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ONDA&FUORIONDA

Le tre rose di Eva: fra sentimento e paradossi... e gradimento. Di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti

In foto il cast artistico della serie: Luca Capuano, Elisabetta Pellini, Francesco Arca, Roberto Farnesi e Kaspar Capparoni.
Roberto Farnesi Altri nomi: (Roberto Farnese ) (54 anni) 19 luglio 1969, Pisa (Italia) - Cancro. Interpreta Alessandro Monforte nel film di Raffaele Mertes, Vincenzo Verdecchi Le tre rose di Eva.

domenica 27 maggio 2012 - Focus

Qualche settimana fa ho scritto de Le tre rose di Eva la fiction di Canale 5. Il titolo era "Finalmente una Fiction (effe maiuscola) italiana". Ecco uno stralcio: "c'è qualcosa di diverso rispetto all'estetica, e ai modelli della fiction corrente. Ho visto quella prima puntata, poi le altre. Ribadisco: qualcosa di desueto per me, insomma un bel prodotto. ... Niente di nuovo in assoluto naturalmente, tutto già visto e tutto assolutamente scaltro. Ma tutto riproposto in una chiave ricca e spettacolare. I trucchi si vedono, ma li accogli volentieri. Per cominciare il titolo, è notorio che il lemma "rosa" porta fortuna, è garanzia di successo, sono decine i titoli in cui compare. A cominciare da "Il nome della rosa" di Eco, in giù.
Dunque, Aurora, la protagonista torna a casa dopo aver scontato otto anni di carcere per aver ucciso l'amante della madre. Un bambino capisce che è innocente: non puoi costruire una storia su un'assassina accertata, seppure bellissima. Il primo codice è dunque irresistibile, il tema del nostos (il ritorno) ci arriva da molto lontano, da Ulisse, e poi dai reduci di Troia che hanno dato corpo alle opere dei grandi tragici. Lo scenario: le colline della Toscana, i vigneti soleggiati, i borghi, antichi e d'arte, arroccati sul monte, il tutto inquadrato con passaggi di elicottero. I modelli, bellissimi. Gli uomini trasudano appeal, anche quello del villain, del cattivo, e sono spesso a torso nudo. Le donne sono tutte pantere belle. Gonne che sembrano cinture, camicie trasparenti eccetera. Dicono le loro battute e vengono inquadrate, a lungo, mentre si allontanano, alla Marilyn in Niagara. Le scene di sesso sono "congrue" alla fascia protetta. Diciamo che si fermano un attimo prima di oltrepassare... la protezione. Poi c'è il solito capitolo interno alla famiglia: predilezioni, invidie, contrasti, odi e amori e non puoi sbagliare, vai sul sicuro.
... Adesso occorre solo prepararsi alla fase discendente del racconto. Vedere se i treni partiti, che sono davvero molti, arriveranno tutti in stazione, puntuali. La sensazione che nel pacchetto forse sia stata compressa troppa roba. Vedremo".

