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Mondiali di calcio del Sudafrica: i primi in 3D, i primi al cinema

Il calcio raccontato con le armi del cinema.
di Gabriele Niola

Lo "sport infilmabile"

venerdì 11 giugno 2010 - News

Lo "sport infilmabile"
Lo "sport infilmabile" una volta ogni 4 anni diventa il centro della nostra dieta audiovisiva. Volenti o nolenti il periodo dei Mondiali di calcio sottopone tutti ad un bombardamento di immagini calcistiche che con gli anni si fanno sempre più raffinate interessanti e coinvolgenti.
Se per decenni è girata la voce che il calcio fosse uno sport impossibile da far rientrare in un film (voce smentita più volte da capolavori come Gli eroi della domenica o il classico Fuga per la vittoria), buono al massimo per quei film-documentari che la FIFA realizza per ogni campionato del mondo utilizzando troupe cinematografiche e riprese "alternative" a quelle televisive (buone per le telecronache ma pessime per fare un racconto), recentemente è stata proprio la televisione a modernizzare i propri mezzi, avvicinarli al cinema e cominciare a "guardare" diversamente lo sport più seguito del pianeta.
HD, 3D, ma anche telecamere a filo di piombo o a bordo campo, stedaycam ad altezza uomo e carrelli, il calcio filmato o semplicemente "ripreso" migliora di anno in anno la complessità del suo linguaggio, perchè lo sport è racconto; racconto di uomini contro altri uomini, di rivalità antiche, di successi agognati e rivincite contro la storia. E ogni racconto merita una produzione di immagini che lo riguardano a livello delle aspettative, dunque questi mondiali di Sudafrica, viste anche le molte storie coinvolte, non faranno eccezione.

Le novità dei mondiali
Tra pubblicità, videogiochi, videoclip e film il calcio sta subendo una revisione estetica nell'immaginario collettivo.
A cominciare a rivedere il linguaggio audiovisivo legato al calcio è stata, negli ultimi anni, la trilogia inglese Goal, che ha tentato di fare qualcosa che oggi sarebbe di certo riuscita meglio: commistionare movimenti reali con aiuti in CG e sfondi digitali per dare l'illusione di riprendere una vera partita da dentro, cioè nel campo. Sono stati però gli spot Nike Next level (diretto da Guy Ritchie) e Write the future (diretto da Alejandro González Iñárritu) a riuscire ad ingannare anche l'occhio più esperto con una perfetta fusione di analogico e digitale finalizzata a mostrare il calcio giocato dal punto di vista dei giocatori.
Filmare il calcio dal campo dunque è ormai una realtà tanto che pure un cineasta meno moderno come Clint Eastwood è riuscito a filmare un altro sport da stadio, il rugby, mettendosi tra i giocatori in Invictus (film in cui il racconto delle partite e dei mondiali di uno sport diventa racconto più grande di uomini che lottano per un ideale).
La televisione e il cinema cominciano ad inseguire le impossibili prospettive che i videogiochi di calcio regalano con maggiore facilità, un'immersione sportiva che non è solo coinvolgimento fasullo ma un modo di godere diversamente del racconto di questo sport. Per decenni infatti l'unico modo di guardare il calcio era da lontano: dagli spalti o in tv con la prospettiva del telecronista. Poi è arrivata il replay, prima grande forzatura al linguaggio estetico e con essa il diverso punto di vista che consente, come in un film di De Palma, di comprendere cosa sia successo guardando diversamente alle medesime cose. Forse proprio lì, con quell'idea embrionale di montaggio tra momenti temporali diversi (il replay alla fine è un flashback), nasce il linguaggio cinematografico del calcio.
La concorrenza tra network televisivi ha poi portato al moltiplicarsi dei punti di vista e quindi alla possibilità per la regia televisiva di sapere e mostrare tutto il mostrabile, tuttavia l'accumulo per anni ha dimenticato che quelle immagini oltre ad essere esaustive avevano il dovere di essere "belle", cioè di fare un racconto che sia in primis estetico così che ai significati dei contenuti corrispondano anche significati della forma. Ad ogni mondiale però c'è stata una novità, un piccolo tassello che ha fatto avanzare il linguaggio del racconto del calcio.
Nei mondiali di Germania pochi early adopters hanno sperimentato l'HD, grande passo avanti nel godimento dello spettacolo calcistico e quest'anno chi andrà nei cinema del circuito The Space potrà vedere alcune partite in sala trasmesse in 3D. L'esperienza è stata testata con la finale di Coppa Italia Roma-Inter e con la finale del Roland Garros, ma i mondiali si sa sono un'altra cosa, un altro racconto altre emozioni.

Il calcio è racconto
La prova finale che il calcio, come qualsiasi manifestazione sportiva che contrapponga un uomo ad un altro o un gruppo di uomini ad altri uomini, è racconto la danno i mondiali perchè sono un campionato importante raccontato in tempi brevi (solo un mese contro i 9/10 del campionato nazionale) che coinvolge valori più grandi. I mondiali sono scontri fisico ma anche di intelligenze, che coinvolgono storie pregresse, conti da saldare, rivalità ataviche, dei precedenti a cui fare riferimento e poi le singole storie dei calciatori. La saga dell'Inghilterra contro l'Argentina, che con Beckham trovò nuovi motivi di rivalità/rivalsa, i campioni creduti morti che risorgono sul palco più importante e altri considerati infallibili che crollano, le nazionali tradizionalmente estromesse dai grandi risultati che senza campioni compiono l'impresa e le squadre avversate dal loro stesso pubblico, i cui giocatori sono al centro di scandali e processi, con allenatori dalla dubbia levatura morale che hanno tutto da perdere ma poi vincono perchè solo così potranno salvarsi.
A noi italiani l'ha dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio la trasmissione televisiva Sfide che lo sport è racconto di uomini, ma al cinema ci hanno pensato documentari fenomenali e coinvolgenti come sono stati, solo per citare gli ultimi, Zidane a 21st century portrait o il delirante Maradona di Kusturica. Film nei quali i personaggi vincono sul collettivo imponendo la propria storia personale, la propria individualità sulla sfondo della storia delle proprie nazionali o delle proprie squadre di club.
Quest'anno i mondiali ci regaleranno (si spera) la storia di un paese sotto i riflettori che ospita una manifestazione per la prima volta nel continente in cui più di tutti il calcio sta emergendo, la storia dell'Inghilterra guidata da un ct straniero abituato a vincere che ha già detto "Se non arriviamo in finale lo considero un fallimento", la storia della Spagna che non ha mai vinto un mondiale pur giocando un buon calcio e che forse non è mai stata forte come oggi, la storia di una squadra come la nostra che non ha nemmeno una motivazione, non ha stelle e non ha un'idea di calcio ma che dovrà affrontare (per motivi di girone) le solite grandi rivali con tutto il portato emotivo connesso. Ancora c'è l'Argentina, nazionale di star in cui gioca il giocatore più forte del mondo e l'attaccante più in forma del momento, che è guidata da un folle il quale però è visto come un Dio dai suoi giocatori, il Brasile che non dovrebbe dimostrare nulla ma i cui tifosi a volte si suicidano se non arriva alle finali, il Portogallo dell'arrogante Cristiano Ronaldo e tutte quelle squadre meno potenti ma che negli 11 giocatori in campo possono contare una stella di prima grandezza con tutto il peso sulle spalle come il Camerun di Eto'o o la Svezia di Ibrahimovic.
Peccato che il servizio pubblico non offra questi fantastici racconti (spesso svelati nella fase eliminatoria) a tutti ma che essi siano riservati a chi può pagare per goderne.

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