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Il nuovo impegno di David Lynch

L'autore americano a Milano per spiegare il suo progetto.
di Rossella Farinotti

David Lynch (David Keith Lynch) (78 anni) 20 gennaio 1946, Missoula (Montana - USA) - Capricorno.

martedì 4 febbraio 2014 - News

Per il suo nuovo progetto di lavoro, e di vita, David Lynch è stato ospite di Fazio e delle istituzioni milanesi: doppia conferenza stampa in Provincia e al teatro Dal Verme. Incontri importanti che, del resto, un artista come Lynch merita.

"You don't have to be an unhappy person to do unhappy movies"/ "Non è necessario essere una persona triste per fare film tristi" ... questa la risposta di Mr. Lynch alla mia domanda - certamente scontata, ma del resto inevitabile - dopo la spiegazione del suo metodo per combattere lo stress, in particolare studiato su ragazzi giovani e da inserire nelle scuole.

"Mr. Lynch, lei parla di serenità d'animo, positività, addirittura felicità, come sensazioni acquisite, o recuperate, attraverso la meditazione. Sono termini che non corrispondono, anzi, che risultano in conflitto con la sua poetica cinematografica, e d'artista". E il regista sorride. Sereno. E ripete: "Per fare una scena di morte, o di panico, puoi anche essere felice. E io negli ultimi 40 anni lo sono stato".

Lynch, elegante, simpatico, che scruta, attraverso i suoi grandi occhi azzurri, con curiosità e ironia ogni persona o dettaglio intorno a sé, si è recato a Milano per soli due giorni per parlare pubblicamente (al Teatro dal Verme) della sua Fondazione creata nel 2005 ( la David Lynch Foundation For Consciousness-Based Education and Peace) con lo scopo di combattere un certo tipo di patologia, o semplicemente stress, causato da ansia, paranoia, paura, malessere. Lo scopo principale è la diffusione nelle scuole, ma il pubblico ad ascoltarlo era più vasto e vario. In fondo trattasi di David Lynch. Quell'autore amato da molti e meno amato da altrettanti, per le sue tematiche forti e ansiose, per la sua poetica estrema ed energica, sia nello stile, immediatamente riconoscibile, sempre al limite tra il reale e l'onirico, tra il tangibile e il fittizio, ma che ha pian piano costruito una sua storia del cinema. Una storia di personaggi inquieti - da Velluto blu (1986) a Mulholland Drive (2001) - addirittura mostruosi - The elephant man (1980), o in cerca di un'identità, spesso peggiore, in cui rifugiarsi, come Inland empire (2006), fino ai veri propri gialli, quasi orrorifici per tensione e paure recondite, come Cuore selvaggio e, come non citare, Twin Peaks (entrambi 1990), la fiction con cui il maestro del grottesco e dell'iperrealismo contemporaneo è diventato noto a livello mondiale.

Inquietudine, sogno, iper-realtà, un po' di magia, ironia e sarcasmo, questi alcuni dei concetti che legano lo spettatore a quell'aggettivo ormai di moda, quel termine - "lynchiano" - ormai d'uso comune e che solo pochi, grandi maestri, hanno saputo meritarsi. Due di questi citati da Lynch stesso come i suoi personaggi mitologici del cinema: Stanley Kubrick ("kubrickiano") e ... Federico Fellini ("felliniano").
Poche, pochissime parole sul cinema e alcune sull'arte. Del resto Lynch, come molti grandi artisti, non si è limitato alla settima arte, quella del cinema. L'autore americano ha infatti dipinto per molti anni, e ora è concentrato sulla musica. Quando, per la mia seconda domanda a disposizione, ho potuto chiedergli del rapporto tra la pittura e il cinema (rapporto ripreso nel libro "Il Quadro che visse due volte", con una sezione dedicata appunto a Lynch, tratta da una tesi dell'artista italiana Ester Grossi) Mr. Lynch ha risposto sempre riprendendo il tema del metodo, poiché è necessario per lavorare e per "il flusso di creatività" di cui ogni artista ha bisogno. E poi ha raccontato che, mentre da giovane stava dipingendo una tela, ha visto il paesaggio prendere movimento. Lì è subentrato il cinema. Quel "quadro" di immagini in movimento.

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