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Tornano i western di Sergio Leone, l'inventore

Onda&Fuorionda di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti

Clint Eastwood in una scena del film Per un pugno di dollari di Sergio Leone.
Clint Eastwood (Clinton Eastwood Jr.) (93 anni) 31 maggio 1930, San Francisco (California - USA) - Gemelli. Interpreta Joe, lo straniero nel film di Sergio Leone Per un pugno di dollari.

domenica 16 novembre 2014 - Focus

Sono in uscita, come inserti di quotidiano, cinque western di Sergio Leone, rimasterizzati. Non c'è dubbio che sia un evento. Cinquant'anni fa venne distribuito nelle sale uno strano western, e uno strano film, Per un pugno di dollari. Nei primi giorni passò quasi inosservato, poi cominciò a decollare. Poi divenne un successo al box office, poi un trionfo. Piaceva al pubblico, soprattutto al pubblico giovane. Erano gli anni della decadenza del genere western, qualcuno decise che l'ultimo grande western eroico era stato L'uomo che uccise Liberty Valance, del 1962, di John Ford. Con quel film, il grande profeta del cinema dell'Ovest aveva definito tutti i temi della frontiera, col suggello della famosa battuta che un giornalista dice a James Stewart: "senatore, qui siamo nel west, dove se la leggenda incontra la realtà, vince la leggenda." Leggenda significava, in quei film, che l'eroe era purissimo, che il cattivo era cattivo e basta, che le donne erano contorni gradevoli che occupavano poco spazio, e che la giustizia alla fine trionfava. Sergio Leone decise dunque che la leggenda andava sorpassata. "Per un pugno di dollari" stabilisce davvero un confine e, a posteriori, si è rivelato un'invenzione che ha cambiato il cinema, non solo di genere. Forse neppure Leone si aspettava questa grande rivoluzione, forse voleva semplicemente fare qualcosa di diverso. Comunque il regista, che era uomo colto e veniva, per famiglia, dal cinema -suo padre Vincenzo, firmandosi Roberto Roberti, era stato un buon regista, fin dal tempo del "muto"- raccontò tutti i codici che lo avevano portato a quel tipo di linguaggio. Linguaggio che poi esportò dovunque, anche in America, patria, gelosa, del western. E non è roba da poco. Al primo titolo, che determinò anche la definizione, pessima "western spaghetti", seguirono Per qualche dollaro in più, Il buono il brutto e il cattivo, C'era una volta il west e Giù la testa. Quest'ultimo non racconta una vicenda dell'ovest, ma un segmento della rivoluzione messicana, quella di Villa e Zapata, primi anni del secolo scorso.

Su Leone sono stati scritti libri, il suo stile è stato analizzato nel profondo, come si fa con gli inventori. Dunque in questo spazio corto non posso che stare ad alcune sintesi. La prima è l'eroe: che non è più senza macchia. Clint Eastwood non ha neppure un nome, può essere "il biondo". Non ha mai la barba fatta, non ha a che fare con le donne, certo uccide i cattivi, ma per la taglia. Alla fine, proprio alla fine, forse è un po' più buono che cattivo. La cosiddetta amicizia virile che nel genere classico poteva essere quella fra John Wayne e Dean Martin (Un dollaro d'onore) in Leone era quella fra Eastwood e Van Cleef, un altro cacciatore di taglie.

Io sono senz'altro un innamorato del genere western, di quello classico detto sopra. Da ragazzo i western di Leone non mi piacevano per il contenuto. Poi li ho apprezzati per il linguaggio e le invenzioni. Non c'è dubbio che Leone abbia rappresentato il west più che il western, fra il cinema e la realtà c'era una differenza abissale. Gli eroi non erano Gary Cooper e James Stewart con le loro camicie stirate, e il cappello Stetson perfetto, ma era la schiuma sporca che arrivava laggiù da tutto il mondo. Le donne non erano le bellissime hollywoodiane prestate all'immagine dell'eroina Calamity Jane, che era un mostro, basta guardare le immagini dell'epoca. L'abbigliamento erano gli spolverini incrostati che indossano Bronson, Robards e Fonda nei film di Leone. Un'estetica che venne raccolta, come ho detto, dai maestri americani. A cominciare da Sam Peckinpah che fece Il mucchio selvaggio, un classico che potrebbe essere di Leone. Il "Mucchio" è del 1969, significa che l'americano aveva già visto i quattro western dell'italiano. E i western attuali, quei pochi che vengono prodotti, soprattutto dai network televisivi, nell'estetica e nei contenuti non possono prescindere dal "modello Leone. Non è roba da poco: Leone ha imposto un certo cinema agli americani, abituati da sempre a imporre il loro. I film di Leone li abbiamo visti e rivisti, può essere inteso come un doppio segnale: ci siamo abituati, non hanno più niente da dirci. Oppure: continuano ad avere un gradimento molto alto sul piccolo schermo. Cinema di invenzione e di esportazione quello di Leone, che riprendeva, parzialmente, il filo d'oro del grande cinema italiano dei decenni precedenti.

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