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I migliori attori da Oscar che hanno interpretato un disabile

Le grandi performance della storia del cinema.
di Gabriele Niola

Julianne Moore (Julie Anne Smith) (63 anni) 3 dicembre 1960, Fayetteville (Arkansas - USA) - Sagittario. Interpreta La dottoressa Alice Howland nel film di Richard Glatzer, Wash Westmoreland Still Alice.

martedì 24 febbraio 2015 - Gallery

Mai interpretare un ritardato totale, l'equilibrio giusto per l'Oscar è quello dei personaggi con disabilità mentali che li rendono dei vincenti. Lo spiega Robert Downey Jr. in Tropic Thunder al povero Scott Speedman (Ben Stiller), attore molto commerciale che aveva inseguito senza successo la statuetta interpretando in Simple Jack uno scemo troppo scemo per essere davvero premiato. È una delle considerazioni ironiche più acute sulla realtà dei premi consegnati dall'Academy: i ruoli che prevedono delle disabilità (mentali o fisiche) sono i migliori per conquistare i favori dei giurati e aspirare al premio maggiore.
Quest'anno sia la migliore attrice che il miglior attore, Eddie Redmayne per La teoria del tutto e Julianne Moore per Still Alice, rientrano perfettamente nella definizione. Da una parte una mente geniale imprigionata in un corpo/gabbia che lotta per far uscire lo stesso i suoi pensieri, dall'altra una donna affermata, una docente e professoressa che lentamente vede svanire la sua vita per il progressivo incalzare dell'Alzheimer. Entrambi due disabili in realtà più abili degli altri (Alice con il peggiorare della malattia migliorerà il rapporto con la figlia turbolenta).
È una regola che esiste fin dall'età dell'oro di Hollywood ma che è andata incrementando nei tempi moderni anche per la sempre più opportunistica tendenza di attori e produzioni a realizzare film "a forma di Oscar", dando vita a capolavori come a incredibili veicoli per i propri protagonisti. Noi abbiamo i nostri 10 preferiti (uomini e donne) in rigoroso ordine di complessità.

MIGLIORI ATTRICI
1. Charlize Theron (Monster)
Manie di persecuzione, atteggiamento violento e ingannatorio, siamo al limite della disabilità mentale, se però ci si aggiunge la profonda trasformazione fisica è Oscar e così è stato nel 2003 per Charlize Theron. L'aggettivo giusto da usare è "irriconoscibile".

2. Jennifer Lawrence (Il lato positivo)
Con Jennifer Lawrence parliamo di un vero prodigio della recitazione, la sua Tiffany di Il lato positivo è solo lievementa squilibrata, una piccola follia che la rende inabile alla vita normale come l'altro protagonista della storia. Una sfumatura che l'attrice rende con guizzi di rabbia e incredibili momenti di stasi, piani d'ascolto emotivi e una partecipazione che sconfinano dal genere "disabilità" per entrare subito nel campo delle grandi interpretazioni in assoluto.

3. Angelina Jolie (Ragazze interrotte)
Sociopatica e degente di un ospedale psichiatrico ma in realtà in grado di vivere la vita appieno, meglio e più di altri, non è la protagonista del film Winona Ryder (anche lei paziente del manicomio) ad avere il ruolo da premio, quello in cui la disabilità diventa una virtù, ma la non protagonista Angelina Jolie che con la sua Lisa trasforma la malattia in uno stile di vita, un punto di vista più empatico sul mondo.

4. Natalie Portman (Il cigno nero)
Non c'è nulla di più classico dello sdoppiamento di personalità. Due personaggi in uno, anzi due sfumature del medesimo personaggio. Cigno bianco e cigno nero, eterna ragazzina tenuta casta e pura dalla mamma e donna spregiudicata che scalpita per uscire. Con la parabola tragica della sua ballerina Natalie Portman ha centrato il lavoro interiore dell'attore che tanto è amato dall'Academy con la più classica delle degenerazioni mentali.

5. Joanne Woodward (La donna dai tre volti)
Stesso principio di Il cigno nero, solo moltiplicato per tre. C'è una donna con una doppia personalità (come sempre una molto pudica e l'altra più sanguigna) scaturita da un trauma infantile e uno psichiatra che ne scopre origine e funzionamento, cercando di far emergere una terza personalità, in equilibrio tra le due. Nel 1958 le tre Joanne Woodward furono uno dei primi Oscar all'interpretazione femminile che rivelarono la sottocategoria della disabilità.

6. Patty Duke (Anna dei miracoli)
Nella storia di Helen Keller, sorda e cieca e per questo ritenuta incapace di ragionare come gli altri, c'è anche il grande gancio di essere una storia vera portata sullo schermo. Patty Duke nel 1963 da non protagonista della storia (al centro della storia c'era la dottoressa umana e comprensiva di Anne Bancroft) tirò fuori dal personaggio un'interpretazione astratta e molto dura, in armonia con una storia di repressione e liberazione dalle catene di una famiglia che non aveva mai compreso le possibilità nascoste dalla disabilità. Battè anche l'Angela Lansbury di Va' e uccidi.

7. Marlee Matlin (Figli di un dio minore)
Di nuovo sordità ma con un risvolto sentimentale e amoroso. Nel 1987 Marlee Matlin sbaragliava Sigourney Weaver, Sissy Spacek, Kathleen Turner e Jane Fonda, tutte più note e blasonate di lei, vincendo l'Oscar con il più empatico dei ruoli. Apparentemente deficitaria in realtà pronta a vivere un amore pienamente.

8. Vivien Leigh (Un tram che si chiama Desiderio)
Pazza per amore, condannata dalla vita, relegata ai margini di una storia passionale e umida, la Blanche DuBois di Vivien Leigh è diventata un classico imitatissimo. Dal 1952 in poi i personaggi con una lieve forma di follia che nascondono dentro di sè sentimenti inaccessibili ed elevati, sono stati modellati su questa Blanche.

9. Cate Blanchett (Blue Jasmine)
È già un classico moderno. Jasmine (che non è nemmeno il suo vero nome) finge e aspira, è pronta a tutto, sembra disperata ma è anche dotata di una risolutezza incredibile. Non ha uno sdoppiamento di personalità ma è come se l'avesse, non è davvero folle ma in più di un momento sembra esserlo. Come se lottasse contro una disabilità per apparire al meglio, disperatamente in cerca di un marito. Cate Blanchett è capace di cambiare i propri connotati per rendere la profonda dissociazione del suo personaggio.

10. Holly Hunter (Lezioni di piano)
Essenzialmente Ada è muta, in questo sta la sua difficoltà principale, l'espediente drammaturgico che porta il personaggio ad un altro livello è il fatto che nonostante si esprima con il linguaggio dei segni in realtà il suo vero modo di comunicare è suonando il pianoforte e che attraverso quello riesca a fare tutto, anche corteggiare ed essere corteggiata fino a morire. Holly Hunter fa tutto senza fare niente, muove pochissimo i muscoli del viso sembra avere un'espressione sola e usare quella per dar vita ad un mondo interiore complesso e indeciso.

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