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Recitare stanca, Edward Norton al Giffoni in pausa volontaria

L'attore americano parla con i bambini della giuria.
di Ilaria Ravarino

Edward Norton (Edward Harrison Norton) (54 anni) 18 agosto 1969, Boston (Massachusetts - USA) - Leone.

giovedì 14 luglio 2011 - Incontri

Sarà per quella sua aria serena e distaccata, per la pacatezza con cui ha risposto alle domande più insidiose dei giornalisti, per il sorriso gentile e leggermente stupito che ha regalato ai fan assiepati dietro alle transenne del Giffoni Film Festival. Sarà per questo suo nipponico self control, o per quell'aria da persona pacificata e rassicurante, che il bel Edward Norton, oggi accasato con la produttrice Shauna Robertson, è stato fortissimamente amato da alcune delle più famose cattive ragazze di Hollywood, Courtney Love come Drew Barrymore. Inquieto sullo schermo, dal suo esordio in Schegge di paura ai cult American History X, Fight Club e La 25ª ora, Norton fuori dal set ha l'aria irresistibile del bravo ragazzo della porta accanto. Cappello di paglia da dandy newyorkese in vacanza a Positano, camicia slacciata e pizzetto, suo marchio di fabbrica, appena accennato, al Giffoni Film Festival ha conquistato il cuore dei bambini della giuria, con cui ha pranzato e lungamente parlato. «I ragazzi hanno reso splendidi i miei primi minuti in Italia - ha detto - parlare con i più giovani è illuminante, c'è sempre l'occasione di imparare da loro».

Nell'ultimo anno ha frequentato poco il cinema: scelta o necessità?
Trovare materiale che ispiri un attore è un processo misterioso e non automatico. Se ti interessa davvero fare il cinema, e non gestire un mestiere in modo meccanico, non c'è alcun bisogno di partecipare a un film all'anno. Io accetto solo i film che sento veramente, e il materiale in circolazione in questo momento non è sempre valido. Un paio di volte nel corso della mia carriera ho desiderato fare dell'altro: nell'ultimo anno, per esempio, mi sono divertito a scrivere una mini serie per la tv HBO. A volte è giusto prendersi una pausa: se il pubblico vede troppo spesso un certo attore, si disaffeziona e l'attore stesso perde incisività. Gli interpreti che mi hanno ispirato di più, gente come Dustin Hoffman o Daniel Day Lewis, a un certo punto hanno avuto l'intelligenza di fermarsi, di fare un passo indietro e attendere tempi migliori prima di iniziare a recitare di nuovo.

Perché ha abbandonato la saga di Hulk?
Non c'è stato un motivo particolare, mi sono divertito ma ho sempre pensato di farne uno solo. Non volevo continuare in eterno a ripetere la stessa cosa.

Che effetto le fa appartenere alla cosiddetta A-list dei migliori attori di Hollywood?
Questa A-list non l'ho mai vista e non ci credo. Non mi fido.

Parteciperà al prossimo The Bourne Legacy?
Sono all'inizio di una contrattazione, ne stiamo parlando, la saga di Bourne è fantastica. Ma non c'è nulla di confermato.

Che ruolo avrà nel prossimo Moonrise Kingdom?
L'ho finito circa un mese fa e sono felice perché sono un fan del regista, Wes Anderson. Wes però non vuole che si parli del film prima che sia uscito, e io rispetto il suo desiderio.

Di cosa tratta la serie che ha scritto per la HBO?
Racconta un pezzo di storia americana. È l'avventura di due esploratori europei, i primi a raggiungere la sponda del Pacifico via terra, partendo dal Mississippi, in una specie di coast to coast. Era un progetto cui lavoravo con Brad Pitt già ai tempi di Fight Club.

Lei ha scommesso subito sul talento di David Fincher: perché?
Perché per me non era uno sconosciuto. Lo conoscevo già prima di lavorarci ed ero assolutamente convinto delle sue qualità.

Si dice che non abbia un buon carattere...
A Hollywood quando un artista ha personalità si dice che è una persona difficile. Dicono così anche di me. Per quanto mi riguarda, sul set con lui mi sono divertito moltissimo.

Di Spike Lee, invece, si dice che sia maschilista.
Spike ha un modo un po'provocatorio di parlare in pubblico. Ma basta guardare i suoi film, che trasudano amore per uomini, donne e persone di ogni razza e religione, per capire che la sua sensibilità è profonda. Io gli voglio bene e trovo che sia un grande e originale osservatore della società americana, oltre che un artista pieno di umanità.

Lavorerà ancora con lui?
Non abbiamo progetti insieme per adesso, ma mi piacerebbe. Se mi telefonasse domani, accetterei subito un suo film.

Da giovane ha vissuto Giappone: cosa ha provato durante la tragedia del terremoto?
Ho trascorso a Osaka molto tempo, vent'anni fa. Ma non credo sia necessario aver vissuto là per sentirsi a disagio di fronte a una tragedia così terribile. Attraverso un sito internet ho provato a raccogliere denaro per aiutare le famiglie giapponesi, e ho raccolto circa 500.000 dollari.

Preferisce il lavoro da attore o quello da regista?
Niente importa più della storia. Le storie le reciti, le giri, le scrivi, ma la dinamica è sempre la stessa. Il cinema è la storia. E a me piace alternarmi in diversi ruoli dello stesso processo.

Che film vedeva da piccolo?
Sono stato fortunato. Anche se non si occupavano di cinema i miei genitori amavano molto i film, soprattutto quelli al di fuori del circuito commerciale. Sono cresciuto con Woody Allen e con i film di Kurosawa. A 13 anni avevo un amico con cui guardavo i film di Fellini e di De Sica, pellicole che ebbero un grande impatto su di me.

Che ricordi ha di un famoso italiano con cui ha lavorato, Dino De Laurentiis?
Quando ho cominciato a collaborare con lui in Red Dragon, Dino era già leggendario, era un mito per me. È stato surreale cenare con lui, nella sua casa, accanto a Anthony Hopkins. De Laurentiis amava gli artisti, li rispettava, non aveva alcuna ossessione per il controllo del progetto. Si fidava, non aveva paura. Era fantastico.

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