Advertisement
Storia 'poconormale' del cinema: puntata 132

Una rilettura non convenzionale della storia del cinema. Di Pino Farinotti.
di Pino e Rossella Farinotti

Il quadro 'House by the Railroad' di Edward Hopper (1925) a confronto con una scena del film Psyco di Alfred Hitchcock (1960).

venerdì 16 settembre 2011 - Focus

Il cinema e l'arte
Un bar col suo lungo bancone. Tutto in penombra. Una donna occupa il lato in fondo, non ha espressione, comunque non è felice. Guarda Burt Lancaster seduto su uno degli sgabelli davanti al banco. Anche il barman tiene d'occhio l'uomo dal bicchiere ancora vuoto. Sta per riempirglielo ma esita, è pensoso, e preoccupato. Sa qualcosa che Lancaster ignora. Sa che la sua ragazza il giorno prima ha sposato un altro. È un'inquadratura del film Doppio gioco, di Robert Siodmak, del 1948. Ed "è" un quadro di Edward Hopper. Robert Mitchum guida un Ford, rallenta in vista di un distributore. Ferma, scende dalla macchina dà le chiavi all'addetto e si accende una sigaretta. È preoccupato, sa che qualcuno lo sta cercando, e non è un amico. Il film è Le catene della colpa (1947), di Jacques Tourneur, tratto da un romanzo di Geoffrey Homes. Anche questo è un quadro di Hopper. Alan Ladd attraversa una strada larga. Dietro di lui brilla l'insegna di un locale, la Blue Dalia. Ha una valigia in mano, l'impermeabile e il cappello. È un reduce dal Pacifico, ha appena scoperto che la moglie lo tradisce. Il film è La dalia azzurra (1946), di George Marshall, scritto da Raymond Chandler. Un altro quadro di Hopper.
Humphrey Bogart è davanti a un cottage, è notte. Sta aspettando qualcuno, sa che la visita non sarà amichevole, anzi, pericolosa. Il film è Il mistero del falco (1941), di John Huston, dal romanzo di Dashiell Hammett. Anche lì: Hopper. Due uomini entrano in un bar, del tutto simile al primo che ho descritto. Sono lenti ma sicuri, sono killer. Nel locale scende una tensione tattile, poi la paura. Sono seduti e stanno bevendo. Stanno aspettando Burt Lancaster, per ucciderlo. Il film è I gangster (1946), di Robert Siodmak, tratto da uno dei più noti racconti di Hemingway.

Realismo
Edward Hopper (1882-1967) è uno dei massimi artisti americani. È il leader di quel realismo che sapeva leggere la scena di quel Paese. Realismo non è riduttivo, non significa "statico", o fotografico, nelle opere di Hopper c'è un sentimento come ti viene trasmesso da qualcuno che sa raccontare meglio di uno scrittore. Paesaggio, oggetti, gente, coi significati della vita e della cultura dell'America dell'arco, soprattutto, fra gli anni Venti e Quaranta. Se in cinema si dice "tocco alla Wilder" oppure "tocco alla Fellini", in pittura nessun tocco è riconoscibile come quello di Hopper.
I suoi quadri sono inquadrature, istantanee colte in un insieme dinamico. Qualcosa è successo e succederà. È l'inizio, o la fine di un racconto. Come se i soggetti li vedessi arrivare in quei bar, fermarsi a quella stazione, e poi alzarsi dal sedile o ripartire in macchina verso qualcosa che comunque non sarà felice.
È probabilmente l'artista al quale il cinema ha più "rubato". E il bottino ha molto reso e prodotto.

