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Woody, il magnifico cosmopolita

Le grandi trasferte dell'uomo di Manhattan.
di Pino Farinotti

In foto Woody Allen, sul set del nuovo film Bob Decameron.
Woody Allen (Allan Stewart Konigsberg) (88 anni) 1 dicembre 1935, New York City (New York - USA) - Sagittario.

lunedì 1 agosto 2011 - Focus

In Manhattan, che è, insieme a Tutti dicono I Love You, l'opera assoluta del newyorkese, Woody Allen all'inizio, con voce fuori campo, accredita se stesso come cittadino della grande mela. È uno scrittore e deve affrontare un incipit, e fa vari tentativi.

"Capitolo primo, adorava New York, la idolatrava smisuratamente... No, è meglio: la mitizzava smisuratamente. In qualunque stagione questa era una città che esisteva in bianco e nero e pulsava dei grandi motivi di George Gershwin... No fammi cominciare da capo. Capitolo primo: era troppo romantico riguardo a Manhattan, come lo era riguardo a tutto il resto, trovava vigore nel febbrile andirivieni della folla e del traffico. Per lui New York significava belle donne, tipi in gamba che apparivano rotti a qualsiasi navigazione... stantio, roba stantia... di gusto... Insomma, impegnati un po' di più. Capitolo primo, adorava New York, per lui era la metafora della decadenza della cultura contemporanea, la stessa carenza di integrità individuale che porta tanta gente a cercare facili strade, stava rapidamente trasformando la città dei suoi sogni in ... non sarà troppo predicatorio? Guardiamoci in faccia, questo libro lo devo vendere. Capitolo primo, adorava New York anche se per lui era una metafora della decadenza della cultura contemporanea. Com'era difficile esistere in una società desensibilizzata dalla droga, dalla musica tutto volume, televisione, crimine e immondizia... Troppo arrabbiato, non voglio essere arrabbiato. Capitolo primo, era duro e romantico come la città che amava, dietro ai suoi occhiali dalla montatura nera acquattata ma pronta al balzo: la potenza sessuale di una tigre... No, aspetta, ci sono. New York era la sua città, e lo sarebbe sempre stata.

Dichiarazione
Questa è la dichiarazione d'amore di Allen per la sua città ed è una didascalia delle due anime, dell'uomo e della città. È di New York e lo sarà sempre. Ma l'intelligenza, la curiosità, la non convenzionalità dell'artista lo hanno portato a uscire, a esplorare. Non è un passo così scontato. Ci sono autori della carta e del cinema che non si sono mossi dal loro alveo naturale. Con variazioni naturalmente, ma hanno sempre scritto lo stesso libro e fatto lo stesso film. Allen è approdato a Roma dove sta girando Bob Decameron. Il regista, che niente lascia al caso, ha esplorato Roma in tutti gli anfratti e registrato sessantanove location. Se Medusa sarà d'accordo il film sarà presentato al festival di Roma l'anno prossimo. La città, naturalmente, nelle epoche è stata visitata dal grande cinema americano, due citazioni di vertice, una superclassica, antica, Vacanze romane di Wyler, con Gregory Peck e Audrey Hepburn, e poi il recente, romano-vaticanissimo Angeli e demoni, di Ron Howard, dal bestseller di Dan Brown.

