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Il triste Amarcord di Bellocchio

Fra Bobbio e il Trebbia.
di Pino Farinotti


lunedì 21 marzo 2011 - Focus

È senz'altro opportuna una premessa personale. La mia famiglia è di quelle parti, della Valnure, parallela a quella del Trebbia, la valle di Bellocchio. Conosco bene quei posti e quella cultura. Il paese, le memorie, i riti, l'immobilità, la terra e il fiume, e tutto il resto.
Tuttavia non ho capito fino in fondo questo Sorelle mai, e dico che non è il migliore dei film del regista, e neppure uno dei migliori. Lo dico per rispetto a Marco Bellocchio. E qui è doverosa un'altra premessa, lo stralcio di un mio libro Storie di cinema: "....Considero Marco Bellocchio, insieme a Nanni Moretti, l'unico cineasta "generale" al quale timbrerei il passaporto: non provinciale, non convenzionale, insomma ... non (solo) italiano. Uomo colto e "applicato", è uno dei pochi autori titolare della doppia identità, immagine e scrittura. Significa la capacità di rappresentare contenuti importanti attraverso un'estetica riconoscibile ed esclusiva. Quando a 26 anni, nel '65 firmò il suo primo film I pugni in tasca, Bellocchio aveva già molto compreso e assunto, a cominciare dai disagi e dalle insoddisfazioni compresse e implose che sarebbero tracimate nel sessantotto. Era la storia di un ragazzo, oppresso da famiglia orrendamente borghese e incapace della minima evoluzione, che si ribella con violenza. Il titolo ebbe un immediato, meritato riconoscimento: l'invito alla mostra di Venezia. Tanto giovane, in un momento così ardente, il regista piacentino era già un nome importante del cinema. Da allora Bellocchio ha lavorato con rigore e attenzione alle fasi del Paese, alla politica, al sociale, a ciò che mancava e andava trovato, a ciò per cui valeva lottare anche sapendo che la lotta si sarebbe rivelata semplicemente un principio, un'indicazione senza approdo e senza felicità. Anni '70, '80, '90 e così via. E sempre l'autore a proporsi con intelligenza e cultura. Bellocchio ha sempre coltivato l'impegno, magari intenso, ma non la militanza, magari dolosa. Ha odiato, e odia, la borghesia e la Chiesa, ma gli argomenti che porta sono di un autore che intende, con dolore, dare indicazioni mai statiche, mai solo ideologiche, mai compromesse da un pregiudizio, di un autore sempre attento alla fase morale e anche capace di un ripensamento. E onesto nella sua confessione. Bellocchio è sempre stato, è tuttora, un affidabile garante di solidità intellettuale. Fa testo anche se non sei d'accordo con lui...."

Personale
Se dobbiamo ritenere "strettamente personale" la storia della famiglia Mai,- e ci sono oltre a Marco altri quattro Bellocchio, Piergiorgio, Elena, Letizia, Maria Luisa- i suoi simboli e i suoi richiami, va senz'altro detto che Bellocchio è troppo severo con se stesso. Se Giorgio è il suo alter ego è come se l'autore dichiarasse una propria vicenda, umana e professionale, triste e inutile. Mentre la vicenda, l'ho detto sopra, è davvero un'altra.
L'autore nato a Bobbio si concede una ricerca antropologica estrema, una licenza artistica legittima, un lasciarsi andare su un malinconico "avrebbe potuto essere così, per fortuna non lo è stato". Un amarcord di una terra emiliana che non è quella di Fellini. Bobbio nasce intorno a un'abbazia del settimo secolo, è chiusa in una valle dove il sole passa ma scende presto dietro i monti, che si chiamano Groppo di Pradegna, Bricco di Carana. Sopra c'è il Penice, ci sono boschi di castagni e di faggi, scuri. Sotto passa il Trebbia, veloce e diverso, si allarga e si stringe. Secondo il film è un posto sinistro. È lì che nel 218 avanti Cristo, seconda Guerra punica, i Romani furono travolti dai Cartaginesi. Spaventati dagli elefanti di Magone, fratello di Annibale. Era dicembre, c'era neve e ghiaccio.

Ombre
Tutto questo rende il film pieno di ombre e penombre. Laggiù non fa il sole di Rimini, con l'Adriatico scintillante di giorno e solcato dal Rex di notte. Con la sagoma favolosa, alle spalle, del monte Titano. Autori diversi, sentimenti diversi, anche se Giorgio (Piergiorgio Bellocchio, figlio di Marco), il protagonista alter ego del regista, se ne va a Roma proprio come il ragazzo Fellini che partiva da Rimini in cerca di fortuna. La storia comprende tre generazioni, le zie, murate nel loro passato: una neppure parla, l'altra ricorda vicende banali della giovinezza e pensa alla cappella di famiglia. Poi c'è Sara, velleitaria che da anni cerca a Milano una parte importante in teatro, lasciando che la sua bambina, Elena, cresca al paese con le zie. C'è Giorgio, fratello di Sara, che si rivela subito: chiede alle anziane parenti di avallare un mutuo per aprire un laboratorio di oreficeria per la compagna del momento. E c'è Gianni Schicchi, il tutore della famiglia, fedele, quasi romantico, dispensatore di inutili consigli. Giorgio è un disastro, a Roma, a parte piccoli ruoli in filmetti, non ne azzecca una, ogni volta che torna in Emilia è per sfruttare la situazione. L'unica cosa buona, per lui, è tener d'occhio la nipote Elena, che cresce. Nel frattempo Bellocchio introduce stralci del suo film d'esordio, I pugni in tasca, girati in quella stessa casa. Anche quello, richiamo artistico antropologico. E "i pugni in tasca" sembra davvero essere l'attitudine di Giorgio, sempre scontento, sempre velleitario in attesa, sempre in pericolo.

Destino
Il Trebbia è il posto reiterato del destino. C'è un punto in cui il fiume si allarga formando una piscina naturale fra grandi rocce lisce. È lì che Sara legge le battute di lady Macbeth ed è lì che Giorgio rimugina sui suoi fallimenti. Lo specchio d'acqua è sempre grigio, triste, freddo. Conosco quello specchio, non è lontano dal ponte Gobbo, antico e ad arcate irregolari. Ci andavo a pescare e anche a nuotare e lo ricordo come luogo azzurro e felice. Ma a Bellocchio serviva come modello diverso. Alla fine le Mai sono costrette a vendere l'ultimo gioiello prezioso e la casa di famiglia, per salvare Giorgio, minacciato dagli strozzini. L'ultima rappresentazione è del vecchio Schicchi, che ama il melodramma di Verdi. Indossa un frac e vuole farsi riprendere nella sua performance "addio al mondo", alla Modugno. Presente tutta la famiglia, entra in quell'acqua, cammina fino a quando scompare. Tutti credono a un gioco, ma lui non riappare. Forse ne ha viste troppe, finita la casa, finito tutto. Le vite degli altri, e la propria non valgono la pena. Però c'è Elena, ormai adolescente, che avrà le sue possibilità. Per cominciare non dovrà vedersela con la casa di famiglia e col paese.

A questo film hanno lavorato gli allievi del corso che il regista tiene a Bobbio. In pratica si è ritrovato la produzione quasi pronta fra le mani. Una volta riaffermato che Marco davvero non è Giorgio, una volta concesso a Bellocchio il legittimo tormento artistico, la buona notizia è che ci saranno altri suoi, film. Questo non sarà come si dice, il testamento artistico, ma un dolente remake del principio di tutto, I pugni in tasca.

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