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L'amore nascosto: le ombre della maternità

Dopo aspre vicissitudini distributive, esce nelle sale il film con Isabelle Huppert presentato a Roma nel 2007.
di Edoardo Becattini

Le mani sulla culla
Isabelle Huppert (Isabelle Ann Huppert) (71 anni) 16 marzo 1953, Parigi (Francia) - Pesci. Interpreta Danielle nel film di Alessandro Capone L'amore nascosto.

venerdì 5 giugno 2009 - Incontri

Le mani sulla culla
La maternità come trauma, come origine di un rapporto conflittuale e di una patologia che può tramandarsi di generazione in generazione. L'amore nascosto affronta in modo diretto proprio questo tabù: l'idea appunto che l'amore materno possa restare "nascosto", celato da un desiderio di autodistruzione, e che il "miracolo della nascita" possa anche convivere con delle ombre che non hanno niente di idilliaco. Raccontare un dramma psicologico di tale profondità significa principalmente fare forza su una regia sobria e soprattutto su attori pronti a scavare fino in fondo al buio della propria personalità, e la vera forza del film del regista italiano Alessandro Capone sta infatti nell'avere come protagonista un'attrice come Isabelle Huppert. Medea per eccellenza del cinema europeo e non solo, la Huppert trova nel personaggio di Danielle, madre costantemente sull'orlo del suicidio per non riuscire ad amare la figlia che non avrebbe voluto, quelle pulsioni autodistruttive e selvagge che sono ciò che la rendono una delle interpreti più coraggiose e straordinarie di sempre e che le hanno permesso di proseguire una volta di più nella sua personale indagine sulle pulsioni più irrazionali dell'animo umano.
E che le sono valse anche il Nastro d'Argento Europeo consegnatole in occasione dell'incontro animato a Palazzo Farnese a Roma per la presentazione del film.

Come si sviluppa l'idea del film?
Alessandro Capone: Il film nasce da un libro, "Madre e Ossa", praticamente un diario fittizio scritto da Danielle Girard, una donna che ha realmente vissuto il dramma che racconta. Quando l'ho letto la prima volta sono rimasto estremamente colpito da questa storia così sofferta che racconta un rapporto fra tre donne appartenenti a tre differenti generazioni, legate dalla natura della maternità, che è uno dei grandi e più affascinanti misteri per noi uomini. Lavorare con Isabelle è stato importantissimo perché ci ha permesso di costruire passo passo i personaggi, approfondendo alcune tematiche e sviluppando le loro emozioni.

Massimo Cristaldi (produttore): Si tratta di una produzione anomala perché oltre all'Italia ha visto coinvolti capitali dal Belgio e dal Lussemburgo anziché dalla Francia, pur trattandosi di un film interamente girato in lingua francese. D'altronde era impossibile girare il film in una lingua che non fosse quella di madame Huppert dal momento che tutto il film è stato concepito attorno a lei. Il momento in cui ci ha ricevuto a Parigi ed ha accettato di prendere parte al film resta senza dubbio l'emozione più grande.

Da dove nasce il suo amore per questo tipo di personaggi così estremi, sgradevoli?
Isabelle Huppert: Non credo che il mio personaggio in questo film sia sgradevole in sé, ma piuttosto che si trovi sgradevole, che abbia delle difficoltà a relazionarsi con se stessa. Di solito vengo attratta da personaggi e da film che mi inducono a sollevare interrogativi, ad aprire determinate questioni che sono ciò mi da nutrimento e mi porta a reagire. Si direbbe quindi che questi personaggi mi attraggono quanto io attraggo loro.

Come descriverebbe la relazione madre-figlia del film?
I. Huppert: È una relazione molto complessa ma che non ha nulla di patologico. Non si tratta di un rapporto conflittuale, ma di uno shock generatosi con il momento della nascita. Far nascere un figlio può riflettersi in angoscia per un'attesa non corrisposta o in una nostalgia irrazionale per un'idea di felicità ormai passata. Il film non dà una spiegazione precisa a questa grande domanda ma pone assieme tanti piccoli motivi per raccontare una nevrosi che può essere anche amore, un amore nascosto appunto.

Come vedete questa ambivalenza dell'amore materno descritta dal film?
I. Huppert: Nel film non c'è un messaggio chiaro riguardo l'idea dell'amore materno come menzogna o come verità, non c'è la pretesa di dare un valore morale o immorale agli avvenimenti. I film d'altronde non pongono mai un messaggio universale ma solo dei concetti reinterpretati attraverso un giudizio soggettivo.

A. Capone: Il film ci invita a riflettere sulle difficoltà che comporta la maternità ed il rapporto con il proprio figlio. È chiaro che si tratta di un'estremizzazione di un sentimento e di una radicalizzazione di un argomento scomodo e perturbante. Ma il fatto che si basi su di una storia vera ci invita a riflettere su quanto poco si tenda a parlare della maternità anche nella sua forte componente psicologica.

Il film rappresenta un forte cambio di direzione all'interno della sua produzione. Lo vede come una cesura?
A. Capone: No, ogni film è come un bellissimo viaggio in un paese differente. Per un regista la libertà di poter attraversare i vari generi è un'esperienza magnifica. L'importante è lavorare ogni volta con lo stesso impegno e lo stesso amore per tutto quello che si sta facendo.

Cosa ha potuto comprendere sullo stato del cinema contemporaneo dalla sua esperienza come presidente della giuria di Cannes?
I. Huppert: Ho compreso che si sono delineati alcuni trend, a cominciare dal ricorso alla violenza come modo per raccontare il mondo di oggi. È importante il fatto che molti vedono la realtà di una certa parte del mondo come brutale, selvaggia e con la stessa ferocia trovano una modalità per esprimersi artisticamente.

Rispetto ai tempi di Violette Noziére, come sono cambiati i suoi criteri di scelta?
I. Huppert: Non ho una tecnica, un criterio di selezione particolare. Di solito valuto la presenza del regista e poi il ruolo, la sceneggiatura, ma si tratta comunque di una scelta molto intuitiva. Non scelgo mai con velocità, ma cerco di prendermi tutto il tempo per conoscere la persona con cui dovrei lavorare e la profondità del personaggio, e questa forse è la differenza principale che posso permettermi rispetto al passato.

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