Molto alto
Una premessa: la fiction sta ottenendo un gradimento molto alto. Dopo aver visto le altre puntate ritengo di avere materiale sufficiente per una successiva analisi in varie chiavi, a cominciare da quella drammaturgica. E non è un termine improprio riferito alle "tre rose". L'obiezione potrebbe essere: sempre di fiction trattasi, con momenti vicini al feuilleton. Roba normale insomma. Ma non è così. La serie presenta una serie di paradossi narrativi che non sono davvero "normali". Un'altra premessa è questa: produttori e autori sono riusciti a costruire una piattaforma capace di catturare affezione profonda, e capace di farsi perdonare i paradossi di cui ho detto. Esistono regole del racconto antiche e accreditate, codici radicati da... Omero e anche prima: il protagonista-eroe, l'antagonista, le figure di contorno. La traiettoria narrativa ha regole strutturali e naturali, che seguono la logica dei caratteri. Il cattivo può certo diventare buono, ma attraverso una redenzione della quale già si devono intravedere i segnali. Ne Le tre rose di Eva c'era un cattivo iniziale, anzi cattivissimo, Edorado Monforte (Luca Capuano), il secondogenito, che davvero non presenta i segnali di un'evoluzione verso il bene, eppure successivamente diventa l'eroe sorpassando l'eroe precedente, cioè il fratello maggiore Alessandro che, nel movimento ondulatorio, diventa il cattivo. Lo strumento è naturalmente la bellissima e tormentata Aurora che passa dall'uno all'altro. Ma ecco una fase successiva dove i primi caratteri sembrerebbero –uso il condizionale- riassestarsi. Edoardo torna cattivissimo e Alessandro torna "quasi-buono". È solo un dei paradossi. Poi ci sono gli inserti, i nodi narrativi. La serie riesce a passare da una scena di sesso, a una di cucina, a un consiglio di amministrazione, a un omicidio, a un ambiente alla Vito Corleone, alla guerra nel Medioriente. Salti inverosimili che gli autori riescono comunque ad accreditare. Le regole della scrittura seriale sono di ferro: puoi concederti una licenza fuori dal format, ma deve essere breve, devi rientrare subito. Uno dei diplomi del Centro Sperimentale di Cinematografia di cui sono docente e membro del Comitato scientifico, è proprio la sceneggiatura fiction. Ha regole ferree, appunto. Devi trattenere la creatività a favore della ripetitività. Il fatto che ne Le tre rose di Eva la ripetitività venga sorpassata in maniera così perentoria e anarchica mi ha fatto pensare che la macchina venisse azionata da un motore potente, che "dietro" ci fosse della cultura. Giovedì 24 mi è arrivata una mail interessante. Firmata da Luigi Forlai, produttore de Le tre rose di Eva. Una lettera simpatica dalla quale estraggo, in copia e incolla, uno stralcio: "La cosa che mi ha colpito nella recensione è stato che alcuni degli elementi chiave che lei ha individuato nella serie (ad esempio il ritorno a "casa" della protagonista o il look sexy delle protagoniste) sono stati proprio gli elementi su cui abbiamo discusso in modo accanito nella progettazione e nella preparazione della serie (ad esempio, a livello colloquiale ho sempre chiamato la serie "Le contadinelle sexy")".
Così mi sono informato sul personaggio, scoprendo che ha scritto tre libri: "Archetipi mitici e generi cinematografici", "Come raccontare una storia" e "Detective thriller e noir", insieme ad Augusto Bruni. Dunque, la "drammaturgia", come l'ho chiamata sopra, non era casuale, gettata lì come i dadi, ma studiata e risolta in paradossi consapevoli. Che hanno funzionato, e come.

Costo
Qualche curiosità me la sono tolta. Mi è stato detto che il costo delle puntate è basso. Ed è un'ottimizzazione importante. Una delle sequenze reiterate, suggestiva ed efficace, e "ricca", è quel passaggio di elicottero sulle città e sui vigneti. La sequenza è costata... un migliaio di euro, trattasi semplicemente –e forse non dovrei rivelarlo- di repertorio. Niente di nuovo anche qui, naturalmente. Ma è ben fatto, non te ne accorgi. Mi è stato detto anche dell'azione per rendere la protagonista Anna Safroncik più dolce rispetto alla sua cifra naturale. Nelle prime puntate l'hanno fatta piangere spesso. Non è dunque improprio dire che c'è anche qualcosa del famoso "metodo". Non riscontro segnali di questo genere nella fiction nostrana. La franchigia, l'affezione ottenuta da Le tre rose di Eva ha permesso alcuni episodi estremi, imperdonabili in altri contesti. Viola la moglie di Alessandro, incinta, sa che il marito ama Aurora ed è lei "il grande amore della mia vita e sarà sempre così". Allora Viola afferra un coltello e se lo punta al ventre. Ribadisco una citazione precedente: neppure a Matarazzo e Sirk, eroi del melodramma, avresti perdonato una scena del genere. Ma ancora: tentano di uccidere Alessandro investendolo. Tutti corrono in ospedale, moglie, amante, fratello. Passa un cadavere, coperto da un lenzuolo, su una barella spinta da un'infermiera che domanda "siete parenti del signor Monforte?... Non ce l'ha fatta, mi dispiace". Poco dopo, nella costernazione generale, l'infermiera, senza barella, si rifà viva: "chiedo scusa, mi ero sbagliata, era un altro cadavere". Non basta la franchigia, ci vuole un'immunità per farsi condonare questa trovata. Eppure... il condono arriva.
Un'altra licenza non trascurabile sta nel ritmo narrativo della serie, talmente veloce da aver rimosso le connessioni. Si passa da una vicenda all'altra senza il momento di pausa, il cuscinetto, che permetterebbe all'utente di metabolizzare l'episodio per prepararsi, sentimentalmente, psicologicamente, a entrare in quello successivo. Non c'è il tempo per una catarsi parziale. Non è grave e non è esclusiva di questa serie: la comunicazione attuale, il computer, il fantasy e l'horror violenti, hanno assestato colpi molto duri a quella che ho chiamato catarsi, parziale o integrale che sia.

