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Siberia meccanica

Salvatores e il cinema internazionale.
di Roy Menarini

In foto Arnas Fedaravicius e Jonas Trukanas in una scena di Educazione siberiana.
Arnas Fedaravicius . Interpreta Kolyma nel film di Gabriele Salvatores Educazione siberiana.

domenica 3 marzo 2013 - News

In pochi mesi, due prodotti artistici - un libro e un film tratto da romanzo - sembrano riaprire l'analisi del mondo russo post-comunista. Parliamo del mirabile "Limonov", di Emmanuel Carrère, e di Educazione siberiana di Gabriele Salvatores, tratto dall'omonimo romanzo di Nicolai Lilin. In entrambi i casi, gli spunti biografici (Limonov) e autobiografici (Lilin) non mancano, e in entrambi i casi lo scenario russo contemporaneo viene descritto con sincero pessimismo, deformato da una crisi sociale indiscutibile, e da una violenza che abita tanto nelle istituzioni quanto nella criminalità organizzata. Le somiglianze proseguono, ma ci limitiamo a cogliere la prossimità cronologica dei due titoli, ora che grazie a Salvatores le vicende narrate da Lilin giungeranno a un pubblico più ampio.
Ora, al di là del contrastato giudizio di valore sul film, pare interessante l'accumularsi di progetti internazionali da parte dei nostri autori più rappresentativi. Il 2013 per il prodotto italiano è cominciato a gonfie vele (economicamente parlando) con La migliore offerta, diretto da Giuseppe Tornatore ma interpretato da un cast interamente straniero e debitore di un immaginario artistico e mitteleuropeo ben lontano dalle prassi nazionali. Si è detto che il marchio di Tornatore, apposto su un prodotto competitivo nel mercato europeo, aveva funzionato. Contemporaneamente, persino il bistrattato Muccino di Quello che so sull'amore si è rivelato un discreto successo su suolo italiano, quasi che i nostri spettatori abbiano riconosciuto, nell'anonimo stile di regia, l'impronta dell'autore amato. Aggiungiamo, qualche tempo prima, il Sorrentino americano di This Must Be the Place, baciato da incassi più che onorevoli in Italia, e ci accorgiamo che - paradossalmente - più gli autori rischiano di spersonalizzarsi in progetti dalla produzione orizzontale e a capitali misti, più il pubblico apprezza. Negli stessi mesi, gli spettatori hanno invece punito i vari Bellocchio, Bertolucci e Garrone, ai loro occhi colpevoli di aver raccontato storie troppo chiuse in se stesse.
Per chi pensa che nulla accade a caso, questi sono dati suggestivi. I registi che fanno film internazionali esprimono - piaccia o meno ai critici e al gusto di ciascuno di noi - una politica produttiva e distributiva legittima. Educazione siberiana, da questo punto di vista, è apprezzabile proprio nella sua dimensione meno autoriale, cioè quando Salvatores non ha la necessità di farsi riconoscere, e si limita a dare semplicemente voce alla storia che sta raccontando. A sua volta, l'industria degli adattamenti non ha nulla da farsi perdonare nel momento in cui cerca di competere su suolo internazionale. In buona sostanza, se indossiamo gli occhiali dell'analista di marketing più che del critico, dovremmo guardare con simpatia a Educazione siberiana, perché - nell'universo del cinema europeo transnazionale - possiamo riposizionarci nel mercato globale, e almeno non invidiare nulla a professionisti del prodotto esportabile quali Bille August, Danis Tanovic o Tom Tykwer.

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