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Sidney Lumet, eroe di giustizia

Il percorso artistico del regista, da garantista a giustiziere.
di Pino Farinotti

Sidney Lumet 25 giugno 1924, Filadelfia (Pennsylvania - USA) - 9 Aprile 2011, New York City (New York - USA).

domenica 10 aprile 2011 - Celebrities

A Sidney Lumet dobbiamo un sentimento che è quasi suo esclusivo: vedevi un suo film, uscivi dalla sala e stavi bene, perché giustizia era stata fatta. Voglio partire da due estremi, dal suo ultimo titolo Onora il padre e la madre. Rappresenta un promemoria molto importante. È una storia dove si fa giustizia. Un padre, impersonato da Albert Finney, uccide, soffocandolo con un cuscino in sala rianimazione, il figlio assassino, cui dà corpo e volto Philip Seymour Hoffman. È un richiamo estremo, in un momento in cui la giustizia viene distorta o addirittura nascosta, in nome di nuovi codici e nuove etiche. Si chiama relativismo. Faccio un nome, che non è del cinema -ma il cinema ha fatto di peggio- Cesare Battisti, il terrorista italiano (quattro omicidi) acquisito e coccolato dai francesi (e anche da una forte corrente italiana) diventato scrittore di successo, e solo dopo molti anni, finalmente arrestato e tuttora difeso da un governo per pura ideologia e politica. Lumet lo avrebbe rinchiuso in una cella per sempre, dopo aver portato tutte le prove secondo principio giuridico, naturalmente. Gli premeva mostrare che fra giusto e ingiusto, fra bene e male, la differenza c'è. Il padre giustiziere, evoca giustizia antica, biblica. E non era da tutti assumere una responsabilità del genere. Forse apparteneva, appunto, al solo Sidney Lumet che, nel tempo, con passione, applicazione e talento, si era legittimato in quel senso.

Precoci
I segnali di predestinazione furono precoci: col suo primo film La parola ai giurati (1957) il trentatreenne regista firmò semplicemente il più grande film processuale della storia del cinema. Il giurato Henry Fonda convince uno a uno gli altri undici che un ragazzo non è colpevole se non c'è sicurezza totale. Dichiara il principio del ragionevole dubbio, pronunciamento garantista assoluto. Cento volte meglio un forse-assassino libero che un forse-colpevole in prigione.
Lumet era un uomo colto, le sue radici affondavano nella cultura newyorkese degli anni cinquanta, uno slancio di idee e di prese di coscienza che avrebbero cambiato il mondo del dopoguerra. E la sua era la generazione del cambiamento. Registi e attori. Lumet era del '24, che è l'anno di Marlon Brando, guarda caso, ed è la stagione di quelli dell'Actor's. Erano attori e autori che, dopo l'immane trauma della guerra, avevano abbandonato la filosofia dell'happy end per dedicarsi al sociale e al dolore. Gente come Kazan, Brooks, Aldrich, Penn, Kramer, Kubrick, Ritt, e altri.

Civili e umani
Diritti civili e diritti umani: Lumet, rispetto al cinema sarà uno degli eroi in quel senso. Rappresenta le contraddizioni e i compromessi devastanti della politica in A prova di errore (1963); l'odio razziale nell'Uomo del banco dei pegni, del 1965. Nello stesso anno, per La collina del disonore assume Connery e lo mostra com'era, parvicrinito. Fu la fortuna di Sean che cominciò ad accreditarsi come ottimo attore e a prendere la distanze da 007. Un gruppo di militari in un campo di prigionia uccide una guardia violenta e psicopatica. Ma Lumet condanna, proprio attraverso Connery, quella vendetta privata. Ancora una volta si fa garante del peggiore dei criminali. Ma il suo grande tema, la sua costante umana e artistica riemerge con Serpico (1973), la storia del poliziotto che rifiuta la corruzione pagando di persona. Dunque, Serpico-Pacino, eroe giusto e onesto. Lo stesso tema riproposto otto anni dopo col Principe della città. Nel Verdetto (1982) Paul Newman è un avvocato di Filadelfia che rifiuta una transazione che lo farebbe ricco pur di difendere una madre ridotta in coma vegetale dai baroni di una clinica protetta dalla chiesa. Nella sua arringa finale l'avvocato fa leva sul senso di giustizia insito ancestralmente in ciascun essere umano, e vince la causa. In quel film c'era un altro promemoria: l'eroe, se è stato smarrito, va ritrovato. Chi vede il film esce dalla sala rassicurato e liberato, con un'apertura di fiducia verso gli esseri umani. Accade quasi sempre, l'ho detto sopra, con le opere di Sidney Lumet.

Dunque dalla Parola ai giurati a Onora il padre e la madre. Allora Lumet sentiva di dichiararsi garantista, adesso, dopo oltre mezzo secolo, giustiziere. Questo sentimento capovolto naturalmente non deve essere acquisito come verità assoluta, sempre di cinema e di cineasta trattasi, ma certo Sidney Lumet era uno che conosceva bene l'argomento. Non posso che chiudere con quella che è una costante formula triste, quando scrivo di chi è andato via. Ci mancherà. E per lui aggiungo, molto.

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