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La politica degli autori: Marco Tullio Giordana

Il cantore di una generazione sconfitta ma mai veramente arresa.
di Mauro Gervasini

In foto il regista Marco Tullio Giordana durante il photocall del film Romanzo di una strage.
Marco Tullio Giordana (73 anni) 1 ottobre 1950, Milano (Italia) - Bilancia. Regista del film Romanzo di una strage.

mercoledì 28 marzo 2012 - Approfondimenti

Sono passati trentadue anni da quando Maledetti vi amerò vinse il Festival di Locarno. Era il film d'esordio di un giovane cineasta milanese, Marco Tullio Giordana, classe 1950, anche autore della sceneggiatura insieme a Vincenzo Caretti. Sorta di pedinamento zavattiniano di un reduce politico, Flavio Bucci, ex leader del movimento studentesco milanese per qualche anno in esilio in America Latina poi tornato in Italia nel periodo successivo al delitto di Aldo Moro. Emblema di una generazione ancora non del tutto contaminata dalla violenza rivoluzionaria, quella del 68 contrapposta alla successiva del 77, il protagonista si trova di fronte un'Italia a mano armata dove fa già capolino il riflusso e a Milano si conta un morto al giorno, per droga o per piombo. Giordana contrappunta le sue immersioni in una città dolente, ferita, tremendamente disillusa (di lì a poco diventerà "da bere", ma gli autori ancora non potevano saperlo) con una serie di canzoni che Stefano Reggiani, all'epoca critico di "La stampa", definì «ironiche e assassine». «Ne uccide più la depressione della repressione» si dice a un certo punto, ed è la frase chiave di un percorso a ostacoli attraverso vari livelli di coscienza: quella di classe, sbriciolata sotto il "fuoco amico" delle Brigate Rosse, e quella individuale di un sognatore che perde ogni speranza di fronte ai mutamenti del quotidiano. Film profetico Maledetti vi amerò, che segna il percorso del suo autore. Anche ora, in attesa di vedere il suo nuovo Romanzo di una strage (nelle sale dal 30 marzo) torna ossessivo l'odore del piombo di quegli anni, o di quelli immediatamente precedenti. Quando scoppia la bomba in piazza Fontana a Milano, il 12 dicembre 1969, Aldo Moro (interpretato nel nuovo film da Fabrizio Gifuni) è ancora vivo, e di strategia della tensione, di terrorismo, non si parla se non riferendosi a paesi lontani, come la Grecia dei colonnelli. Ma è come se con Romanzo di una strage, titolo non casualmente pasoliniano, Giordana chiudesse un cerchio, retrocedendo fino all'inizio della notte repubblicana. Anche sulle macerie della bomba si muovevano come fantasmi i protagonisti di Maledetti vi amerò (tra i quali lo straordinario commissario interpretato da Biagio Pelligra).

In oltre trent'anni di cinema, il regista milanese ha perseverato nel voler raccontare la sua generazione, quella che forse ha perso, per dirla con Gaber, ma non ha rinunciato a capire e lottare. E con ostinazione rivendica il proprio diritto alla memoria: da una parte ristabilendo le verità storiche (chi ha messo quella dannata bomba? Oppure, in Pasolini, un delitto italiano, del 1995, chi ha assassinato il poeta?), dall'altra ricordando senza psicodrammi generazionali che almeno allora si tentò di cambiare le cose. Forse è il senso ultimo di La meglio gioventù (2003), vincitore del Certain regard a Cannes, pensato in origine per la televisione e poi distribuito anche in sala. La storia d'Italia dalla propulsione morale collettiva successiva all'alluvione di Firenze fino agli orizzonti del riflusso, un attimo prima di Tangentopoli. Un esempio di ottima narrazione televisiva, con le sue dilatazioni temporali e i personaggi densi. Distogliendosi dalle narrazioni corali, come nel caso di Quando sei nato non puoi più nasconderti (2005), Giordana appare meno convincente, forse troppo prigioniero di imperativi sociali e divulgativi (e non sempre le sceneggiature politicamente corrette di Rulli e Petraglia hanno aiutato). Mentre è riuscita un'altra sua operazione televisiva (con relativa distribuzione in sala), Sanguepazzo (2008) sulla controversa vicenda di Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, divi del regime fascista uccisi dai partigiani. Ancora la Storia, i suoi misteri e le verità nascoste, a muovere un romanzo popolare dove si affastellano volti, nomi, situazioni. Giordana non teme il confronto con l'affresco ma sono soprattutto le figure rimosse a essere al centro del suo cinema. A volte con effetti dirompenti anche sulla cronaca giudiziaria, come nelle svolte recenti sul delitto Pasolini. Ma il caso più esemplare resta quello di Peppino Impastato, giornalista e controinformatore di Radio Aut, in Sicilia, ucciso dalla mafia lo stesso giorno della morte di Moro, il 9 maggio 1978, inscenando un finto incidente. Con I cento passi (2000), finora il suo titolo di maggior successo, Marco Tullio Giordana non solo ha sollevato il velo di oblio che si era depositato sulla figura di Peppino, ma ha contribuito a imporre la sua figura nella coscienza di tutti.

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