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Lettera ad Aldo Grasso

Pino Farinotti scrive al critico televisivo del Corriere della Sera.
di Pino Farinotti

In foto il giornalista e critico Aldo Grasso

venerdì 18 febbraio 2011 - Focus

Caro Aldo Grasso.
La premessa non può che essere questa: lei è competente e autorevole, uno che ha fondamentalmente ragione. Le dico che, come molti, mi sento garantito da lei. Naturalmente non voglio beatificarla, non le renderei un buon servigio. Nel tempo si è accreditato con le sue opinioni e indicazioni, e con le sue critiche, dirette e perentorie. Condivisibili. Mi permetto di dire che non è difficile criticare perentoriamente la televisione italiana, lo spazio c'è, vastissimo, ma lei ci mette del suo, intelligenza e ironia. Aldo Grasso è naturalmente molto temuto. Lei è forse l'unico critico nel doppio panorama del piccolo e (anche) grande schermo, che può decidere dei destini di un programma, di un titolo o di un operatore. Una volta sconsigliò a un editore di intraprendere una carriera televisiva, e l'apprendista, peraltro importante, rientrò, malvolentieri, nei ranghi editoriali. Un'altra volta scrisse che non era il caso di esacerbare gli animi con pronunciamento anti-islamico, facendo un film su un certo frate. Va detto, e non è discrezionalità, che quel cappuccino ci mise del suo per salvare l'Occidente. Il film sarà fatto, ma il regista, dopo la sua indicazione, ha dovuto ripercorrere tutto il penoso tragitto dei finanziamenti con Rai, Ministero e privati. La sua storia e il suo impegno, professore, la mettono dunque nella condizione di parlare, di essere ascoltato e magari seguito. E questa è la ragione della mia lettera. Non si limiti all'indicazione, passi all'azione. Non assista, intervenga. Lei racconta la sua delusione, e poi la noia, e la cultura senza pensiero della televisione. Non basta più. Lei sa meglio di tutti che nel nostro paese, ormai da lustri, l'educazione sentimentale ed estetica dei giovani è nelle mani di Maria De Filippi; che i telegiornali dedicano alle vicende di piazza Tarhir e di tutto il nuovo, storico movimento mediorientale, un quinto dello spazio dedicato a Ruby. Sa meglio di tutti quanto sia devastante un "atto di indirizzo", un tentativo censura e di presa del potere da qualche apprendista "rai-s" della Rai. Soprattutto sa che l'audience non è una legge del Signore, ma una maledizione. Tutti codici consolidati, che è molto difficile sradicare, come quella regola finanziaria che vuole che la cattiva moneta scacci la buona dal mercato. Certo se c'è qualcuno capace di tentare una controtendenza lei è fra quelli. In che modo? Dando altre indicazioni: sostituire il brutto col bello, il triste col felice, la non-qualità con la qualità. Trovare una terapia e un deterrente. Che ci sono. Sono i film, i grandi film. Alludo al cinema che ha dettato la cultura e il sentimento. Il cinema dei giganti, dei legislatori. Titoli che ormai trovi quasi solo in Dvd. Dunque, a nostra tutela, Aldo Grasso, proponga titoli alternativi ai cattivi programmi. Basta inserire il disco, tenersi pronti, quando parte la sigla del momento da evitare, premere "play". Negli anni decisivi e vulnerabili, lei, come me, è stato fortunato, perché i modelli non erano L'enigmista o La bestia nel cuore, ma Amarcord e L'Odissea nello spazio. E non è stata la sola fortuna, ce n'era n'altra, maggiore: c'erano solo due canali tivù. Dunque, la prego di darci qualche sua proposta. Sul Corriere, o su MYmovies. Un contributo che permetta a qualche buona moneta di rientrare nel mercato. Ci spero davvero.
Pino Farinotti


P.S.
Come indicazione da parte mia, come spunto, le allego uno stralcio del mio intervento di lunedì 14 febbraio su MYmovies. Un modesto tentativo io l'ho già fatto. Forse non tutto, ma credo che molto lo condividerà.

