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Il Pinocchio triste dei Dardenne

I fratelli belgi svelano i retroscena de Il ragazzo con la bicicletta.
di Ilaria Ravarino


mercoledì 18 maggio 2011 - Incontri

Verrebbe da pensare che due così siano inseparabili, abituati a condividere riflessioni e lavoro, esperienze di vita, set e amicizie, sconfitte e trionfi. Lui, Jean-Pierre, è il fratello più grande. Ha i capelli bianchi, gli occhi di un profondo blu, le mani sempre in movimento. Ha l'aria rilassata e ride spesso, informale anche a Cannes, con una polo grigia senza fronzoli, la fede al dito, un piccolo orologio al braccio mollemente abbandonato sulla spalla del fratello. L'altro, più serio, è Luc. Il suo sguardo è sfuggente, parla meno volentieri, ascolta immobile e rimugina: sembra parecchio più giovane e tormentato di Jean-Pierre, insaccato in un completo grigio che ne incupisce il volto. Tra i due fratelli belgi, per la quinta volta in concorso a Cannes dopo due Palme d'oro (per Rosetta e L'enfant), ci sono solo tre anni di differenza e un'incredibile affinità intellettuale, che va molto oltre le apparenti disparità caratteriali. Insieme hanno scritto e diretto Il ragazzo con la bicicletta, il film che a concorso inoltrato resiste ancora in vetta alle preferenze dei critici, invulnerabile all'attacco della corazzata Malick: «Ogni volta che torniamo al festival è un'esperienza fantastica, solo Cannes ti riempie così tanto di adrenalina» dice Jean-Pierre. «Cannes ha fatto la nostra storia», sospira brevemente Luc.

Che effetto fa essere in concorso con il film più amato dai critici?
Jean-Pierre: Abbiamo le idee chiare finché facciamo il film. Dopo non abbiamo la minima idea di cosa accada: il film va in sala e noi aspettiamo e vediamo. I critici spesso apprezzano.
Luc: I critici, in genere, vedono cose nei nostri film che noi stessi non vediamo.

È un'impressione o questo è il vostro film più ottimista?
Jean-Pierre: Sì, è vero, ma non è stata una decisione presa a tavolino. Di solito è la storia che sceglie noi, non il contrario. In questo caso ci siamo ritrovati con una storia semplice e luminosa, ma non tutti gli elementi erano previsti fin dal principio: il personaggio di Samantha, per esempio, proveniva da un'altra sceneggiatura e poi in qualche modo è finito qua dentro.

È strano vedervi alle prese con una storia che non aggredisce temi sociali...
Luc: Le questioni economiche o sociali non riguardano direttamente la storia e anzi, sarebbero state di intralcio. Sia Samantha che il padre di Cyril dovevano trovarsi in una situazione economica tale da metterli nella condizione di potersi comportare come fanno nel film: se Samantha non avesse avuto abbastanza denaro per prendersi cura del bambino, o se avessimo approfondito il disagio economico del padre, la storia non sarebbe mai partita. Ci piace pensare Il ragazzo con la bicicletta come una fiaba, o meglio una tragedia ottimistica: la storia di un ragazzino che faticosamente riesce ad abbandonare le proprie illusioni, grazie all'amore di una specie di fata, cioè Samantha.
Jean-Pierre: Sì, è proprio come una favola: c'è un bosco, che è il luogo della tentazione, e c'è un cattivo. Lo stesso Cyril è un po' un Pinocchio, che deve attraversare una serie di prove per perdere tutte le sue illusioni e diventare saggio.

Come avete scelto il bambino che interpreta Cyril?
Jean-Pierre: Lo abbiamo cercato ovunque, con annunci sulla radio e sui giornali. Su 50 ragazzi che abbiamo provinato, lui ci è piaciuto subito. Era il quinto. Abbiamo capito che era giusto per il ruolo appena ha provato la prima scena, quella in cui è al telefono e cerca di contattare suo padre: c'era qualcosa di speciale nei suoi occhi, nel modo in cui stringe il telefono e contrae i muscoli del corpo. Assolutamente perfetto.

È difficile filmare la giovinezza?
Jean-Pierre: È più facile filmare il male, decisamente. Se hai a che fare con la storia di un bambino, il rischio di cadere nei cliché è dietro l'angolo.
Luc: Non ci capita spesso di avere a che fare con storie così piene di buoni sentimenti. È stato impegnativo.

Per voi che lavorate in famiglia, la famiglia è un tema importante?
Luc: C'è senza dubbio un nesso tra il fatto che siamo fratelli e che ci interessano così tanto le storie di famiglia. Ma Il ragazzo con la bicicletta è soprattutto un film sull'amore, sulla vittoria dell'amore. E anche sull'illusione che Cyril ostinatamente ha di poter tornare a vivere con suo padre.

Da dove è arrivata l'ispirazione per questa storia?
Jean-Pierre: Nel 2002 eravamo in Giappone e un'amica, che fa il giudice, ci raccontò la storia di un bambino abbandonato all'orfanotrofio dal padre, che gli promise che sarebbe tornato a riprenderlo. Ovviamente non lo fece. E il bambino continuò ad aspettarlo per anni. Siamo subito rimasti colpiti da quel racconto e negli anni ne abbiamo parlato tante volte, senza riuscire a tirar fuori una storia. Ci siamo sbloccati quando abbiamo trovato la location: abbiamo capito che il film doveva essere ambientato in tre posti, cioè un boschetto, una città e una stazione di servizio. E improvvisamente ci è venuta in mente la bicicletta, che nella storia è il tramite di collegamento fra i personaggi.

A proposito di bicicletta: ma se Cyril ha così tanta paura che la rubino, perchè non la chiude mai con la catena?
Jean-Pierre: Bella domanda. Direi che non lo fa non tanto per ragioni narrative, quanto perché nella sua testa non passa nemmeno l'idea che una bicicletta possa avere un valore economico. Cyril non conosce il significato del denaro, infatti si meraviglia che suo padre abbia potuto vendere la sua bici.
Luc: E poi insomma, non sono tanti i momenti in cui la lascia senza sorveglianza. Sarebbe stato tutto più complicato se ogni volta avessimo dovuto filmarlo mentre lega la bicicletta.

Le vostre storie sono sempre ambientate al presente. Perché?
Luc: Forse perché l'ispirazione ci arriva dalle persone che conosciamo, o da quel che leggiamo sui giornali. Il realismo per noi è l'unico modo per parlare del mondo. Fare film ci aiuta a immaginare come lo vorremmo: senza rivalità, senza paura dell'altro...

In questo film lavorate con Cécile de France: è una delle rare volte che avete scelto un'attrice famosa...
Luc: Non era stato programmato. Non scriviamo mai con un attore in testa, ma quando abbiamo finito la sceneggiatura ci è venuta subito in mente lei. Non per questioni psicologiche o emotive, semplicemente per la sua faccia. Le abbiamo dato la sceneggiatura, l'ha letta, ci ha chiesto un paio di cose sulle motivazioni del suo personaggio e poi ha accettato. Fine della storia.

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