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La politica degli autori: Dario Argento

Torna al cinema con Dracula 3D il maestro dell'horror.
di Mauro Gervasini

In foto Dario Argento.
Dario Argento (83 anni) 7 settembre 1940, Roma (Italia) - Vergine.

mercoledì 21 novembre 2012 - Approfondimenti

Nonostante tutto, quando ci capita di ripensare, rivedere o riscrivere di/su Dario Argento scatta un briciolo di nostalgia cinefila, una sorta di affetto inestinguibile. Il piacere del cinema (o «degli occhi», come direbbe Truffaut) nacque anche dai suoi film. Pare passato un secolo, e lo diciamo pure per lui perché capolavori come Profondo rosso o Suspiria non sembrano realizzati dallo stesso che ha firmato Trauma o Il fantasma dell'Opera (forse il punto più basso della sua produzione, ma anche qui è questione di gusti, evidentemente: secondo Enrico Ghezzi è il punto più alto!). Perché colpiva Argento? Con il senno "teorico" di poi perché rendeva carnale, consapevole, in qualche senso morbosa la messa in scena artigianale di chi aveva percorso prima di lui la stessa strada, in particolare Mario Bava che con titoli come Sei donne per l'assassino inaugurò il giallo/thriller/horror all'italiana. Bava ti fa sussultare, sbalordire, ma la paura vera, quella della voce dal buio che sussurra «Gianna» nel vuoto di una scuola (Profondo rosso) e non ti fa dormire per giorni, ecco, questa paura qui è (era) solo di Dario. Fin da subito. Dalla casa isolata di L'uccello dalle piume di cristallo (1970) gioiello naïf (in senso letterale, pittorico), agli occhi (presumibilmente suoi) che si accendono alla finestra nella notte di Suspiria, è tutto un cuore in tumulto.

Del cinema di Argento si è detto tutto. Visionario mescolatore di stili prima di tutto artistici o architettonici, con una predilezione per il Liberty, quello della villa misteriosa di Profondo rosso o del lucernario di Suspiria, per non parlare della casa stregata e maledetta di Inferno. E i colori saturi, implacabili, che adesso, grazie al grande ritorno di Luciano Tovoli alla fotografia ritroviamo anche in Dracula 3D, nuovo lavoro del Nostro presentato fuori concorso all'ultimo Festival di Cannes. Fascino della diversità: figure sghembe, marginali, nani, giganti e assassini, perversioni di ogni tipo, dal feticismo alla cleptomania di Tenebre alla zoofobia sadica dell'inquietante adolescente Nicoletta Elmi di Profondo rosso, una fiera degli orrori non sempre respingente, anzi, in qualche modo conturbante, erotica. Il desiderio del macabro. Almeno all'inizio, un inizio lungo per fortuna, che dura fino a Phenomena (1984), piccola grande fiaba quasi commovente, per poi interrompersi bruscamente anche se Opera (1987), l'Argento preferito da Quentin Tarantino, ancora contiene dissonanze visionarie degne del talento "di prima". Invece "dopo" con Dario tocca sempre fare a pugni, ingaggiare battaglie e sperare in riconciliazioni che non avvengono mai. Sceneggiature piene di falle, incongruenze e senza più personaggi che ti si attaccano addosso. I fan dicono "chissenefrega delle cose scritte" ma diciamolo, l'Argento di Il cartaio o Giallo è sciatto anche nella visione. Non si salva quasi nulla. Per trovare barlumi dell'antico splendore il cineasta romano è tornato alle radici, all'archetipo principe dell'horror: Dracula. Rivisitato con rispetto filologico nel nuovo film, nonostante un interprete, Thomas Kretschmann, di modesto fascino, ma con recuperata ispirazione. Specie dello sguardo.

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