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La politica degli autori: Pablo Larraín

Uno dei maggiori talenti cinematografici di oggi.
di Mauro Gervasini

In foto Pablo Larraín sul set del suo ultimo film, No - I giorni dell'arcobaleno.
Pablo Larraín (Pablo Larraín Matte) (47 anni) 19 agosto 1976, Santiago del Cile (Cile) - Leone. Regista del film No - I giorni dell'arcobaleno.

mercoledì 8 maggio 2013 - Approfondimenti

È all'unanimità considerato uno dei maggiori talenti cinematografici di oggi Pablo Larraín, cileno, classe 1976, autore finora di quattro soli lungometraggi e di una serie tv coprodotta da Hbo ancora inedita in Italia (Profugos). Il suo ultimo film, No - I giorni dell'arcobaleno, esce nelle sale italiane il 9 maggio dopo aver sorpreso l'anno scorso il pubblico della Quinzaine des réalisateurs di Cannes e più recentemente quello del Torino Film Festival. In un mese che pare consacrato al recupero della cultura cilena in tutte le sue forme (il Cile è paese ospite del Salone del libro di Torino che inaugura il 16 maggio) Larraín ricorda come il continente latino americano sia in fermento anche politicamente. La democrazia faticosamente risorta a Santiago ha solo 25 anni ma va all'arrembaggio più di altre. Il cinema del regista - peraltro figlio dell'ex presidente del partito conservatore UDI che appoggiò Pinochet e di Magdalena Matte, attuale ministro allo sviluppo urbano nel governo di destra di Piñera - ricorda quanto siano ancora aperte le ferite del passato, quanto ancora sia complicato elaborare in maniera condivisa una dittatura che ha pesantemente condizionato la vita nazionale negli ultimi quattro decenni.

No - I giorni dell'arcobaleno racconta la campagna referendaria che portò nel 1988 alla vittoria del "no" al regime militare. Pinochet e la sua giunta si aspettavano un plebiscito in loro favore, e invece grazie agli accorgimenti di un pubblicitario che fa prevalere l'allegria sulla fobia, il fronte popolare (socialisti e democristiani) vince, a sorpresa. Gael García Bernal interpreta il giovane esperto di "commercial" al servizio della causa, diviso dal suo capo Alfredo Castro (attore feticcio di Larraín, visto anche in È stato il figlio di Daniele Ciprì, 2012) che invece lavora con metodi più tradizionali per la dittatura. La loro convivenza (si ritrovano alla fine come se niente fosse... apparentemente) rende più problematico il senso politico del film. Non ci sono però dubbi che Larraín individui nell'erosione dell'identità una delle più nefaste conseguenze del regime, come simbolicamente raccontato nel suo secondo lungometraggio, Tony Manero (2008). Storia di un uomo che negli anni di Pinochet partecipa a un contest per sosia di John Travolta nella Febbre del sabato sera, perdendo qualunque connessione sana con la realtà e con se stesso.

Il capolavoro del cineasta resta però Post Mortem (2010) che della dittatura e del paese rappresenta una metaforica autopsia. A Santiago, nel settembre del 1973, Mario (sempre interpretato da Alfredo Castro) lavora alla morgue, vive in solitudine, vede solo corpi di gente morta. Invidia quel briciolo di vita che anima la casa della vicina Nancy. Basta attraversare la strada. Lei è artista burlesque in un fatiscente cabaret della periferia. Gente per strada che grida viva Marx. Gente per strada che grida contro Marx. Militari e fascisti. Molte autopsie. Fino a quella definitiva che si intuisce essere sul corpo straziato di Salvador Allende, suicidato alla Moneda con il fucile che gli regalò Fidel Castro. Un affresco raggelante, esteticamente perfetto e inquietante per la scelta di Larraín di non usare la macchina da presa a mano (come previsto in fase di pre-produzione) ma inquadrature fisse che imprigionano anche lo spettatore al destino tragico dei protagonisti.

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