Identità
Allen accreditata la sua identità newyorkese attraverso i grandi codici di quella città. Li ha disseminati nelle storie, facendone dei veri co-protagonisti. Il museo Guggenheim era il teatro di infinite discussioni iper-culturali, così come il Rockfeller Center assisteva a furibonde liti matrimoniali. La 5th Avenue serviva per il passeggio e per guardare le facce, il ponte di Brooklyn per la poesia e il sentimento notturni, il Plaza e il Waldorf Astoria per i party fra intellettuali e presunti. E molto, molto altro.
Dunque, "Sono di New York, adesso vediamo un po'". E da quella premessa sono cominciate le trasferte. Un film che diventa un po' la summa dei contenuti e delle anime delle città è Tutti dicono I Love You, opera capolavoro, come ho detto sopra. Lì Allen gravita in New York, Parigi e Venezia. E lega alla perfezione questi tre luoghi, nel racconto, nell'arte, nella sensazione e nell'essenza della loro mitologia. A New York, Allen e il suo gruppo abitano a Park Avenue, e poi altre istantanee, perfette come sfere, come il Central Park sotto la neve. Ma la città "più" del mondo, in quel racconto è quasi data per scontata, come a dire "è un punto fermo conosciuto, vediamo un po' d'Europa". A Parigi il gruppo si trasferisce al Ritz. Fa un passaggio notturno agli Champs Élysées, uno ai Deux Chats per il croissant, gira intorno alla fontana di Place de la Concorde. Soprattutto Woody e Goldie ballano sotto il ponte, sulla riva della Senna, in surreale, alzandosi da terra e piroettando nell'aria. Intorno il silenzio e il nulla. Lei canta la rapinosa "I'm Never Fall in Love Again", già canzone di Marylin e di Ella. E dopo Goldie, giusto per non farsi mancare nulla, Allen seduce Julia Roberts, a Venezia. La chiara sproporzione estetica viene compensata dalla tattica intelligente. Woody si è informato sui gusti di Julia, Tintoretto e Mahler per cominciare. E gioca su quello, la porta a sentire la Quarta del compositore e si trova per caso nella chiesa di San Giorgio proprio ai piedi di un immenso Tintoretto. E poi colazioni in locali sul Canal Grande e passeggiate fra le calli, la Riva degli Schiavoni, Rialto e il mercato del pesce. Location-protagoniste, appunto.

Meno
La sensazione è che Londra fosse meno irresistibile per l'artista. Sempre di cultura anglosassone trattasi. New York e Londra, quasi due facce della stessa medaglia, seppure molto diverse naturalmente. Per l'autore, un po' come... giocare in casa.
Ed è legittimo dire che i film girati a Londra Match Point, Scoop e Sogni e delitti presentino contenuti e anche atmosfere particolari, diciamo che sono meno "alleniani" rispetto al percorso tradizionale. Ci sono di mezzo omicidi, violenza e serial killer. Come se il regista recuperasse, tra gli altri, certi caratteri londinesi che riconducono a Jack lo squartatore e storie simili. Allen è un autore che se cerca trova, magari a Londra non ha trovato tutto quello che cercava.

Diverso
E poi Barcellona. Cultura, sentimento, linguaggio, tutto diverso. Vicky Cristina Barcelona è un cartello esplosivo e felice. È come se, entrato nel palazzo del cinema di Woody Allen, tu aprissi la porta di una stanza e ti trovassi di fronte a un arredo, a un'architettura, all'estetica di quadri appesi: diversi. Con un inciampo nel tizio Almodovar, ma sì. Nel film, solite donne belle e sentimenti aggressivi, complessi, che sfuggono ai protagonisti e all'autore, promiscuità, anche violenza, sotterfugi e tradimenti, ma alla Woody, dove non vale la sostanza ma l'approccio alla sostanza. Lui sa venderti davvero tutto col sorriso. Lo spettatore omofobo incallito, per esempio, di fronte a Woody, si arrende e sorride. E poi a Barcellona il sesso comanda comunque, è prevalente e tutto può concedersi. Allen là giocava in trasferta, ma era padrone del campo. Adesso qui da noi. Allen, un ebreo a Roma. Per analogia recupero una storia parzialmente romana La versione di Barney, scritta da un ebreo canadese intelligente, Mordecai Richler. E Barney Panofsky, l'attore è Paul Giamatti, complicato isterico, per certi versi può persino richiamare il Woody, senza la sua brillantezza e genialità, naturalmente. È una citazione, un richiamo. Dunque a Roma, frequentata abitualmente da mestieranti di cinema più o meno autoctoni, girerà Allen. Una bella differenza, e un bel colpo.

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