"...ecco le alternative. Dal programma al film. Con contrappasso e logica. A ciascuno il suo. Che "Porta a porta" lasci lo spazio a Via col vento, così il tema di Steiner, che accompagna Vespa da tanto tempo, rientrerà nel suo alveo naturale. Quella frase musicale significa sentimento, nostalgia di nobiltà, soprattutto significa epica. Partiva dalla visone felice dalla tenuta di Tara, e introduceva Vivien Leigh e Clark Gable, adesso è la premessa all'ingresso di Rosy Bindi e Maurizio Belpietro, quando la fortuna ci assiste. Perché lì di fianco ha già accavallato la gamba la candidata escort. Via col vento e "Porta a porta", un contrappasso stridente, un triste assurdo armonico, chiamiamolo così. Che il pollice sia lesto, all'apparir della sigla del "Tg 4", anticipando il conduttore, ad affondare sul play di un film, uno qualsiasi di Franchi e Ingrassia. Grotteschi infantili-ma-non-dannosi. Un'umiltà ridicola, un anestetico a buon mercato. "Annozero" merita palinsesto articolato, sono segmenti scomposti da fronteggiare. Che l'utenza appresti un modello sicuro e trasversale, Clint Eastwood. Quando faceva Callaghan, giustiziere poco garante: fidarsi di lui per separare i buoni dai cattivi (e i cattivi ammazzarli già che c'eri). E al Travaglio-moment innescare Clint, al quale peraltro il giornalista-giustiziere vagamente assomiglia. E che a Santoro subentri un film storico di magnifica estetica, Il principe delle volpi. Dove Orson Welles è Cesare Borgia, intoccabile figlio del papa, che ambiva al dominio dell'Italia tutta. La storia dice che l'onnipotenza di Cesare cadde al cadere del papa-papà Alessandro VI. E che Ruotolo, baffo da ottobre '17, lasci spazio non all'abusato Potëmkin ma a Sciopero dello stesso Ejzenstejn. In alternativa al "Tg1" propongo Frank Capra, positivo, ottimista, sognatore quasi mistico. Le facce di James Stewart e di Gary Cooper, altissimi e armonici, buoni e onesti e modelli per tutti, scalzeranno le figurine, tutte, della politica. A fronte di "Matrix", costretto, per proprietà, marketing e prudenza ad essere ormai zibaldone onnicomprensivo, pongo i musical degli anni Cinquanta. Quelli prodotti da Arthur Freed –i cinofili sanno-. Colori, fantasmagoria, e qualità alta. Non c'erano solo Kelly e Astaire, ma spettacolo generale, con artisti chiamati dal mondo, e poi tenori, direttori di filarmoniche, e ancora acrobati, pattinatrici e nuotatrici. Metro Goldwyn Mayer meglio di "Matrix". Sì. Ai consumatori del "Grande fratello" –e trasmissioni sorelle- appresto non cinema ma lettura. Serve un inizio, una base, una tabula da cui partire. Scelgo Plutarco con le sue Vite parallele, dove narrasi di Cesare e Alessandro, di Cicerone, Temistocle e altri giganti fondatori della cultura occidentale. L'attitudine umana e morale dell'autore certo non può guastare, anzi pare opportuna. Che gli utenti di tali programmi affrontino la fatica, certo improba e affannosa, della lettura. Anche se esercizio sconosciuto.Che all'"Infedele" venga sovrapposto il maestro John Ford, comunicatore di principi e valori, grandi e complessi, ma con linguaggio capito da tutti. Come tutti capivano la verità di film come Furore, massimo manifesto del dolore popolare, e quella di John Wayne, un Clint Eastwood di allora, combattente a cavallo, o su un caccia o su un anfibio, per una buona causa. Insomma un po' d'azione e un po' di esterni nella fossa di Lerner. Che al Fiore di "Ballarò" subentrino film di guerra dove il cattivo viene sconfitto. E qui do indicazioni perentorie, ricompare Clint il grande. Con Flags of Our Fathers il regista racconta la conquista da parte degli americani, dell'isola di Iwo Jima, terra sacra per i giapponesi. Nel successivo Lettere da Iwo Jima, Eastwood fa qualcosa che non era mai stato fatto, rivede la battaglia dalla parte del nemico, con rispetto, dolore, e con la stessa epica del primo film. Clint Eastwood, artista sopra la politica.

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