando ho avuto i soldi per sostituirli con gli effetti speciali la gente non li voleva comunque, voleva vedere Jackie Chan che si faceva male; anche oggi che ho 60 anni, non ha importanza, vogliono vedere se riesco ancora a fare quel salto per poter dire "Wow!". Non vogliono vedere Jackie nei panni di Superman o Spiderman, a me piacerebbe ma è troppo facile. Nessuno mi chiama per interpretare ruoli così facili, aiutati dalla computer graphics. La nuove generazioni rispetto a me e Sammo sanno come usare gli effetti speciali, sanno come interagire con loro. Io credo di avere ancora cinque anni di carriera davanti a me, non di più, e poi adios, al massimo potrò girare una scena d'amore (risate, nda).

Tra chi fa arti marziali in giro vedi qualche talento speciale, qualcuno che sceglieresti come tuo possibile erede?
"Tanti, a partire dal mio Jaycee Team, sono bravissimi ma non sono popolari, gli studios non li chiamano perché pensano che ci sia uno e un solo Jackie Chan. Preferiscono spendere fino a mezzo miliardo ma prendono comunque la star, non c'è spazio per il nome poco conosciuto. Guarda solo quelli che fanno parkour, in giro ci sono atleti pazzeschi ma non sanno recitare, sanno solo saltare o fare numeri da stunt. Il pubblico ora vuole tutto, sia recitazione che lotta.

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