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La politica degli autori: Tim Burton

Il regista col debole per i mostri dal cuore tenero.
di Mauro Gervasini

In foto Tim Burton.
Tim Burton (Timothy William Burton) (65 anni) 25 agosto 1958, Burbank (California - USA) - Vergine. Regista del film Dark Shadows.

mercoledì 9 maggio 2012 - Approfondimenti

Suona strano anche a noi, ma Tim Burton è dopo James Cameron il cineasta americano più amato dagli italiani. Suona strano non perché sembra si parli di una cucina, ma perché è bizzarro che il terzo maggiore incasso statunitense di sempre nel nostro paese sia Alice in Wonderland (2010). Vero è che lo si è visto in 3D, quindi il box office si gonfia perché il biglietto costa di più, ma è comunque una sorpresa. Anche per la non eccelsa qualità del film, diciamolo, un'accozzaglia di effetti speciali senza magia. Il cruccio è amplificato dallo scarso seguito di altri titoli del Nostro: per dire, il delizioso Tim Burton's Nightmare Before Christmas fu un flop. La nuova versione delle avventure sempiterne di Alice ha però conquistato il pubblico di tutto il mondo facendo un sacco di soldi, ecco perché Dark Shadows (nelle sale dall'11 maggio) si permette di rifiutare l'invito dell'anteprima mondiale a Cannes ed esce una settimana prima dell'inizio del festival. Come dire: non ho bisogno di nessuno.

Anche parlando di Burton, difficile concentrare in poche righe una poetica. O forse no. Forse nel suo caso è fattibile. Dopo un apprendistato alla Disney come disegnatore di fondali e comprimari (Red e Toby nemiciamici il suo titolo più celebre) l'arruffato artista di Burbank, classe 1958, decide che ne ha le scatole piene di "animaletti ammiccanti" e realizza un cortometraggio, Vincent, che funziona come bussola di gusti e aspirazioni. Un bimbetto solitario e timoroso (Burton himself, si direbbe) esorcizza la propria presunta inadeguatezza coltivando la passione per l'horror in generale e Vincent Price in particolare. Di quest'ultimo la vociona narrante fuori campo. Animazione in stop motion, spirito espressionista, figure anodine e appunto antidisneyane. L'amore per i freak deformi fuori e umanissimi dentro si impossessa di una immaginazione inarrestabile.

Sia i successivi film di animazione che i più famosi live action tengono dritta la barra del fiabesco e l'amore per i mostri si impossessa anche dei suoi blockbuster (Batman: trascurabile il primo episodio, formidabile il secondo, Batman - Il ritorno, del quale Burton è anche produttore). Soprattutto, il regista e i suoi più fidati collaboratori (tra i quali il musicista Danny Elfman, vero traduttore sonoro delle sue intuizioni visive, e Johnny Depp, suo attore feticcio in ben sette pellicole) si inventano un mondo dove l'anomalia e il bizzarro hanno una forza rivoluzionaria. E dove il cinema, come dimostra il meraviglioso Big Fish - Le storie di una vita incredibile, eredita la forza affabulatrice della fiaba. Tim Burton ha il raro privilegio di diventare un aggettivo: esistono visioni e contesti burtoniani a prescindere dalla sua partecipazione (pensate a Coraline e la porta magica dell'ex sodale Henry Selick). Questo processo è anche l'inizio della fine. A un certo punto, diciamo a partire da La fabbrica di cioccolato (2005), il suo mondo si normalizza. Diventa replicabile. Non contano più le piccole intuizioni o le minute bizzarrie, ma l'accumulo dei segni, le scenografie sempre più sfarzose e sature, gli effetti speciali. La fantasia espressionista lascia spazio a barocchismi plasticosi e posticci. Fino al massiccio utilizzo del digitale di Alice in Wonderland: quasi sacrilego per chi professava eterna fedeltà al "passo uno" e rimpiangeva la sgangherata artigianalità di Ed Wood. Degli ultimi film di Burton fatichiamo a ricordare pressoché tutto, a partire da Johnny Depp con le sue ormai stereotipate maschere. Speriamo adesso nelle ombre oscure.

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