Il produttore Forlai mi ha raccontato della grande dialettica con gli sceneggiatori sul dialogo e sugli episodi. Accreditare un mélo così estremo senza cadere nel grottesco non è facile. Le major americane hanno insegnato in questo senso. In termini di licenze, e anche di paradossi mi piace rilevare un riferimento, di qualità diversa certo, l'uso della scrittura da parte delle major. Dovendo adattare un romanzo a un film, coi relativi difficili compromessi fra i contenuti "seri" della carta e le esigenze leggere della pellicola, per esempio l'happy end che devastava certi grandi romanzi dal naturale finale drammatico, le produzioni assumevano, per le sceneggiature, autori nobili, maestri assoluti di genere, come Chandler, o premi Nobel, come Faulkner. Gente che magari non conosceva i tempi e l'economia della sceneggiatura, ma sapeva inserire momenti di qualità e di creatività superiore nel racconto e nel dialogo. È la differenza, in campo, fra i centrocampisti che dettano il gioco, e il fuoriclasse, il numero dieci che ci mette i dribbling e il gol. Così si salvava l'opera e si salvava il film.

Ribadisco che la fiction di Canale 5 non ha mostrato invenzioni rispetto ai codici accreditati, ma ha reso tutto più funzionale, a cominciare da una certa estetica patinata delle soap. Ha tutto toccato e accorpato, ha riletto il già visto e scontato: il thriller, il mélo, il morboso, il banale, il sentimentale, la commedia, la tragedia, persino un tocco di gotico. Manca forse qualche momento di disimpegno, di ironia e di sorriso, e un registro un po' più ricco di vocabolario, ma i Chandler e i Faulkner non sono facilmente reperibili. Infine si può dire che la vicenda dei Monforte e di Aurora Taviani potrebbe essere verosimile in California, in Provenza, nel Sussex, in Andalusia o in Australia. In tutto questo c'è davvero poco di "fiction italiana" e mi sembra un bel progresso. Le tre rose di Eva è un programma che coinvolge e diverte, che fai fatica ad abbandonare. Certo, ci sono troppe passioni, troppi ricchi e troppi belli. E certo non è il manifesto del Paese in questa epoca. È più che naturale che una certa critica corrente sia insospettita e infastidita: non ci trova né sociale né politica. In questo senso è proprio un prodotto scorretto. Ma è anche un deterrente, e ben venga, ogni tanto. Perché la prima opzione della fiction è proprio quel deterrente.

Ritengo doveroso citare alcuni dei nomi fondamentali. Federica Caruso, l'altro produttore. Raffaele Mertes il regista. E gli sceneggiatori Michele Abatantuono, Maria Carmela Cicinnati e Luca Biglione. Gente che ha operato in produzioni di vertice della fiction televisiva e del cinema.

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