Maestri
Tutti i nomi che ho fatto, cineasti e scrittori, tutti maestri dalla qualità più alta, Hopper li conosceva bene. I gangsters, il racconto di Hemingway, era il suo preferito. Le istantanee che ho descritto, sono omologhe, arte e cinema. Il momento, l'estetica, la vita, erano quelli. Siamo negli anni Quaranta, le due discipline erano contemporanee, si univano in una reciprocità temporale e naturale. Ma è più tardi che Hopper si è radicato, quando c'era stato il tempo per conoscerlo e studiarlo, e quando il cinema cominciava a soffrire di nostalgia per l'epoca di Hopper, magnifica, esclusiva. Una delle più felici, forse la più felice, nella storia del cinema. E così il cinema ha cominciato a ricostruire Hopper. Le stazioni di servizio non erano quelle vere degli anni Quaranta, venivano rifatte in studio. Se vogliamo c'era una suggestione in più, perché i film nella ricostruzione sanno essere suggestivi. Senza naturalmente abbandonare l'ispirazione del modello primario.
E così Hitchcock, nel suo Psyco (1960) quando dovette collocare lo psicopatico Norman Bates, fatto da Anthony Perkins, e la raccapricciante madre impagliata, chiese alla United Artists che gli ricostruissero la "house" di Hopper. Naturalmente venne accontentato, e l'inquietante edificio divenne "attore" co-protagonista del film. E lo si può ancora vedere, ancora in buone condizioni, lassù, sempre inquietante, in cima alla collinetta.
Un'autentica "mostra di Hopper" è La stangata, di Roy Hill, del 1973, con ambientazione negli anni Trenta. È tutta un'ispirazione hopperiana, dai muri coperti di manifesti, ai costumi, alle finestre d'angolo. E poi quel quadro, "Nighthawks", "Sparvieri della notte", una delle opere dell'arte americana, diventata arte del mondo, che fanno parte della memoria, anche di quella popolare. È quel bar d'angolo, al buio, con dentro il barman e tre avventizi. Davvero in molti hanno attinto a quell'atmosfera, a quei colori e a quell'angoscia. Robert Redford, nella "Stangata" è proprio lì che siede. Anche l'animazione ha detto la sua, con una ricostruzione piena di ironia in un episodio dei Simpson.

Nel 1954 Michelangelo Antonioni decise di applicare segnali di estetica alla Hopper nel suo Grido. La stazione di servizio, gestita dall'avvenente Dorian Gray, dove si ferma il camion che dà un passaggio a Steve Cochran è una "pittura" in bianco e nero dell'artista di New York. Le tre pompe non erano ai bordi di una strada maestra del Kansas, ma di una provinciale che affianca il Po nel suo tratto emiliano. Certo il film ci guadagnava. Antonioni si rivolse ancora a Hopper in Deserto Rosso e lo evocò anche in Zabriskie Point.

Ma è un tedesco, Wim Wenders, che ha quasi sublimato l'arte di Hopper. Niente di meglio di uno straniero come lui, colto generale –musica, arte e letteratura, storia- per leggere l'America in un certo modo. E lo ha fatto naturalmente facendo leva su Hopper, come in Paris Texas. Soprattutto in Non bussare alla mia porta, del 2005, dove ha "ridipinto" proprio gli Sparvieri della notte. La devozione di Wenders è tale che davvero non si riesce a distinguere la differenza fra dipinto e fotogramma.

Una citazione merita un altro autore da culto, Jim Jarmusch. Uno scatto del suo Broken Flowers rappresenta Sharon Stone, con una vestaglia rosa, sulla porta di una casa di legno, mentre inquadrata in una finestra, all'interno, si intravede Alexis Dziena in costume da bagno. Trasferito il fotogramma in una cornice appesa alla parte di una mostra, firmato il quadro Edward Hopper, nessuno dubiterebbe dell'autenticità.
E poi le case di legno sull'oceano Atlantico, con quei tetti alti e spioventi. La citazione, e la memoria immediate sono quelle di Angela Lansbury, la signora in giallo, che abita, appunto, una di quelle case nella sua Cabot Cove.
La sintesi finale è semplicissima. Location, atmosfere, scenografia, riconoscibilità, sortilegio: disponi di uno dei più bravi al mondo, perfetto per l'integrazione. Ma perché il cinema non dovrebbe approfittarne?
In primavera, a Milano, a Palazzo Reale, è stata organizzata una mostra di Edward Hopper. Grandissima affluenza. L'artista americano ha avuto più visitatori del Futurismo, di Dalì e dell'Impressionismo. Forse c'entrava il cinema.

Gallery


{{PaginaCaricata()}}

Home | Cinema | Database | Film | Calendario Uscite | MYMOVIESLIVE | Dvd | Tv | Box Office | Prossimamente | Trailer | Colonne sonore | MYmovies Club
Copyright© 2000 - 2024 MYmovies.it® - Mo-Net s.r.l. Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione anche parziale. P.IVA: 05056400483
Licenza Siae n. 2792/I/2742 - Credits | Contatti | Normativa sulla privacy | Termini e condizioni d'uso | Accedi | Registrati