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Non solo Bond

Compie 50 anni anche L'angelo sterminatore di Buñuel, capolavoro del cinema e dell'arte.
di Rossella Farinotti

In foto una scena del film de L'angelo sterminatore di Luis Buñuel.

martedì 13 novembre 2012 - News

Ma perché non riescono ad andarsene? Non capisco." Così risponde Luis Buñuel (Adrien de Van), perplesso, allo sceneggiatore americano Gil (Owen Wilson) che gli suggerisce una storia per un nuovo film. Woody Allen nel suo Midnight in Paris ironizza su e con il grande autore del cinema surrealista proprio rispetto a uno dei suoi capolavori: L'Angelo sterminatore, del 1962.

Dunque non solo Bond è arrivato a questo traguardo, nel suo status di mito, nella storia letteraria, cinematografica e commerciale, ma ci è arrivata anche un'opera cinematografica più raffinata e complessa, quasi un'opera d'arte. La storia è semplice, ma in quegli anni fece scalpore. Un gruppo dell'alta borghesia viene invitato dopo l'Opera a cenare a casa di amici, marito e moglie, che offrono una meravigliosa tavola con ottimi cibi e bevande, e musica. Alla fine della serata, quando è tempo di andare a casa, le persone non escono, non riescono a superare una linea immaginaria al di là della salotto in cui si trovano. Passano i giorni e via via gli umani perdono prima l'educazione, poi la personalità, poi dignità. Alcuni muoiono, altri litigano, si accusano a vicenda, sopraffatti da quella sorta di limbo, e di spietato confronto con gli altri. Un incubo freudiano, mescolato a un'ironica critica sociale e umana, raffinata e tagliente, come l'autore Buñuel, che manda l'Angelo sterminatore, una sensazione, una figura astratta, qualcosa che non esiste, come nel Giorno del Giudizio, a punire l'arrogante e viziata umanità.

L'opera di Buñuel, tratta da una pièce teatrale di José Bergamin dal titolo "Los Naufragos", oggi non è sorpassata, anzi. Possiede una forte contemporaneità dovuta sia all'idea vincente (una sorta di drammatico Grande Fratello all'interno di un salotto borghese), sia alla narrazione, sciolta, surreale, angosciante, con pathos, e sia all'estetica. Buñuel è sempre stato uno sperimentatore, ha sempre voluto al suo fianco artisti e intellettuali che hanno dato un contributo alla cultura nel periodo delle Avanguardie artistiche dei primi del Novecento. Un nome tra tutti è quello di Salvador Dalì, il pittore, scultore, scenografo, illustratore che ha collaborato con Buñuel per realizzare dei capolavori, al di là de L'angelo sterminatore. È decisivo ed è evocativo un titolo: il cortometraggio Un chien andalou (Un cane andaluso, 1929), scritto, prodotto e interpretato da Luis Buñuel, che l'ha firmato come solo regista, e Salvador Dalì. Un chien andalou è forse il primo modello di sperimentazione surrealista nel cinema: dalla scelta di farne un film muto, quando da un anno esisteva il sonoro, all'utilizzo di immagini non cinematografiche, assolutamente in stile Dalì, e con una narrazione realizzata senza apparente senso, ma con l'associazione di idee jungiana. Ecco che sfilano immagini che gli appassionati di arte e di cinema hanno ormai sedimentate nella memoria: l'occhio della donna tagliato dalla lama del rasoio (che riprende molto, per stile ed estetica, le fotografie e i volti di Man Ray, altro grande del periodo, per non parlare dell'apporto di Marcel Duchamp, dal quale Buñuel e il movimento Surrealista, che ha preso forma sulle idee di André Breton, però si staccano); la mano dal buco nero dalla quale fuoriescono le formiche "isteriche" (ricorrenti nei dipinti e nelle sculture di Salvador Dalì); gli atteggiamenti inquietanti e senza senso dei protagonisti (Buñuel gioca molto sul non-sense, partendo proprio dal titolo, il cane andaluso, che certo non soccorre lo spettatore nella trama); il forte erotismo sul nudo femminile; la luna; le strade vuote ...

Dalì ha collaborato negli anni con il cinema e successivamente con il mondo della pubblicità, e ha realizzato cortometraggi e progettato un film per la Disney nel 1945, dal titolo Destino, realizzato solo nel 2003. Ancora nel 1945 "tradì" Buñuel collaborando con un altro grande maestro, Alfred Hitchcock. Qui parliamo di cinema puro, e Dalì si inserisce perfettamente in un sogno fatto da Gregory Peck, il protagonista di Io ti salverò, insieme a Ingrid Bergman. Gli elementi? Una ruota deformata, grandi occhi dipinti che si moltiplicano, ombre allungate, uomini senza volto, e poi l'inserimento degli attori e della storia proprio all'interno di un dipinto dell'artista spagnolo. Un perfetto binomio, esplicito, tra arte e cinema. Verificheremo se questo immaginario cinematografico, inventato da personaggi "alla Buñuel", resisterà ancora, per altri 50 anni. È probabile.

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