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Mostri 3D e istituzioni immortali

Tra The Host 3D e un po' di Italia, il Festival rende omaggio a Im Kwon-taek.
di Emanuele Sacchi

In foto una scena del film Hanji di Im Kwon-taek.

lunedì 10 ottobre 2011 - News

75 anni suonati e un obiettivo sensazionale - 100 film realizzati - raggiunto. Ma Im Kwon-taek, icona del cinema d'autore sudcoreano, unico trait d'union esistente tra la Golden Age dei '60 e la New Wave dei '90, non accenna a smettere. L'antico vizio del cinema non lo abbandona mai, proprio come l'artista del suo Ebbro di donne e di pittura, posseduto dal demone della creatività. Hanji continua nella direzione traccia
ta da Beyond the Years (presente a Venezia quattro anni fa), quella di uno sguardo colmo di saggezza e amore per la storia e il presente della Corea, per le sue radici e la meraviglia del particulare. Girato a metà strada tra documentario e fiction, Hanji presenta cambi di ritmo repentini, come se dietro la macchina da presa si trovasse un ragazzino ambizioso e non un attempato autore.

Ma il quinto giorno del Busan Film Festival è così ricco di eventi e proiezioni imperdibili da sconcertare chi tenti vanamente di organizzare il proprio "percorso" di proiezioni. È il giorno di Italia e Giappone, soprattutto. I nostri colori sono rappresentati da Il villaggio di cartone di Ermanno Olmi e Terraferma di Crialese, pronti a raccogliere onori anche in terre lontane dopo il transito veneziano (che a Crialese è valso anche il premio speciale della giuria). Grande la curiosità per l'accoglienza asiatica. Giappone, si diceva, con due registi assai differenti tra loro: Hirokazu Kore-eda, dai più indicato come l'erede moderno dell'immenso Ozu Yasujiro, propone in I Wish un tema chiaramente nelle sue corde. Nessuno come lui sa immortalare bambini smarriti di fronte alla vastità di un mondo incomprensibile e costretti a crescere troppo in fretta; famiglie separate che solo un vulcano in eruzione, esemplare deus ex machina, potrà tentare di ricongiungere.

Yamashita Nobuhiro gode di una considerazione critica inferiore a quella di Kore-eda, ma i più attenti non hanno dimenticato lo spirito arrabbiato di opere come Linda Linda Linda e Ramblers, piccoli manifesti post-punk del disagio giovanile. My Back Page è la sua opera fin qui più ambiziosa: ambientato negli anni '60 della contestazione studentesca, è la storia di un leader politico e del suo lato più umano, una riflessione sulle cicatrici della storia giapponese; come se il tema prediletto di maestri come Oshima Nagisa tornasse rivisitato dalla sensibilità di un giovane contemporaneo. Colonna sonora – ovvio il richiamo a Bob Dylan nel titolo - al solito eccellente e aria di New Hollywood.

Infine una (nuova) menzione per la commovente storia di riscatto sportivo Glove – ultima chance per recuperarlo – e per l'evento del prime time, destinato ad attirare una folla in delirio. The Host di Bong Joon-ho, uno dei più riusciti esempi a livello mondiale di opera capace di coniugare esigenze spettacolari con contenuti scomodi e tutt'altro che banali, viene proiettato al Cinema Center in una nuova edizione 3D, promettendo di sconvolgere gli astanti con le gesta dell'insaziabile mostro del fiume Han, in tutta la sua orrenda tridimensionalità.

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