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Festival di Berlino, Orso d'Oro a Jafar Panahi

Pablo Larrain vince il Gran Premio, Charlotte Rampling miglior attrice
di Giancarlo Zappoli

Hana Saeidi Panahi, nipote del regista Jafar Panahi, ritira l'Orso d'Oro al posto del padre. In foto insieme al Presidente di Giuria Darren Aronofsky.

sabato 14 febbraio 2015 - Gallery

Giunta alla sua 65^ edizione la Berlinale (dal 2001 sotto la direzione di Dieter Kosslick ) conferma il suo status di Festival attento alle questioni sociali e al contempo pronto a dare spazio, in particolare nelle ampie sezioni Panorama e Forum, alla sperimentazione e ai nuovi registi. Ha poi trovato da tempo una formula organizzativa che gli consente di collocare film e autori di valore che non vogliono (o non possono per i più vari motivi) essere inseriti nel Concorso Ufficiale. Si tratta della Berlinale Special in cui abbiamo potuto vedere all'opera un sempre straordinario John Cusack nel biopic Love & Mercy su Bryan Wilson frontman dei Beach Boys o l'interessante Life in cui Anton Corbijn indaga sull'incontro tra il fotografo Dennis Stock e il sempre più tormentato divo James Dean. Con il ritorno di Margarethe von Trotta a tematiche intimistiche con The Misplaced World e l'omaggio al nostro Ermanno Olmi con Torneranno i pratiin prima germanica questi sono i film che più si distinguono nell'interessante sezione insieme all'inevitabile prima di Cinquanta sfumature di grigio.
Il Concorso Ufficiale di questa edizione nel complesso non ha deluso le aspettative e, fatto che non sempre accade, non ha presentato film che costringessero a porsi la dolorosa domanda "Perché è qui?". Se vogliamo partire dalle opere che hanno convinto meno dobbiamo purtroppo fare riferimento ai nomi noti di Isabel Coixet (a cui è stata affidata l'apertura con un film che non ha saputo sfruttare le possibilità che la storia gli offriva come Nobody Wants the Night) e anche, seppur a tutt'altro livello, di un Werner Herzog che in Queen of the Desert è sembrato essere stanco della forma cinematografica da lui stesso portata sugli schermi nella sua corposa filmografia oppure di un Benoit Jacquot impegnato a riproporre in modo calligraficamente sterile il Journal d'une femme de chambre. Un caso a sé è ormai rappresentato da Terrence Malick che con Knight of Cups conferma la sua fase esoterico-filosofeggiante distante anni luce da quel La sottile linea rossa che vinse strameritatamente l'Orso d'Oro nell'ormai lontano 1998.
La ineludibile (ma è giusto che lo sia) pattuglia tedesca quest'anno si è presentata con opere molto diverse tra di loro. Se As We Were Dreaming di Andreas Dresen ripercorre con adesione ai loro vissuti le vite di giovani nati nella Germania Est e cresciuti in quella riunificata, Sebastian Schipper, con l'acrobatico unico piano sequenza di Victoria, ha proposto la rilettura del genere 'rapina' con originalità e senso dell'azione. Oliver Hirschbiegel poi con 13 minutes ha fatto il suo ritorno in patria portando alla luce la figura di Georg Elser, attentatore mancato di Hitler. L'attenzione alle tematiche sociali, come si diceva sempre presente alla Berlinale, quest'anno sì è rivolta in modo particolare all'America Latina con la sofferta vicenda di una giovane guatemalteca presentata in Ixcanul di Jayro Bustamante (che ha trovato poi quasi una specularità nell'interessante Vergine giurata di Laura Bispuri) e con il costante bisogno di non dimenticare il lato oscuro della storia cilena di The Pearl Button di Patricio Guzman. A ricordarci poi quanto i regimi possano assurdamente punire l'Arte ci ha pensato la presenza di Jafar Panahi che, improvvisato autista di Taxi, ci ha offerto una lettura clandestina del proprio Paese.
I film asiatici hanno mostrato come l'entertainment e la pirotecnia di eventi possano essere funzionali e assolutamente permeabili a tematiche importanti come si è visto nel cinese Gone With the Bullets e nel giapponese Chasuke's Journey mentre il vietnamita Big Father, Small Father and other Stories ha posto l'accento sulle dinamiche di un'attrazione gay giovanile. Un discorso a parte poi va riservato all'Europa dell'Est che nei tre film presentati ha affrontato rispettivamente il passato con Aferim! (Romania), il presente con Body (Polonia) e un futuro terribilmente vicino con il russo Under Electric Clouds.
Le vette sono state toccate da un trio di opere che si segnalano anche per la loro totale estraneità linguistico-narrativa l'una all'altra. Se da un lato 45 Years di Andrew Haigh ha proposto un film di attori in grande spolvero come Charlotte Rampling e Tom Courtenay, El Club di Pablo Larrain ha mostrato come si possa ancora fare un cinema di pesante denuncia senza trascurare l'indagine psicologica e l'accurata messa in scena. A loro si unisce il Peter Greenaway di Eisenstein in Guanajuato, brillante e cinefilicamente libero dai barocchismi a lungo autoimpostisi.
In chiusura una breve nota sui fuori concorso: se l'omaggiato Wim Wenders (Orso alla carriera) non ha questa volta brillato per originalità con Every Thing Will Be Fine chi invece ha mostrato che si può rivisitare un classico immortale "con coraggio e gentilezza" e soprattutto con una straordinaria voglia di divertirsi e divertire è stato Kenneth Branagh con Cenerentola. La scarpina di cristallo gli calza a perfezione.

I PREMI

Orso d'oro: Taxi di Jafar Panahi
Gran premio della giuria: The Club di Pablo Larrain
Premio Alfred Bauer: Ixcanul di Jayro Bustamante
Orso d'argento per la miglior regia: Radu Jude per Aferim! ex equo con Malgoska Szumowska per Body
Orso d'argento per il miglior attore: Tom Courtenay in 45 Years
Orso d'argento per la miglior attrice: Charlotte Rampling in 45 Years
Orso d'argento per la miglior sceneggiatura: Patricio Guzmán con The Pearl Button
Orso d'argento per il contributo artistico:Sturla Brandth Grøvlen per Victoria ex equo con Sergey Mikhalchuk e Evgeniy Privin Under Electric Clouds

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