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La storia di Leopardi: c'è della grandezza

ONDA&FUORIONDA di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti

Elio Germano (43 anni) 25 settembre 1980, Roma (Italia) - Bilancia. Interpreta Giacomo Leopardi nel film di Mario Martone Il giovane favoloso.

lunedì 27 ottobre 2014 - Focus

C'è della grandezza nel Giovane favoloso di Mario Martone. Mi ero già occupato preventivamente del film, del progetto e dell'idea, e del coraggio. Adesso ho visto il film. Ho già scritto, e riscritto, della mia stima verso il regista napoletano, una voce estranea e più alta rispetto ai contenuti "medi" del cinema italiano. Una voce che sorpassa le stagioni e anche i confini.
Devo tornare indietro di tre anni per ritrovare altrettanta grandezza. Mi riferisco ad Habemus Papam di Moretti. Altro titolo per il mondo. Nel frattempo non posso non ricordare un altro film importante, La grande bellezza, sappiamo: film importante appunto, clamoroso e pirotecnico, con tanto di Oscar (il primo per Sorrentino e ... il sesto per Fellini).
Il giovane favoloso non è semplicemente un film, è la storia di un'intelligenza e di un sentimento che rappresentano un unicum nell'Europa dell'ottocento, dove le intelligenze italiane non erano poi molte. Sarebbe impossibile, in questo spazio, raccontare il Leopardi, starò alla sintesi estrema: la sua capacità di essere qualcosa e la sua contraria, rendendole entrambe "verità", e sempre nel concetto di dolori opposti. Naturalmente la poesia è il primo motore e fu talmente potente, vasta ed ecumenica da evolversi, attraverso un percorso complesso ma credibile, in filosofia. Non era una cosa semplice. Così come non è stato semplice, per Leopardi, farsi accreditare come grande sentimento romantico e anche grande spirito illuminista.
In questa chiave, quasi in automatico il riferimento va a un suo contemporaneo, John Keats, poeta inglese. Anche lui diventato "film" con Bright Star, per la regia di Jane Campion, autrice di prima fascia, come Martone. Ne ho già scritto in questa sede. Sappiamo che Leopardi fu infelice e morì giovane, Keats forse fu ancora più infelice e morì più giovane. I due erano quasi coetanei: nato nel 1795 il londinese e nel 1798 il recanatese. Keats morì di tubercolosi a Roma, a 26 anni. Leopardi di idropisia e asma a Macerata, a 39 anni. Dunque Keats e Leopardi: come spesso accade, il tempo lega e collega come un filo invisibile ma fortissimo anche pensieri e sentimenti lontani, se i protagonisti sono anime e poeti della stessa altezza. Vale per la letteratura come per la musica, vale per le arti figurative, in tutte le epoche. Non credo di essere intellettualmente scorretto se dico che le loro intelligenze non erano lontane. Keats viveva un romanticismo violento e dolente. Leopardi era un romantico toccato da un'attenzione all'illuminismo, appunto. Martone scandaglia tutte le possibilità, famigliari, private, intime del conte Giacomo, nato bene, per censo, nobiltà e cultura. Con un padre, Monaldo, davvero padrone della parte fisica e spirituale del ragazzo da subito gracile e malato. La disciplina, anche culturale, è ferrea, non fa prigionieri. Persino guardare oltre la finestra, la casa di fronte, dove vive "Silvia" è quasi proibito. Le idee dei conti sono ultraconservatrici e quando nella vita di Giacomo compare Pietro Giordani, fervente rivoluzionario bonapartista, il nuovo orizzonte culturale spacca la famiglia. E, per fortuna, spacca anche le catene e il giovane favoloso può seguire l'amico fraterno e idolo Antonio Ranieri a Napoli. Ranieri è vivace, inserito e bello. Tutte le donne sono sue e spesso Giacomo è lì in un angolo a osservare. Ed è sempre a disagio, nel pubblico, dove si pone come uno sgradevole fenomeno, e nel privato dove deve vedersela momento dopo momento con la sua invincibile attitudine al dolore. La vita è costretta a sfiorarlo, quando Ranieri gli organizza una visita in un postribolo, niente funziona. Giacomo deve fuggire inseguito dalle risate delle puttane. Martone riesce a inserire la parola nel racconto, e non è semplice , perché la parola "pura" non è cinema. Ma se la parola è il verso di Leopardi, allora la letteratura, ponendosi dall'alto, finisce per dominare. E allora ascolti attonito l'"Infinito", del fenomeno Giacomo, di notte, davanti al "colle" che ispirò i versi, anche perché a declamare sussurrando è un altro fenomeno, Elio Germano. La performance dell'attore mi ha ricordato quella di Daniel Day Lewis che faceva Lincoln. Roba da storia alta del cinema. Germano diventando Leopardi, fisicamente si umilia, di distrugge, si muove ingobbito, si piega come un albero malato, col volto che quasi tocca la terra. Elio Germano ha dato corpo e volto, spirito e dolore a Giacomo Leopardi. Mi si perdoni l'enfasi: fatte le proporzioni fra discipline, attore all'altezza del poeta.

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